Determinazioni elettroniche

La caccia | Trasmessa il: 05/05/2002



Erano in pochi, finora, ad avere sentito nominare la senatrice Mary Landrieu, rappresentante dello stato della Louisiana al Congresso degli Stati Uniti d’America, ma sembra che la sua ora sia finalmente venuta.  La non ancora insigne statista, a coronamento di una lunga battaglia parlamentare, è riuscita a far approvare una legge che chiede al Dipartimento del Commercio e alla Icann (l’Internet Corporation for Assigned Names and Numbers), che dev’essere, a occhio, l’authority che, in quel paese (e, quindi, indirettamente, nel resto del mondo) assegna gli indirizzi dei siti Internet, di trovare, come si dice, un “dominio” in cui sistemare i siti moralmente sconvenienti.  Si chiama “dominio”, come saprete, la più vasta delle categorie in base alle quali i siti sono classificati e ordinati, come viene indicato in ogni indirizzo dalle lettere che seguono l’ultimo punto a destra.  Può esprimere, in base a criteri che, lo confesso, mi sono oscuri, una classificazione per nazionalità, nel qual caso le lettere sono due (come in “radiopopolare.it”) o una per ramo d’attività, a tre lettere, in cui “.com” distinguerà  le imprese commerciali, “.edu” le università, “.gov” le agenzie del governo degli Stati Uniti, “.org” quelle internazionali, e così via.  L’idea della senatrice Landrieu è quella di creare un dominio “.sex”, o “.xxx” o “.prn” – “.porn”, ahimè, avrebbe una lettera di troppo – , in cui raggruppare i siti a carattere erotico o pornografico.  Erano anni, a quanto sembra, che molti cittadini dabbene preoccupati della salute morale dei navigatori su Internet, specie se minorenni, si davano da fare per giungere a un provvedimento in tal senso e, grazie alla tenace rappresentante della Louisiana, adesso ci sono riusciti.  Sarà interessante vedere se e come il governo darà seguito alla proposta e in particolare  se quel tipo di registrazione sarà reso obbligatorio, e in che termini, o se lo si affiderà alla libera decisione degli interessati.   Come hanno fatto notare da subito quanti hanno a cuore la libertà della rete, tra le due ipotesi c’è una bella differenza.
        La logica del provvedimento, comunque, è evidentemente la stessa in base alle quale sono state istituiti, in molte città europee, quei “quartieri a luci rosse” che, oggi, taluni vorrebbero introdurre anche in Italia.  Non potendo eliminare un fenomeno che si considera nocivo o disdicevole, si decide di circoscriverlo, per poterlo meglio governare e precluderne l’accesso ai soggetti che si considerano a rischio.  Il parallelismo, certo, non è perfetto, perché un quartiere cittadino lo si può recintare e sorvegliare a vista, collocando magari nei punti di accesso qualcuno che chieda i documenti a chi vuole entrare, mentre escogitare un programma che permetta di accedere a un sito elettronico soltanto a chi abbia raggiunto la maggior età potrebbe creare dei problemi persino a Bill Gates, ma quello che conta è il principio.  Cominciamo a distinguere, in modo chiaro e inequivocabile, i siti destinati agli sporcaccioni e poi si vedrà.
        Il problema, in questi casi, è che le distinzioni, qualsiasi tipo di distinzione, funzionano, per così dire, in due sensi.  Distinguendo qualcosa, non si può fare a meno di segnalarla.  L’esistenza dei quartieri a luci rosse sarà un’ottima cosa per l’ordine pubblico, specie quello degli altri quartieri, ma è anche una bella comodità per chiunque desideri quel tipo di distrazioni e, in una città meno organizzata, non saprebbe magari dove trovarle.  Nessuno ignora che tipo di merce si esponga in vetrina nelle vie che circondano la Oude Kerk (speriamo si dica così), la “Chiesa vecchia” di Amsterdam, ed è per questo che ad Amsterdam quel tipo di commercio è molto più agevole che non in una città dove di luoghi deputati allo scopo non ce ne sono e gli interessati devono orizzontarsi da sé.  Io che, per fare un esempio, non saprei bene come individuare un sito pornografico in Internet, sarei molto agevolato se sapessi di doverlo cercare sotto un determinato dominio: mi basterebbe programmare in tal senso un motore di ricerca qualsiasi e avrei subito a disposizione l’elenco completo.
        Per questo non sono del tutto sicuro che i magnati della pornografia in rete (ce ne saranno di certo, e non credo si possano distinguere così facilmente da quelli che controllano lo sfruttamento sessuale sotto altre forme) siano così dispiaciuti dal voto del Congresso degli Stati Uniti.  La pubblicità è l’anima del commercio e il problema di chi intende pubblicizzare un certo tipo di offerte è quello di doversi servire, in genere, di una quantità di fastidiosi eufemismi.  Potersi presentare ufficialmente per quel che si è dev’essere, in ogni caso, una bella comodità.  E sempre per questo non mi preoccuperei più di tanto di una questione, che, se ho ben capito, inquieta l’autore del trafiletto da cui ho ricavato la notizia (“L’Espresso”, 02. 05.2002): quella dei criteri in base a cui individuare i siti non adatti ai minori.  La nuova legge, sembra, si limita a dire che vanno considerati tali i siti che “mostrano i genitali e gli atti sessuali”, il che, naturalmente, può spingere i cittadini a chiedersi se “tutte le pagine web che contengono immagini di nudi” vadano “confinate nel dominio del porno” e chi dovrà incaricarsi “di distinguere tra un quadro di Renoir e un’immagine a luci rosse”.   Due domande certamente lecite, ma forse non del tutto ben impostate.  In fondo, in un’ottica commerciale, è chi offre la merce che la definisce per quello che è, e solo quando l’offerta è stata saggiata dagli acquirenti la si può definire, se è il caso, ingannevole.  Una volta istituito il dominio porno, qualsiasi immagine, suono o parola contenuta in un sito che ne venisse denominato non potrebbe che essere considerata tale (e per tale pagata).   Sotto il sicuro usbergo di quelle tre lettere chiunque potrebbe esporre, a fine di lucro, praticamente qualsiasi cosa: video hard core e filmini amatoriali, cartoline osé, testi goliardici, immagini ginecologiche, fotografie della propria sorella in spiaggia e riproduzioni a colori dell’Apollo del Belvedere.   C’è da chiedersi, in realtà, se la senatrice Landrieu, come capita ogni tanto ai moralisti, non si sia data la zappa sui piedi, aprendo agli spacciatori di eccitazioni di seconda mano delle prospettive più ampie di quanto avessero mai sognato sperare.

                05.05.’02