Erano in pochi, finora, ad avere sentito
nominare la senatrice Mary Landrieu, rappresentante dello stato della Louisiana
al Congresso degli Stati Uniti d’America, ma sembra che la sua ora sia
finalmente venuta. La non ancora insigne statista, a coronamento
di una lunga battaglia parlamentare, è riuscita a far approvare una legge
che chiede al Dipartimento del Commercio e alla Icann (l’Internet Corporation
for Assigned Names and Numbers), che dev’essere, a occhio, l’authority
che, in quel paese (e, quindi, indirettamente, nel resto del mondo) assegna
gli indirizzi dei siti Internet, di trovare, come si dice, un “dominio”
in cui sistemare i siti moralmente sconvenienti. Si chiama “dominio”,
come saprete, la più vasta delle categorie in base alle quali i siti sono
classificati e ordinati, come viene indicato in ogni indirizzo dalle lettere
che seguono l’ultimo punto a destra. Può esprimere, in base a criteri
che, lo confesso, mi sono oscuri, una classificazione per nazionalità,
nel qual caso le lettere sono due (come in “radiopopolare.it”) o una
per ramo d’attività, a tre lettere, in cui “.com” distinguerà le
imprese commerciali, “.edu” le università, “.gov” le agenzie del governo
degli Stati Uniti, “.org” quelle internazionali, e così via. L’idea
della senatrice Landrieu è quella di creare un dominio “.sex”, o “.xxx”
o “.prn” – “.porn”, ahimè, avrebbe una lettera di troppo – , in cui
raggruppare i siti a carattere erotico o pornografico. Erano anni,
a quanto sembra, che molti cittadini dabbene preoccupati della salute morale
dei navigatori su Internet, specie se minorenni, si davano da fare per
giungere a un provvedimento in tal senso e, grazie alla tenace rappresentante
della Louisiana, adesso ci sono riusciti. Sarà interessante vedere
se e come il governo darà seguito alla proposta e in particolare se
quel tipo di registrazione sarà reso obbligatorio, e in che termini, o
se lo si affiderà alla libera decisione degli interessati. Come
hanno fatto notare da subito quanti hanno a cuore la libertà della rete,
tra le due ipotesi c’è una bella differenza.
La
logica del provvedimento, comunque, è evidentemente la stessa in base alle
quale sono state istituiti, in molte città europee, quei “quartieri a
luci rosse” che, oggi, taluni vorrebbero introdurre anche in Italia. Non
potendo eliminare un fenomeno che si considera nocivo o disdicevole, si
decide di circoscriverlo, per poterlo meglio governare e precluderne l’accesso
ai soggetti che si considerano a rischio. Il parallelismo, certo,
non è perfetto, perché un quartiere cittadino lo si può recintare e sorvegliare
a vista, collocando magari nei punti di accesso qualcuno che chieda i documenti
a chi vuole entrare, mentre escogitare un programma che permetta di accedere
a un sito elettronico soltanto a chi abbia raggiunto la maggior età potrebbe
creare dei problemi persino a Bill Gates, ma quello che conta è il principio.
Cominciamo a distinguere, in modo chiaro e inequivocabile, i siti
destinati agli sporcaccioni e poi si vedrà.
Il
problema, in questi casi, è che le distinzioni, qualsiasi tipo di distinzione,
funzionano, per così dire, in due sensi. Distinguendo qualcosa, non
si può fare a meno di segnalarla. L’esistenza dei quartieri a luci
rosse sarà un’ottima cosa per l’ordine pubblico, specie quello degli
altri quartieri, ma è anche una bella comodità per chiunque desideri quel
tipo di distrazioni e, in una città meno organizzata, non saprebbe magari
dove trovarle. Nessuno ignora che tipo di merce si esponga in vetrina
nelle vie che circondano la Oude Kerk (speriamo si dica così), la “Chiesa
vecchia” di Amsterdam, ed è per questo che ad Amsterdam quel tipo di commercio
è molto più agevole che non in una città dove di luoghi deputati allo scopo
non ce ne sono e gli interessati devono orizzontarsi da sé. Io che,
per fare un esempio, non saprei bene come individuare un sito pornografico
in Internet, sarei molto agevolato se sapessi di doverlo cercare sotto
un determinato dominio: mi basterebbe programmare in tal senso un motore
di ricerca qualsiasi e avrei subito a disposizione l’elenco completo.
Per
questo non sono del tutto sicuro che i magnati della pornografia in rete
(ce ne saranno di certo, e non credo si possano distinguere così facilmente
da quelli che controllano lo sfruttamento sessuale sotto altre forme) siano
così dispiaciuti dal voto del Congresso degli Stati Uniti. La pubblicità
è l’anima del commercio e il problema di chi intende pubblicizzare un
certo tipo di offerte è quello di doversi servire, in genere, di una quantità
di fastidiosi eufemismi. Potersi presentare ufficialmente per quel
che si è dev’essere, in ogni caso, una bella comodità. E sempre
per questo non mi preoccuperei più di tanto di una questione, che, se ho
ben capito, inquieta l’autore del trafiletto da cui ho ricavato la notizia
(“L’Espresso”, 02. 05.2002): quella dei criteri in base a cui individuare
i siti non adatti ai minori. La nuova legge, sembra, si limita a
dire che vanno considerati tali i siti che “mostrano i genitali e gli
atti sessuali”, il che, naturalmente, può spingere i cittadini a chiedersi
se “tutte le pagine web che contengono immagini di nudi” vadano “confinate
nel dominio del porno” e chi dovrà incaricarsi “di distinguere tra un
quadro di Renoir e un’immagine a luci rosse”. Due domande certamente
lecite, ma forse non del tutto ben impostate. In fondo, in un’ottica
commerciale, è chi offre la merce che la definisce per quello che è, e
solo quando l’offerta è stata saggiata dagli acquirenti la si può definire,
se è il caso, ingannevole. Una volta istituito il dominio porno,
qualsiasi immagine, suono o parola contenuta in un sito che ne venisse
denominato non potrebbe che essere considerata tale (e per tale pagata).
Sotto il sicuro usbergo di quelle tre lettere chiunque potrebbe
esporre, a fine di lucro, praticamente qualsiasi cosa: video hard core
e filmini amatoriali, cartoline osé, testi goliardici, immagini ginecologiche,
fotografie della propria sorella in spiaggia e riproduzioni a colori dell’Apollo
del Belvedere. C’è da chiedersi, in realtà, se la senatrice Landrieu,
come capita ogni tanto ai moralisti, non si sia data la zappa sui piedi,
aprendo agli spacciatori di eccitazioni di seconda mano delle prospettive
più ampie di quanto avessero mai sognato sperare.
05.05.’02