Accendo il computer e apro il programma di scrittura. Inopinatamente,
sullo schermo mi compare un box che avverte che l’antivirus non è aggiornato.
Non sono state scaricate le definizioni più recenti e se non si vogliono
correre dei brutti rischi è meglio provvedere seduta stante. Io,
a dire il vero, ho la vaga impressione di aver provveduto in merito un
paio di giorni prima, ma con tutte le maledizioni che girano in rete la
prudenza non è mai troppa e mi accingo disciplinato alla bisogna. Apro
il pannello di controllo dell’antivirus, sul quale, effettivamente, brillano
dei minacciosi segnali di pericolo, e avvio la procedura richiesta. Terminata
la quale, mi si materializza davanti un altro box che assicura che era
inutile che mi disturbassi, grazie, perché tutto era già perfettamente
aggiornato. Ritorno, un po’ perplesso, al mio Word e rieccoti di
nuovo il primo box, che ripete che l’antivirus non va e devo aggiornarlo.
E così via, in una malefica sequenza autoricorsiva e autocontradditoria
che, oltre a impedirmi di lavorare, mi riduce in un grave stato di agitazione
nervosa. Sarà l’età, ma è appunto questo l’effetto che mi fanno
sempre le difficoltà tecnologiche.
Calma e gesso, comunque. Smanetto un
po’ nel vano tentativo di rimediare al danno e poi faccio il numero telefonico
dell’assistenza clienti della casa produttrice del software. Passo
la solita mezz’ora ad ascoltare musichette insulse e voci femminili registrate,
una delle quali mi raccomanda di tener pronta la carta di credito perché
il servizio è a pagamento, e, finalmente, vengo messo in contatto con un
giovanotto gentilissimo. Fornisco i dati richiesti ed espongo il
problema. “Ah, sì, capisco” dice lui. “E qual è il suo antivirus?”
“Be’” gli rispondo “è il vostro, versione 2004”. Lui sospira
e anche al telefono si capisce che sta scuotendo la testa. “No”
dice poi in tono di rammarico. “Alla versione 2004 l’assistenza
non la facciamo. È troppo vecchia.” “Come, troppo vecchia?”
ribatto. “Siamo agli inizi del 2006, l’ho comperata meno di due
anni fa, nel maggio scorso mi avete fatto pagare un abbonamento annuale
e adesso mi dite che è troppo vecchia? Ma che senso ha?” “Eh”
dice lui “sa bene che queste cose vanno in fretta: è cambiato tutto, la
Microsoft, i computer, tutto. Deve proprio comprare la versione 2006.
Altrimenti – aggiunge come a malincuore – può sempre visitare il
nostro sito, sezione risoluzione problemi, dove troverà tutte le indicazioni
necessarie per risolvere il caso da sé. Ma al telefono… al telefono
proprio non si può.”
Al loro sito, in realtà, mi ero già connesso
prima, e non ci avevo capito la classica fava. Che volete, il gergo
delle istruzioni informatiche trascende le mie capacità di comprensione.
Per cui, cerco di impietosire il tipo. “Ma come?” gli chiedo.
“Fino a ieri funzionava benissimo, non ho mai avuto problemi…”
“Eh” mi interrompe lui sbrigativo. “Sarà un virus.”
E prima che abbia il tempo di fargli notare che se la colpa è di un virus
questo significa che il loro antivirus fa schifo, si congeda educatamente
e interrompe la comunicazione.
Abbasso la cornetta e guardo sconsolato il
mio computer. Ne ero tanto orgoglioso, fino a pochi minuti prima,
e adesso mi hanno spiegato che in due anni si è ridotto, praticamente,
a un’anticaglia, come la versione 2004, riposi in pace, o un’auto degli
anni ’60, che se si rompe qualcosa nessuno è più in grado di ripararla.
Sì, certo, tutto è relativo e il giornale dell’altro ieri è indubbiamente
già vecchio, e poi dipende dai criteri, per cui il maschio umano cessa
di essere giovane a venticinque anni secondo il Leopardi e resta tale in
Cicerone fino ai sessanta (bei tempi quelli…), ma, insomma, per un prodotto
di alta tecnologia, che esige, per di più, una costante opera di aggiornamento,
avevo sperato in un’aspettativa di vita un poco più estesa. Posso
sempre fornirmi della versione 2006, naturalmente, non costa nemmeno troppo,
ma ho sentito dire che è parecchio “pesante”, come si dice in gergo,
e chissà mai se funzionerà su un venerabile rudere come l’oggetto che
mi trovo davanti. Qui finisce che devo cambiare anche il computer.
E, a parte il problema del costo, su quelli nuovi non c’è più il
drive per i floppy e tutto il mio lavoro degli ultimi vent’anni è salvato
su dischetti e come farò a recuperarlo? E gli indirizzi della posta
dove cavolo li ritrovo? E nell’immediato come potrò, me meschino,
preparare il pezzo per la “Caccia” di domenica prossima? Insomma,
quei bidonisti da cui ho comperato la versione 2004 mi hanno davvero messo
nei guai fino al collo e quasi quasi gli faccio causa.
Poi, naturalmente, con qualche aiutino sono
riuscito a far funzionare Word, sia pure a scosse e saltelli, una breve
riflessione sulla disparità delle mie risorse e quelle di una multinazionale
del software mi ha tolto qualsiasi velleità di ritorsione legale e mi è
sembrato chiaro che il partito migliore fosse, sì, quello di cambiare antivirus,
ma con il prodotto di un’altra casa, nella vaga speranza di trovare una
controparte meno iugulatoria. Ma non è questo, si capisce, che importa.
E neanche che l’episodio metta in luce abbastanza bene quali siano
le tecniche in uso per spremere a dovere il consumatore e suggerisca qualche
ipotesi sul perché ci siano in giro tanti virus e chi ce li mette, visto
che la loro diffusione, evidentemente, è del tutto funzionale all’espansione
del mercato. No. A essere veramente terrificante è l’idea
che quel giovanotto, a giudicare dal tono e dall’espressione, al fatto
che un prodotto di quel tipo e di quel prezzo potesse considerarsi irrimediabilmente
obsoleto dopo ventidue mesi scarsi ci credeva davvero. Che la sua
cultura – che, ovviamente, non è solo sua – non fosse in grado
di fargli capire che a questi ritmi dissennati di consumo e di produzione
la nostra società non può reggere.
Certo, siamo creature effimere ed effimeri
sono i nostri manufatti. È una banalità che ciascuno può considerare,
a sua scelta, lamentevole o confortante. Ma che non giustifica –
ne converrete – la pratica di progettare intenzionalmente degli articoli
destinati a usurarsi a breve, per essere sostituiti con altri consimili
se non peggiori e così via nel continuo inseguimento del profitto a qualsiasi
conto. Perché un’altra banalità altrettanto vera è quella per cui
le risorse di cui disponiamo sul pianeta sono limitate e non è proprio
il caso di sciuparle alla grande, come si fa quando si produce qualcosa
con l’intenzione di buttarla via dopo pochi mesi. E non è un problema
di mercato, perché il mercato, notoriamente, in sé non esiste: al massimo
è un problema di mercanti, e di mercanti avidi e irresponsabili, che affidano
le proprie prospettive a un progetto di pura e semplice dilapidazione.
L’idea dell’usa e getta può essere attraente, da un certo
punto di vista, ma ha il difetto di mettere in moto una specie di processo
di entropia produttiva, di consumo delle risorse e progressiva crescita
dei rifiuti, alla fine del quale resteranno solo i rifiuti. Andando
avanti di questo passo ci ritroveremo presto tutti in braghe di tela, beninteso
se non avremo distrutto tutte le sostanze e gli organismi di cui ci si
serve per fare la tela.
Ciò premesso, se qualcuno mi saprà consigliare un buon antivirus di durata
appena ragionevole gliene sarò grato.
13.03.’06