De pugna apud

La caccia | Trasmessa il: 11/06/2011


    De pugna apud

    Giovedì il “Manifesto” ha intitolato a piena pagina il suo servizio sull'incontro del G20 “La battaglia di Cannes”. È una ennesima manifestazione della mania per i giochi di parole che affligge i redattori dello storico quotidiano, ma mi ha fatto venire in mente che anch'io, da ragazzino, quando frequentavo, più o meno, la prima media, facevo una certa confusione tra la Canne della celebra battaglia tra Romani e Cartaginesi (la pugna apud Cannas degli esempi grammaticali sul complemento di luogo e delle versioni da Tito Livio) e la cittadina della Costa Azzurra dove già allora si svolgeva il festival del cinema. Mi arrovellavo – anzi – chiedendomi cosa fosse saltato in testa ad Annibale, dopo aver attraversato le Alpi con tutti quegli elefanti e aver vinto sul Ticino, sulla Trebbia e al lago Trasimeno, di tornare indietro e affrontare i suoi mortali nemici in Provenza.
    Ero, naturalmente, molto giovane e molto ignorante. Ma ricordo, comunque, che allora si insegnava che a Canne i padri romani presero, sì, una delle più solenni legnate della loro storia, ma ne pararono gli effetti con la semplice tecnica di tirare per il lungo: si guardarono bene dal contrattaccare, si tennero il più possibile alla larga del nemico e aspettarono con santa pazienza che si stancasse lui. Era, questa ispirata strategia, frutto del genio politico militare di Quinto Fabio Massimo, che ne trasse il celebre soprannome di Temporeggiatore e che passò alla storia grazie a un altrettanto celebre verso di Ennio, Unus homo nobis cunctando restituit rem, “un solo uomo, temporeggiando, ci salvò lo stato”.
    Molti storici hanno il sospetto che le cose siano andate in modo un po' diverso. Ma se quei resoconti, al contrario, fossero esatti e la strategia relativa valesse anche oggi, potremmo stare tranquilli sulle sorti del nostro paese, per quanto precarie ci possano sembrare al momento. A temporeggiare i nostri politici sono bravissimi. In pratica non fanno altro. Berlusconi rimanda qualsiasi decisione, anche la più impellente, da quando ha formato il suo governo e si è accorto che la soverchiante maggioranza numerica di cui godeva alle camere non aveva nessuna consistenza politica, perché ciascuna delle sue componenti tendeva ad andare per conto proprio. E i suoi avversari fanno altrettanto perché, maggioranza a parte, sono nella stessa identica situazione. La lettura quotidiana dei giornali di questi ultimi mesi avrebbe fatto la gioia di Quinto Fabio Massimo, evidenziando come evidenzia tutta una serie di mosse e contromosse che ad altro palesemente non sono servite che a prendere tempo. Qualche esponente dell'opposizione invitava il capo del governo a fare un passo indietro per lasciare il passo a una qualche forma di governo d'emergenza, lui rispondeva che non ci pensava neanche, il Presidente Napolitano esprimeva la sua autorevole preoccupazione, le colonnelle del PdL starnazzavano un po' e il giorno dopo ricominciava tutto da capo. Era evidente che l'eterogeneità dei due schieramenti dipende in toto dall'assurda legge elettorale che ci ritroviamo sul collo e che la situazione non si sarebbe sbloccata finché non si fosse riusciti a cambiarla, ma quello della legge elettorale è appunto il tema su cui, nella maggioranza e nell'opposizione, vige il massimo della discordia, per cui meglio aspettare, invitare a fare un passo indietro, rispondere che neanche morto, prender nota del monito accorato di Napolitano e così, via, all'infinito. Nel frattempo il paese andava palesemente in rovina, ma a vederlo andare in rovina cittadini e politici sono così abituati che più di tanto non se ne preoccupavano. Controllate per credere.
    Adesso, dopo l'incontro di Cannes, i cui risultati potrebbero essere visti come positivi, dal punto di vista italiano, solo con un eroico sforzo di fantasia, la situazione è forse cambiata. Nella sua conferenza stampa dell'altro ieri, quella in cui, senza spendere una parola sui morti di Genova, cianciava di paese benestante, ristoranti affollati, aerei che non si riescono a prenotare e alberghi sempre pieni durante il ponte, Berlusconi, livido sotto il cerone, dava l'impressione di parlare tanto per parlare, ma di non crederci più neanche lui, come se sapesse anche lui di essere arrivato al capolinea. Non sapremo mai cosa gli hanno detto davvero i suoi diciannove colleghi, perché dalle leggi della diplomazia non si scappa, ma non devono essere stati, per lui, discorsi piacevoli. E comunque adesso siamo un paese monitorato e lui è troppo vanitoso e refrattario alla disciplina per fare il leader sotto tutela, come hanno capito benissimo quei quei suoi ex zelatori più intelligenti, tipo Giuliano Ferrara, che ne hanno già celebrato in anticipo il funerale.
    Ciò non significa che la fiaccola di Quinto Fabio Massimo sia di necessità prossima allo spegnimento. C'è sempre la sinistra pronta a raccoglierla. Perché cosa altro sono se non maldestri tentativi di tirarla per il lungo le varie ipotesi che ivi si vanno elaborando nel disperato tentativo di evitare le elezioni? Oggi, l'idea prevalente sembra quella di affidare a un qualche benevolo Monti il lavoro sporco e l'esecuzione scrupolosa dei diktat europei, risparmiandosi il fastidio di assumersi le proprie responsabilità e di prendere le decisioni che i propri elettori si attendono. Sarebbe certamente un modo per guadagnare tempo, ma forse chi lo propone non si è reso conto che di tempo non ce n'è più.

    06.11.'11


    Nota

    La citazione di Ennio (Annales, fr. 154) è tramandata da Cicerone, De senectute, 4,10.