Cosa non si fa per la causa

La caccia | Trasmessa il: 02/13/2000




Leggo sui giornali che Berlusconi, giorni fa, è andato a cena a casa di Pannella.  Lo compiango sinceramente.  A cena a casa di Pannella, modestamente, ci sono stato anch’io (sarà stata, più o meno, la primavera del 1966) e anche se all’epoca i radicali non avevano ancora scoperto il valore politico del digiuno, non la ricordo esattamente come un’occasione esaltante sul piano gastronomico e conviviale.  A differenza di Berlusconi, Pannella ha sempre vissuto solo di politica e a quello che metteva, o non metteva, sotto i denti non ha mai dedicato alcuna attenzione.  Chi affronta la prospettiva di una cena a casa sua dimostra che lui per la Causa, con la maiuscola, è disposto a fare di tutto.

       Per Berlusconi, vi confesso, mi accorgo di provare da qualche tempo una certa riluttante ammirazione e voglio parlarvene prima che le regole della par condicio lo vietino definitivamente.  Avrà i suoi difetti, ma sta passando, con animo impavido, dei gran brutti momenti.  Non mi riferisco ai giudici, che, con perfetta scelta dei tempi, hanno cominciato ad assolverlo.  Il fatto è che, spinto dall’insano desiderio di vincere le elezioni regionali, il poveraccio è costretto alle frequentazioni più curiose. È costretto a scambiare piacevolezze con Fini e a farsi venire in mente qualche argomento di conversazione adatto a Casini, che già non dev’essere facile, ma deve anche offrire passaggi aerei a Cossiga, stringere accordi con Bossi, civettare con Buttiglione, andare a cena a casa di Pannella e leggere senza fiatare le interviste in cui la Emma Bonino dichiara che sì, lei con il Polo potrebbe anche starci, ma solo se alle politiche del 2001 le garantiranno, povradona, il posto di vicepremier.

       Ciascuno, naturalmente, fa il suo mestiere.  Ma è poco ma sicuro che il soggetto politico che uscirà da questi frenetici sforzi, se ne uscirà uno,  avrà una morfologia da ircocervo e richiederà ai suoi zelatori delle capacità di equilibrio degne del circo Barnum.   E visto che nessuno ha ancora trovato il modo di far coincidere l’indirizzo anagrafico degli elettori con quello ideologico dei candidati, ci saranno senz’altro dei devoti seguaci di Comunione e Liberazione costretti a votare per noti senzadio, fautori dell’aborto generalizzato e devoti alla causa dei matrimoni gay, mentre qualche irriducibile libertario avrà il piacere, in nome della rivoluzione liberale e liberista, di mandare alla presidenza della sua regione questo o quel vecchio arnese missino frettolosamente riciclato in AN.  Al confronto, la situazione del popolo di sinistra lombardo, Martinazzoli o non Martinazzoli, è un vero giulebbe.

       Visto, comunque, che anche la prospettiva di votare Martinazzoli non è la più esaltante che si possa immaginare e non tutti potranno cavarsela dicendo di essere anarchici e tenendosi alla larga dall’urna, forse varrebbe la pena di riflettere, un giorno o l’altro, su un sistema politico che sta eliminando con tanto implacabile zelo le scelte di valore dal momento elettorale.  Perché ci sentiremo ripetere fino alla nausea, a destra e a sinistra, che i candidati non li dobbiamo mica sposare, che ciascuno può restare delle sue idee e quel che conta sono i programmi liberamente sottoscritti insieme, ma in fondo sappiamo tutti che queste sono solo delle gran palle.  Quello del “quel che conta sono i programmi” è un vecchio alibi lamalfiano, utile solo a coprire i casi più acuti di falsa coscienza.  Quel che conta, in politica, è chi si mette al potere e anche se può capitare di essere costretti a metterci qualcuno nelle cui idee di fondo personalmente non si crede, ammetterete che da un po’ di tempo, in tal senso, nel nostro allegro paese, si sta esagerando.  Sarà il problema della governabilità, o la mistica del maggioritario, o la passione per il nuovo che avanza, o il desiderio di espiare i propri peccati, non saprei dirvi, ma la politica italiana si sta riducendo sempre di più a un complicato puzzle tattico in cui di tutto ci si occupa fuorché che di idee.  E questo, naturalmente, ha le sue conseguenze: non tutti, per tornare al nostro punto di partenza, possono avere lo stomaco di ferro del cavaliere.


13.02.’00