Cosa bisogna fare per mangiare del buon cioccolato

La caccia | Trasmessa il: 03/19/2000



Temo di non essere la persona più adatta per scagliarmi contro il provvedimento con cui il Parlamento Europeo ha autorizzato a denominare con il nome glorioso di “cioccolato” dei prodotti che, fino a ier l’altro sarebbero rientrati, tutt’al più, nel limbo dei surrogati.   Non lo sono, da un lato, perché quello che Linneo definì il “cibo degli dei” per antonomasia rientra, ahimè, nell’ampio novero delle golosità che mi sono vietate, né è, tra tutte quelle nocive delizie, quella di cui sento maggiormente il rimpianto.  E, dall’altro, perché anche quando potevo accedere liberamente a tavolette e bonbon, non ero quello che si definisce un autentico cultore della materia.  Anche in questo ambito ero di gusti, diciamo così, un po’ troppo tolleranti.  Invece di limitarmi al puro fondente, non senza essermi prima accertato che avesse un contenuto di cacao pari almeno al settanta per cento, come avrete appreso anche voi che fanno i veri appassionati, io trescavo con ogni genere di prodotto.  Non mi dispiaceva  il cioccolato al latte (l’amico Felice mi scuserà) e non trovavo nulla da ridire se ci aggiungevano delle nocciole, intere o in pasta.   Non faccio parte, per ovvi motivi d’età, della generazione della Nutella, ma ho molto amato i gianduiotti e tra le specialità svizzere sceglievo senza esitare il Toblerone, in cui, oltre alle nocciole e al latte credo c’entrasse anche il miele.  Insomma, non sono mai stato un purista, il che mi taglia fuori da una campagna di proteste che in nome, appunto, del purismo viene condotta.  Capirete, che quando si legge che il problema è quello di evitare che nel nobile prodotto entrino componenti che nulla hanno a che fare con il cacao, chi ama (o ha amato) delle varianti in cui oltre al cacao si ammettono latte, miele e nocciole, si sente un po’ tagliato fuori.  Definire i criteri per cui su miele e nocciole si può transigere e sul burro di noce di mango no, può essere più difficile di quanto sembri.  Né gli uni né l’altro sono cacao.  Tanto è vero che a volte mi è capitato di chiedermi come facevano i cioccolatisti puri ad accettare che nel loro prediletto fondente ci fosse comunque una certa dose di zucchero.
        Ahimè.  Ai tempi di Platone quell’alimento non era noto, il che probabilmente spiega perché un’idea iperurania di cioccolato non sia disponibile.  Il cioccolato come l’intendiamo noi nasce nella storia, è un invenzione, e anche abbastanza recente: quello al latte è stato creato nel 1876 da Daniel Vevey e quello fondente nel 1879 da Rodolphe Lindt.  Certo, non c’è bisogno di essere un purista, per capire che una normativa che prevede l’uso di componenti di minor valore commerciale e nutritivo, senza, che – presumibilmente – nessuno abbia la minima intenzione di ribassare i prezzi al consumo, si avvicina molto alla truffa.  E mi dicono che ci sia molto da dire, dal punto di vista sanitario, sull’olio di palma e sugli altri grassi vegetali che, adesso, si potranno impiegare al posto del burro di cacao.  E concordo di tutto cuore con chi sottolinea la necessità di indicare sulle confezioni, chiaramente e in caratteri ben leggibili, tutte le componenti dei vari prodotti, indicando, magari, quelle il cui uso è nocivo, come si fa sui pacchetti di sigarette.  Ma che, in questo mondo imperfetto, la lotta per l’equità dei prezzi, per la sanità dei prodotti alimentari e per la trasparenza delle etichette possa coincidere con quella per la tradizione e l’autenticità mi sembra, confesso, una pretesa eccessiva.
        E soprattutto mi sembra una pretesa eccessiva aspettarsi che un organo come il Parlamento Europeo, per non dire dei partiti e degli uomini che ne fanno parte, si occupi della nostra salute o dell’equità delle pratiche commerciali.  Le istituzioni europee hanno la simpatica caratteristica di essere interamente sottratte a controlli democratici di qualsiasi genere, ivi compreso il Parlamento, che se pure è a elezione diretta, nasce comunque di riflesso rispetto al dibattito politico nei vari paesi e viene lasciato per cinque anni a farsi i fatti suoi nel più splendido isolamento che si possa immaginare. Quella di un’Europa unita è senz’altro una bella idea, un ideale che esprime fervide e annose speranze, come quella di superare una buona volta i nazionalismi e di vedere pacificato un continente i cui popoli hanno sempre dimostrato (e tuttora dimostrano, qua e là) una certa tendenza a scannarsi tra loro.  Ma forse varrebbe la pena di rendersi conto come, in nome e con la copertura di questi ideali, si sia permessa la costruzione di un sistema istituzionale particolarmente adatto, vista l’assoluta mancanza di controlli, a recepire gli interessi consolidati, in primis quelli della grande finanza e della grande industria multinazionale.  E cosa volete che interessi, a queste strutture, della nostra salute o delle nostre tradizioni alimentari?  Finché continueremo ad accettare senza discutere l loro potere saremo comunque condannati a mangiare le più immonde schifezze, in base all’unico criterio del massimo guadagno possibile per chi ce le vende.
        In compenso possiamo sempre scandalizzarci e sciogliere commossi epicedi alla cioccolata, “calda come l’Africa, scura come l’angelo della notte, pura come l’angelo del giorno e dolce come l’amore”, per usare le ispirate parole di Talleyrand, citate l’altro ieri in prima pagina nel “Corriere della Sera”, che non è esattamente un nemico delle multinazionali.  Potremo piangere sulla prevedibile sparizione del miele extravergine, sull’estinzione annunciata del lardo di Colonnata e sull’imminente abolizione dei forni a legna nelle pizzerie.  Per le autorità che prendono le relative disposizioni, il problema è semplicemente quello di eliminare sistematicamente ogni possibile concorrenza ai danni dei loro sponsor economici.  Per noi dovrebbe essere, scusate se è poco, quello di invertire a tutti i livelli, compreso quello europeo, il rapporto tra mercato e politica, tra esigenze del capitale e necessità del cittadino.  Più o meno, significa che per mangiare del buon cioccolato dovremmo fare la rivoluzione.  Non so voi, ma io non me la vedo così bene.

19.03.’00