Contratti in due tempi

La caccia | Trasmessa il: 12/18/2011


    Contratti in due tempi

    In un vecchio giallo di Rex Stout con Nero Wolfe e Archie Goodwin, La lega degli uomini spaventati, del 1935, a un certo punto il grande investigatore propone a un gruppo di probabili clienti (la “lega” del titolo) una ipotesi di contratto. Si tratta, come spesso tocca a chi ha a che fare con lui, di un contratto capestro, nel senso che, accettandolo, i firmatari si troveranno a doversi impegnare, in solido, a un esborso molto maggiore di quanto avessero preventivato e dovranno affidarsi completamente alla sua (dubbia) discrezione. Ma l'astuto montenegrino sa benissimo che le persone cui si rivolge hanno l'acqua alla gola e non potranno far altro che aderire alla proposta. Prima di cedere, tuttavia, uno dei tartassati, un avvocato, fa un ultimo tentativo. “Qui c'è una clausola” dice “che non possiamo neanche prendere in considerazione: quella del pagamento solidale. Perché non dovrebbe rispondere ognuno per sé?” E Wolfe gli risponde che va bene, non insisterà su quel punto. In realtà, spiega, quella clausola l'ha messa appunto perché le sue controparti avessero qualcosa da togliere. E di fronte a tanta impudenza i poveracci capiscono di non avere davvero una via di scampo.
    A me, che sto rileggendo il romanzo (che è del '35: tra i primi, dunque, che Stout dedicò ai suoi personaggi) quel passaggio ha fatto venire in mente – non ve ne stupiate – il professor Monti e la sua manovra. Anche in questo caso abbiamo un documento, per così dire, in due tempi, nella seconda versione del quale l'estensore, di fronte alle proteste dei destinatari, fa alcune concessioni. E anche in questo caso mi sembra ragionevole supporre che alcune delle clausole più sgradevoli siano state prospettate in un primo tempo appunto per aver qualche cosa da togliere.
    È solo una supposizione, naturalmente, ed è improbabile che il Presidente del Consiglio, a differenza di Wolfe, decida di darne platealmente conferma. Ma, insomma, certe mosse iniziali, nella manovra, avevano un carattere così manifestamente vessatorio da non sembrare vere. Esentare dal blocco degli adeguamenti le pensioni inferiori ai 500 euro e solo quelle significava un vero e proprio schiaffo alla miseria, una insopportabile presa in giro di chi deve arrangiarsi con quella somma mensile e dagli adeguamenti non può aspettarsi che pochi spiccioli in più. Prevedere la tassazione della prima casa a rendita rivalutata senza tenere nel minimo conto il reddito e le condizioni di famiglia dei contribuenti interessati equivaleva, in un paese a piccola proprietà diffusa come il nostro, a una misura di esproprio generalizzato. Prevedere il brusco innalzamento dell'età pensionabile ai livelli in cui era previsto all'inizio significava infierire su chi aveva lavorato e pagato i contributi per tutta una vita e distruggere bruscamente progetti e prospettive accarezzati da chissà quanti anni. Simili misure avrebbe potuto proporle Attila re degli Unni, non un governo italiano, sia pure di tecnici. E infatti, in meno di una settimana, sono state tutte modificate e sono passate alla Camera in altra forma. Il sospetto che tutto ciò fosse calcolato e previsto non sembra, anche all'osservatore non particolarmente malizioso, un'ipotesi da scartare.
    Anche perché la manovra – si noti – è passata alla Camera in altra forma, ma solo fino a un certo punto. Gran parte delle pensioni che restano soggette al blocco degli adeguamenti non configurano certo, per chi le percepisce, un'entrata principesca e la prospettiva di vederle erodere a breve dalla inflazione è tutt'altro che remota. Gli sconti previsti sull'imposta sulla casa sono, a ben vedere, una miseria e non cambiano granché la situazione dei soggetti tassati. E il numero dei lavoratori che si sono visti strappare da un momento all'altro la prospettiva dell'agognata pensione a breve e dovranno rassegnarsi a tirare la carretta per due, tre, quattro anni ancora e più è tutt'altro che trascurabile. Le misure adottate, insomma, restano severe, anche se i ministri e, soprattutto, i partiti possono compiacersi del fatto che non siano così severe come erano apparse all'inizio. Con questa manovra in due tempi, il cittadino è invitato a commisurare i sacrifici che gli sono richiesti non sulla situazione precedente, ma sull'ipotesi più minacciosa che gli era stata fatta balenare. E ne conclude, in un modo o nell'altro, che poteva andar peggio.
    “Una furberia da mercante, vero?” chiede, “con fiero cipiglio”, l'avvocato Cabot a Wolfe dopo la sua spiegazione. Noi ci asterremo dal fare la stessa domanda al professor Monti, anche perché, furberie a parte, siamo consapevoli del fatto che dalla sua manovra non ha tolto, nonostante le proteste dei cittadini e dei lavoratori, niente di sostanziale. Non ne ha tolto né le misure per salvare l'equità né quelle per favorire la crescita, per il semplice motivo che di misure di quel tipo non ne aveva previste neanche all'inizio. E sa comunque che siamo tutti con l'acqua alla gola – siamo tutti “uomini spaventati” – e, per quante proteste possiamo esprimere, dovremo ingoiare il rospo. Proprio come lo sapeva Wolfe dei suoi clienti.

    Ma Nero Wolfe, per lo meno, non aveva fatto la Bocconi.

    18.12.'11