Contraddizioni al semaforo

La caccia | Trasmessa il: 04/26/2009


    La scritta è inequivocabile, a caratteri piuttosto vistosi e colori vivaci: “Ristorante 'Lo spiedo' Pizzeria”. Non si tratta propriamente di un'insegna: è piuttosto una di quelle targhe metalliche applicate ai pali della luce, di solito al fine di segnalare la presenza di un certo esercizio lungo la prima traversa. Comunque, il passeggere disciplinatamente fermo con la sua vettura, in coda a un centinaio di metri dal semaforo più vicino, un poco, inevitabilmente, si annoia e cerca di ingannare l'attesa in futili speculazioni. Quella dizione – riflette – è un poco contraddittoria, perché le pizze, si sa, non si fanno con lo spiedo, ma lo spiedo, d'altra parte, è dotazione corrente di molti ristoranti e l'esistenza di “ristoranti pizzeria” in cui tale attrezzo sia in uso sarà forse contraria alle più rigide tradizioni partenopee, ma è ormai comunemente ammessa nel settore della ristorazione. Niente di particolarmente anomalo, dunque, e potrebbe valere la pena di spostare l'attenzione sull'insegna del negozio adiacente, un piuttosto inquietante “Bilance affettatrici”, in cui la mancanza della congiunzione tra i due termini potrebbe far pensare – a torto, credo – che il secondo sia un aggettivo e che quindi lì siano in vendita delle particolari pesapersone capaci di affettare chi, al loro controllo, venisse trovato al di sopra della stazza prevista, quel tipo di bilance, per intendersi, che utilizzerebbe Procuste, ma su quella targa c'è scritto ancora qualcosa e il passeggere (che non gode più della vista di falco dei suoi verdi anni) dopo due o tre avanzamenti del veicolo è adesso in grado di metterlo a fuoco. Sotto il “Pizzeria” si legge, in caratteri meno vistosi, “Steak House” e, ancora un poco più in basso, “Specialità pesce”. Dunque: ristorante lo spiedo, pizzeria, steak house e specialità pesce. Be', questo tipo di offerta, lo ammetterete, qualche problema all'analista lo pone.
    Nulla esclude, naturalmente, che nello stesso locale si possano servire polli arrosto, fiorentine, quattro stagioni, gianchetti in frittata e branzini al sale. In certe trattorie toscane vecchio stile l'assortimento del menù è ancora più ampio e variato. Questi articoli, tuttavia, non possono essere tutti contemporaneamente la specialità della casa, né rappresentarne l'offerta principale. In un mondo ordinato una pizzeria ha tutti i diritti di elargire ai clienti qualsiasi cosa, dallo stoccafisso in salamoia allo zighinì, ma la sua proposta base, quella di fronte alla quale le altre acquisiscono ipso facto lo stato di varianti facoltative, dovrebbe sostanziarsi nelle pizze. Analogamente è lecito aspettarsi che una steak house proponga soprattutto bistecche e che chi vanta il pesce come propria specialità traffichi principalmente in dentici, orate e merluzzi. Che in tre articoli eterogenei si possa essere specializzati (quattro, se contiamo lo spiedo e il suo indotto) e tanto specializzati al punto da proporli congiuntamente come caratterizzanti il proprio locale è pretesa vagamente contraddittoria. Non sarà, se vogliamo, una grandissima contraddizione, definita com'è più sulla tradizione che sulla logica formale, ma contraddizione sempre resta e una sua serena valutazione potrebbe spingere il passante alla ricerca di un locale dove consumare il proprio pasto a sceglierne un altro. In fondo, le targhe e le insegne hanno la funzione precipua di fornire agli interessati delle informazioni sull'entità cui si riferiscono, e quella targa ha, più o meno, lo stesso valore informativo di quelle previsioni meteorologiche che ti promettono, per il week end a venire, tempo generalmente sereno con la possibilità di passaggi nuvolosi accompagnati da rovesci anche intensi. Comunque sono le nove del mattino, pensare al pasto è indubbiamente prematuro e il passeggere che fa queste considerazioni è finalmente arrivato al semaforo, per cui, allo scattare del verde, preme delicatamente con il piede l'acceleratore e si allontana verso il proprio destino, lasciando quel locale al suo. Un destino, invero, che nulla o nessuno autorizza a prevedere come arriso dal successo e dalla prosperità, visto che non si capisce bene chi da quella insegna potrebbe essere incoraggiato a porvi piede.
    Tuttavia... Tuttavia, riflette il passeggere quando, cento metri dopo, si trova nuovamente in coda davanti a un altro semaforo, tuttavia non bisogna dimenticare che siamo in Italia. E nel nostro glorioso paese non si può negare, ahimè, che la tendenza a scegliere il meno possibile, o a non scegliere affatto, tra il sì e il no, tra la carne e il pesce, tra l'utile e il dilettevole, tra il lusco e il brusco, tra la botte piena e la moglie ubriaca e, in generale, tra i due corni di ogni possibile dilemma alligna più di quanto, in tutta franchezza, non si auspicherebbe. Solo in Italia, per fare un esempio della più stretta attualità, si può trovare un Presidente del Consiglio capace di celebrare, sia pure a modo suo, il 25 aprile e di stare comunque al governo con tutta una banda di fascisti dichiarati, molti dei quali non si prendono neanche il disturbo di dichiararsi ex o post. E solo in Italia, naturalmente, l'opposizione può chiedergli di farlo, pretendendo che colui che considera (non a torto) come il proprio principale avversario celebri tuttavia i propri valori. Valori che, per forza di logica, o sono di parte o sono generali, ma che entrambi gli schieramenti si ostinano a considerare – pur da opposti punti di vista – sotto entrambi i profili. Questo, d'altronde, è solo un esempio: la nostra è la nazione in cui i fascisti inneggiano alla libertà, i secessionisti si presentano come fautori dell'interesse nazionale e nello stesso partito militano – o fanno finta – i seguaci del libero pensiero e coloro per cui ogni sillaba sfuggita al seno del papa è legge cogente e ultimativa e presso il cui parlamento è depositato un disegno di legge che prevede l'elargizione della stessa onorificenza a chi è finito nei campi di concentramento e a chi ce l'ha spedito. Quella in cui i conservatori fanno mostra di riformismo e gli innovatori si sforzano d'innovare il meno possibile e qualsiasi carriera, per farla breve, richiede, anzi esige, l'abiura preventiva del principio di contraddizione. Che importanza volete che abbia, in questo canaio, una pizzeria specializzata in bistecche alla griglia e pesce allo spiedo?

    Permettetemi però di finire su un tono più alto. Dante, nel XXVII canto dell'Inferno (vv. 67 – 136) racconta di come un demonio dalle spiccate tendenze filosofiche trascini nell'abisso, in nome della “contraddizion che nol consente” l'anima del povero Guido da Montefeltro, che si era fatto dare l'assoluzione anticipata dal papa per il peccato che si apprestava a commettere. Non c'è chi non veda come oggi un Guido da Montefeltro redivivo sarebbe uno dei personaggi di maggiore spicco della politica nazionale. I suoi consigli, per quanto fraudolenti, andrebbero a ruba. È vero, peraltro, che a Bonifacio VIII il personaggio aveva consigliato semplicemente di promettere molto e mantenere poco: una raccomandazione, a pensarci, che se fatta ai nostri governanti non può che apparire superflua.

    26.04.'09