Condizioni al futuro

La caccia | Trasmessa il: 02/20/2000



Una notiziola sommersa nell’oceano di piombo dedicato dai giornali alle polemiche sul cosiddetto “pacchetto sicurezza”, come a dire alle risse tra Bianco e Diliberto, alle smentite di Violante, alle assicurazioni di D’Alema, alle provocazioni del Polo e al connesso sciocchezzaio politico parlamentare, tutta roba che il lettore di buon senso lascerebbe perdere volentieri, se non riguardasse – ahimè – un problema serio come la libertà dei cittadini e la dignità delle strutture giudiziarie, ci ha informato, giovedì scorso, che la Commissione Giustizia della Camera ha preso finalmente una decisione concreta.  Ha votato l’articolo 2 del provvedimento predisposto dal governo, secondo il quale “la sospensione condizionale della pena è ammessa soltanto se il giudice ha specifici elementi per ritenere che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati.”  Una misura, assicura tranquillamente D’Alema, che, al pari di tutte le altre in via di approvazione non comporta “una svolta antigarantista”.
        Non abbiamo motivo – naturalmente – di dubitare delle assicurazioni del Presidente del Consiglio.  Ma qualche dubbio quell’articolo ce lo lascia lo stesso.  E come diavolo farà il giudice, ci chiediamo, all’atto di decidere se concedere o meno la condizionale a colui che condanna, a sapere per certo che costui si asterrà, in futuro, dal delinquere ulteriormente?  Il futuro, si sa, è sulle ginocchia degli dei e futili e vani sono i tentativi degli uomini di prevederlo.  A meno che il Ministero non abbia stanziato i fondi necessari per dotare ogni tribunale dell’apposita sfera di cristallo – un provvedimento di cui non c’è traccia nella Finanziaria in vigore – sarà ben difficile che il povero magistrato disponga degli elementi concreti che la nuova legge gli impone di prendere in considerazione.
        Ma su un argomento del genere, forse, non è il caso di scherzare.  Un articolo di legge che lega la concessione di un beneficio a una previsione sull’uso che ne farà il beneficiario non è proprio una cosa da niente.  La sospensione condizionale della pena è sì un beneficio legato a certe condizioni (non per niente si chiama così), ma quelle condizioni, com’è logico, riguardano il presente e il passato, perché altrimenti non sarebbe nemmeno possibile riconoscerne la sussistenza.  La pena, com’è prevista oggi, non deve superare i tot anni; il reo, al momento della condanna, dev’essere incensurato; non devono sussistere, adesso, determinate aggravanti, e così via.   È ovvio che dalla presenza (o dall’assenza) di quelle condizioni sarà possibile inferire qualcosa sul futuro, ma appunto di inferenze, e non di “concreti elementi”, si tratterà sempre.  La nuova formulazione nel migliore dei casi è superflua, nel senso che ben difficilmente gli elementi da prendere in considerazione saranno diversi da quelli che già si considerano adesso, e nel caso peggiore è semplicemente demenziale: nulla di cui una Commissione del Parlamento italiano possa o debba menare vanto.  Anche perché se uno stabilisce il principio per cui si deve prevedere il futuro per mettere fuori qualcuno, nulla vieterà poi di affermare che un’analoga previsione è più che sufficiente per mettere qualcun altro dentro.  Perché no?  Io giudice dispongo di “elementi concreti” per decidere che tu cittadino sei in procinto di commette qualche reato e visto che è sempre meglio prevenire che reprimere decido seduta stante di sbatterti dentro.  Poi si vedrà.
        È ben strana, in realtà, questa campagna sulla sicurezza che periodicamente, a intervalli sempre più brevi, affligge l’opinione pubblica e il mondo politico.  Tutti gli esperti ci ripetono che l’insicurezza che affligge la nostra società non dipende che in minima parte dai fenomeni delinquenziali e dalla violenza criminale, per non dire della propensione a delinquere di chi ha goduto in passato di un provvedimento di clemenza.  Lo sanno tutti che le percentuali di detenuti scarcerati che abusano della fiducia concessa sono risibili, che il numero dei reati di sangue e dei fatti di violenza è in costante diminuzione, che la nostra società è infinitamente meno violenta di pochi decenni or sono (il numero di omicidi per ogni 100.000 abitanti è passato, in Italia, dai 14 del 1880 ai 2 e qualcosa del 1995, per citare il primo e l’ultimo anno per cui sono disponibili i dati ISTAT). Gli elementi di insicurezza sono ben altri e nessuno si preoccupa minimamente di eliminarli.  Anzi, è sulla promozione dell’incertezza che si fondano – a ben vedere – il preteso “rinnovamento” e il conclamato ammodernamento che la nostra classe dirigente persegue e non basta chiamarla “flessibilità” per eliminare il problema.  Così, il posto di lavoro è sempre più precario, le condizioni in cui si lavora si fanno sempre più rischiose, le prospettive di godere di qualche assistenza e di andare a suo tempo in pensione appaiono sempre più incerte e la fiducia nella certezza delle leggi e in una loro serena applicazione è sempre meno giustificata.
        In effetti, visto che nella follia di chiunque dev’esserci sempre un poco di metodo, suppongo che, ai fini concreti, quell’articolo 2 significherà soltanto che i magistrati, nel dispensare i benefici di legge, goderanno di un margine maggiore di discrezionalità.  Che in nome dell’incertezza del futuro (appunto) potranno passar sopra a quanto raccomanderebbe il presente.  Per chi ritiene, e non siamo in pochissimi, che la magistratura disponga già ora di fin troppa discrezionalità, visto che è sul libero convincimento del giudice, e non sulla cultura della prova, che si fondano le sentenze, non è certo un gran passo avanti.   Ma per chi ritiene che il metodo migliore per non fare venire alla gente troppe idee strane sia quello di contrapporre alle incertezze reali del nostro tempo delle incertezze fantastiche e ipotetiche, di offrire, in altre parole, al popolo bue dei capri espiatori contro cui scagliarsi per impedirgli di affaticarsi nell’esercizio del pensiero critico è senz’altro una gran bella idea.

20.02.’00