Come vincere sempre al Superenalotto

La caccia | Trasmessa il: 11/15/1998



Una volta, nell’Italia piccolo borghese in cui sono cresciuto, il gioco era un vizio.  Di chi, nella propria cerchia di conoscenze, ne era affetto si parlava, quando se ne parlava, a bassa voce, per allusioni, come si faceva sempre per le pecore nere delle famiglie rispettabili, quelli che erano un po’ troppo disinvolti con le signore, o bevevano o avevano – Dio ne scampi – un debole per i ragazzini.  E si capisce, perché la passione per i casinò contraddiceva in toto i parsimoniosi ideali di una società che rispettava il denaro e la fatica che, almeno in teoria, bisognava fare per guadagnarselo, non meno di quanto la propensione all’adulterio o peggio mettesse in discussione la morale riconosciuta.  Chi arrischiava i propri risparmi alla roulette metteva in forse il regolare pagamento dei mutui della casa, la dote delle figlie e la possibilità stessa di far salire la sua famiglia su per la scala sociale.
        Oggi, naturalmente, di queste cose si preoccupano in pochi e forse è meglio così.  Il gioco d’azzardo è un fatto di massa, largamente pubblicizzato sui media, Radio Popolare compresa, e gestito da uno Stato, che sui relativi profitti fa conto per risolvere non pochi problemi, a partire dalla conservazione del patrimonio artistico nazionale.  E se è vero che, in linea di fatto, non è facilissimo rovinarsi giocando al lotto, o alle sue varie derivazioni, è anche vero che il dissoluto gaudente di un tempo, quello che scommetteva sulla possibilità che “uscisse” un numero su trentasei, con la prospettiva, tutto sommato abbastanza onesta, di vincere, se gli andava bene, trentasei volte il piatto, ci appare un investitore cauteloso e prudente se lo confrontiamo con quanti tentano due volte la settimana di azzeccare una combinazione di sei numeri su centodieci milioni di probabilità, e senza che il premio promesso sia in alcun modo proporzionale a questo fattore di rischio.
        D’altronde, ditemelo voi, come si fa a non giocare al Superenalotto?  Come si fa a resistere alla pressione di una campagna di stampa che, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, ci parla, senza ovviamente scendere nei particolari statistici, della possibilità di vincere due, tre, quattro, quaranta, sessanta miliardi con una schedina da milleseicento lire?  Quando la televisione intervista non i vincitori, che, sagacemente, si guardano bene dal farsi trovare, ma i giocatori in fila davanti ai botteghini e ne riceve risposte del tipo di “no, quaranta miliardi sono troppi, mi farebbero paura, mi accontenterei di molto meno” che, nella loro evidente demenzialità, hanno tuttavia l’effetto di far sembrare la vincita un po’ più probabile, una prospettiva che dipenda, più che dall’arbitrio della classica Dea bendata, anche da una certa tua disposizione di spirito.  A chi si accontenta, si sa, può anche capitare di godere, ogni tanto.
        E poi, insomma, ogni tanto qualcuno la combinazione vincente l’azzecca.  Quei sei numeri che mi sono venuti in mente ieri, le date di nascita dei miei bambini, quella del giorno in cui la morosa mi ha detto di sì, la targa della mia prima automobile, tutte cifre che per me significano comunque qualcosa, come possono non avere un significato anche per la Fortuna?  Ieri non sono uscite, certo, ma domani, chissà, forse sì.  E milleseicento lire, via, sono una vera miseria, una cifra della cui mancanza non si soffre, di cui, anzi, nessuno si accorge nemmeno.  Per cui, tanto vale.
        E così, milleseicento lire dopo milleseicento lire, non ci rendiamo conto di come, nell’accanirci a sfidare un banco che gode di più vantaggi di quanto il più incallito baro del vecchio West abbia mai sognato di attribuirsi, siamo inesorabilmente destinati a soccombere , e come le milleseicento lirette che di volta in volta ci rimettiamo acquistano tutto un altro significato se le si riferisce alla massa di denaro in cui confluiscono, una quantità immane di soldi di cui lo Stato alleggerisce bisettimanalmente le tasche dei cittadini.  I quali, d’altronde, se solo si azzardano a entrare nel giro infernale dei sistemi e delle carature possono, senza nemmeno accorgersene, rimetterci anche delle somme tutt’altro che indifferenti.
        D’altro canto, giocare è un’attività piacevole, non si può negare che una moderata quantità d azzardo conferisca un certo gradevole brio all’esistenza e non si capisce perché si debba permettere all’avidità dello Stato di negarci questa ingenua gratificazione.  Per questo mi permetto di suggerirvi un metodo per giocare tutte le volte che lo desiderate, correndo sì, qualche rischio, perché se no che razza di gioco sarebbe, ma senza locupletare inutilmente le finanze pubbliche a scapito delle vostre private.
        Dunque, scegliete sei numeri da uno a novanta.  Sceglieteli con il criterio che più vi aggrada, aprendo a caso un volume, calcolando i ritardi dell’estrazione sulle ruote principali, ricavandoli dalla data di nascita vi è caro, vaticinandolo dal volo delle rondini in primavera o dal venir meno delle foglie in autunno: fate pure come volete.  Una volta sceltili, prendetene accuratamente nota: se volete, riportateli pure su una delle schedine in libera distribuzione presso i punti di gioco (in questo caso potrete strafare e, visto che ogni schedina è provvista di due colonne, sceglierne addirittura dodici).  Dopo di che, guardatevi bene dall’andarli a giocare: abbiamo già visto che difficilmente potrebbe venirvene qualcosa di buono.  Riponete l’appunto o la schedina in un posto sicuro e aspettate l’estrazione del mercoledì o del sabato successivo.  Se, come è più che probabile, non saranno usciti, avrete la soddisfazione di ritrovarvi in tasca milleseicento lire in più, che è ovviamente lo stesso che averle vinte.  E non dite che così non si rischia niente: pensate a come vi sentireste se quella combinazione fosse effettivamente uscita e capirete che un rischio, un azzardo, lo avete corso comunque.  Vi siete solo permessi di invertire il gioco delle probabilità a vostro favore: tanto lo sanno tutti che invertendo l’ordine dei fattori il prodotto non cambia.

15.11.’98