Spero che abbiate apprezzato al loro giusto valore le parole del vicesindaco
De Corato, che, commentando le recenti proteste contro il disservizio tranviario,
ha avuto il coraggio di dichiarare che “i cittadini sarebbero meno critici
se conoscessero meglio l’azienda”. Che è un bell’esempio, ne converrete,
di quella “inversione obbligata del punto di vista” che caratterizza
da un po’ i rapporti tra i milanesi e l’amministrazione comunale.
I cittadini, naturalmente, sanno benissimo come funzionano i trasporti
pubblici, hanno esperienza diretta della scarsità cronica dei mezzi, dei
ritardi che accumulano, delle scomodità che comportano e via dicendo, ma
se si mettessero dal punto di vista di chi gestisce quello scandaloso sistema,
be’, pensano a Palazzo Marino, non potrebbero che apprezzarne gli sforzi.
In alta sede hanno deciso che obiettivo di quella gestione non è
l’offerta un servizio decente o appena degno della città, ma il ricavo
di un utile (da investire, magari, in bond Cirio) e visto che, a forza
di rarefazione delle corse, tagli delle linee e risparmi sul personale,
all’utile si è arrivati, che volete che importi se la gente deve aspettare
al gelo per quaranta minuti e passa un tram che non si decide ad arrivare?
L’unico punto di vista che quei signori sono disposti a prendere
in considerazione è il proprio e se qualcuno protesta vuol dire che, per
malevolenza o disinformazione, non lo capisce. Tanto è vero che i
responsabili ATM ritengono che “trovare sistematicamente riportati su
alcune testate dati per dimostrare il peggioramento del servizio evidenzia
l’atteggiamento superficiale e qualunquistico di chi li dichiara.” L’argomento
può sembrare viziato da una buona dose di autoreferenzialità, ma è ormai
tipico di questo paese e non solo a livello municipale. È lo stesso,
più o meno, cui ricorre instancabile Berlusconi, quando lamenta la
scarsa o nulla consapevolezza fra le masse dei successi del suo governo
e l’addebita alla gretta ostilità degli organi di informazione.
Ed è ovvio che a Milano, patria del berlusconismo, se ne faccia un uso
intensivo, al punto di far sospettare che amministratori e amministrati
vivano, ormai, su due pianeti diversi.
Non so, così, se avete presente quell’interessante
opuscolo che il Comune ci ha fatto arrivare a domicilio prima delle feste,
per celebrare degnamente (e a nostre spese) le proprie realizzazioni. Sarebbe
sbagliato, credetemi, considerarlo soltanto un esempio di volgare propaganda,
o l’ennesima manifestazione del narcisismo di un sindaco che riesce a
piazzare diciannove volte la propria immagine in un testo di trentasei
facciate. È, piuttosto, la dimostrazione di quello che si può fare
una volta persi definitivamente i contatti con il punto di vista altrui.
Con uno slancio di fantasia che farebbe invidia ai grandi della
favolistica, da Perrault agli autori di Harry Potter, la nostra città è
descritta come una sorta di Bengodi metropolitano, dove non si legano le
viti con le salsicce per l’unico motivo che di viti, dato il clima, non
ce ne sono. La sua immagine, ci viene spiegato, si sta modificando
“dopo quasi mezzo secolo di sopore”. Milano è una città “tecnologica,
ma rispettosa delle esigenze dei bambini e dei loro nonni; innovativa nelle
risposte abitative ma attenta all’ambiente”, circondata “da una cintura
verde da far invidia alle altre metropoli europee”; una “città delle
culture”, in cui non solo è stata restaurata la Scala, ma grandi cose
si faranno al Castello, a Palazzo Reale all’Ansaldo e altrove; una città
verde, in cui la superficie di parchi e giardini è destinata a salire fino
a sei volte l’area del Central Park di New York; una “città che si muove”,
perché i poteri del Sindaco-Commissario hanno permesso di dare al traffico
una bella sforbiciata; una città in cui a breve si troverà posto senza
problemi negli asili, le scuole saranno tutte rinnovate e persino la frequentazione
degli ospedali sarà una festa; una città, insomma, “dal cuore grande”
che ama i suoi cittadini e offre loro un welfare “invidiato e copiato
in tutta Europa”. E poco importa che, leggendo attentamente, si
scopra che la più parte di questi risultati è riferita, prudentemente,
al futuro: l’immagine che ci si presenta è comunque quella, il ritratto
di una città virtuale, di plastica, ottenuto assemblando con disinvoltura
progetti propri e altrui, realizzati, realizzabili o di dubbia o impossibile
realizzazione, un libro dei sogni che stride con quanto capita di osservare
di persona ogni giorno.
Perché poi uno, nonostante i consigli
impliciti, del vicesindaco, i giornali li legge e apprende, per limitarsi
ai casi più recenti, dell’accumularsi di polveri e veleni vari nell’aria,
di lavoratori incazzati che bloccano per esasperazione i binari del tram,
della sistematica desertificazione delle aree verdi per farne parcheggi
o grattacieli e di tante altre cosette che mal si conciliano con l’idea
di una metropoli ecologica, innovativa e rispettosa delle esigenze dei
deboli. Quanto al fatto che abbia un cuore, basta pensare alla vicenda
dei duecentocinquantasei rifugiati africani, sbattuti in strada sotto la
neve due giorni dopo Natale, come in un romanzo strappalacrime di fine
‘800, alla pervicacia con cui il Comune, sindaco in testa, si è opposto
alle varie proposte per una loro sistemazione e ai commenti sarcastici
con cui assessori e dirigenti li hanno invitati a tornarsene a casa loro.
Che una città del genere meriti di essere invidiata, in Europa o
altrove, non lo crederebbe neanche il dottor Pangloss.
Basterebbe guardarsi attorno, dicevamo.
Ma è appunto il confronto con l’esperienza quotidiana che viene
precluso a priori dall’assunto da cui siamo partiti, quello che nega valore
a priori a qualsiasi informazione sgradita, da qualsiasi parte provenga.
E comunque, a questa classe dirigente il confronto proprio non interessa.
I suoi esponenti, ormai, non sanno fa altro che specchiarsi nelle
immagini che hanno evocato e, come in ogni specchio, vedono, compiacendosene,
soltanto se stessi. Noi potremo anche compiacerci un po’ meno,
ma tanto ci risponderanno che è solo perché non siamo abbastanza informati.
Ci sarebbe, naturalmente, un’altra ipotesi,
più semplice, per spiegare questo curioso atteggiamento. Basterebbe
supporre che i nostri amministratori siano, in linea di massima e fatte
salve le dovute eccezioni, una manica di bugiardi. Ma questa è un’accusa
di carattere squisitamente personale e morale, che si esita a muovere a
degli individui che non si conoscono di persona e potrebbero benissimo
essere ottusi e narcisisti, sì, ma in buona fede. Tuttavia, i cittadini
hanno oggi sotto gli occhi almeno un caso di menzogna palese e il fatto
che non riguardi l’amministrazione presente, ma – forse – quella futura
lo rende ancora più interessante. Perché se una signora importante,
figura di primo piano della politica nazionale, dichiara fino al giorno
x di non avere ancora deciso se accettare o meno la candidatura a sindaco
(il termine tecnico è “sciogliere la riserva”, ma il senso è quello)
e il giorno x + 1, presa la storica decisione, inonda la città di manifesti
e opuscoli con la sua immagine, dando l’avvio a una campagna programmata
con tutta evidenza con largo anticipo, che cosa bisogna dedurne? Be’,
che prima mentiva di brutto, non se ne scappa. Dal che non è obbligatorio
dedurre che menta anche adesso, quando dichiara di essersi posta in ascolto
dei desiderata e dei suggerimenti dei cittadini, né che i suoi programmi
siano tutti mendaci, ma autorizza – come minimo – una certa diffidenza.
Ma noi del centro sinistra siamo buoni e non daremmo mai della bugiarda
a una signora. E comunque siamo troppo occupati a preparare delle
primarie la cui sincerità è perlomeno dubbia, visto che tutti sanno chi
sarà il candidato vincente, e giustamente esitiamo a scagliare la prima
pietra.