C’è qualcosa di strano in questo libro,
a prima vista. L’autore ha un nome italiano e nomi italiani portano
anche personaggi, ma il loro modo di vivere non sembra esattamente quello
dei nostri concittadini. Ci sono delle differenze, impalpabili, forse,
ma indiscutibili. Per esempio, la protagonista, Francesca, è supplente
in una scuola media: fa le sue brave lezioni, poi, siccome è arrivata l’ora
di pranzo, va in mensa e si mangia una lussuosa porzione di cordon bleu
con patatine fritte. E da quando mai, si chiede il lettore, in Italia
le scuole medie hanno la mensa e servono piatti così raffinati?
E in Italia, in effetti, non siamo: ci troviamo in Svizzera, a Locarno,
e questo Chi muore si rivede, opera prima di un bravo giornalista di Bellinzona,
è probabilmente il primo giallo ticinese di tutta la storia del genere.
Una chicca, dunque, che va segnalata e festeggiata, visto che la
vicina Confederazione, salvo che con i romanzi di Dürrenmatt, che notoriamente
sono tutt’altra cosa, finora non aveva contribuito un granché al nostro
genere favorito. Il romanzo non sarà un capolavoro e con Dürrenmatt
non ha certamente nulla a che fare, ma se la cava lo stesso: parte,
a passo un po’ incerto, come mystery classico, con la scoperta in una
soffitta di un misterioso collier di brillanti e un delitto in una camera
chiusa dall’interno (ma la soluzione di questo specifico mistero è troppo
simile a quella ultraclassica di Israel Zangwill per interessare davvero)
e solo dopo qualche capitolo trova la sua vera natura di bonario thriller
sentimentale, con una protagonista simpatica, la Francesca di cui sopra,
studentessa di lettere in crisi che capita senza colpa in una storiaccia
di famiglia, un investigatore privato luganese un po’ svagato che le fa
il filo e una famiglia di gioiellieri svizzeri nei cui armadi blindati
gli scheletri allignano quasi e più dei diamanti. Le scene finali,
in una Zurigo sconvolta dalla Street parade, sono decisamente brillanti
e la conclusione, sul Cisalpino che riporta i nostri eroi a Lugano attinge
la giusta nota di suspence. Insomma, l’impostazione è forse un
po’ ingenua, ma lo svolgimento è ineccepibile e almeno ci evita i luoghi
comuni che spadroneggiano oggi nel giallo italiano propriamente detto,
sviluppando con ragionevole autonomia certe convenzioni base del genere
di cui, a torto, ogni tanto si pensa di poter far meno. Insomma,
se lo trovate (e qui oltre confine non è facilissimo) dategli un’occhiata
e non avrete a pentirvene. E poi della Svizzera, dite quel che volete,
ci si può sempre fidare.
17.01.’06
Andrea Fazioli, Chi muore si rivede, Armando Dadò Editore, Locarno, pp. 386, senza indicazione del prezzo (ma € 17)