Una volta, più spesso negli sketch e
nelle barzellette che nella vita reale, ma forse anche in quella, l’iracondo,
posto di fronte all’oggetto della sua rabbia, esplodeva in un grido caratteristico:
“Tenetemi!” Poteva trattarsi della reazione di un padre severo
all’ultima marachella di un figlio discolo, della conclusione di un dibattito
andato un po’ sopra le righe, della risposta a un’accusa ingiusta e malevola
o a una mascalzonata particolarmente odiosa, ma la mossa retorica era sempre
quella. “Tenetemi se no l’ammazzo”. Aiutatemi – vi prego
– a non fare uno sproposito. Serviva, al tempo stesso, a sottolineare
la gravità dell’offesa subita, una gravità che avrebbe giustificato la
più rude delle rappresaglie, a invocare la solidarietà degli astanti e
a manifestare la rinuncia a un uso, pur giustificato, della violenza. Chi
gridava “Tenetemi!”, in realtà, non aveva la minima intenzione di passare
alle vie di fatto contro colui che l’aveva offeso o disgustato, ma preferiva
attribuire agli altri la responsabilità relativa. Il fatto, cari
amici, che il mio onore sia stato ferito, che la mia autorità sia stata
messa in discussione richiederebbe, come senz’altro saprete, la più severa
delle ritorsioni, ma tanta radicalità comporterebbe delle conseguenze
che non mi sento di affrontare, per cui tocca a voi, che mi volete bene,
ridurmi a più miti consigli. Approvatemi, dunque, e tenetemi.
La
mossa sembra ripresentarsi sempre più spesso nell’argomentare del presidente
Berlusconi. Anche lui ha preso l’abitudine di giocare sullo scarto
tra quello che, lasciato a se stesso, farebbe e quello che amici più o
meno ben intenzionati gli lasciano fare. E poco importa, in fondo,
se usa l’argomentazione in forma speculare, nel senso che non dice, naturalmente,
“Tenetemi, se no taglio le tasse!” (che sarebbe – credo – un discreto
sproposito), ma preferisce spiegare che lui le tasse le taglierebbe, anzi,
le avrebbe già tagliate, se non ci fossero i suoi soci di maggioranza a
tenerlo.
Sia
pure in forma di deprecazione e non di invito, anche Berlusconi, come l’iracondo
della barzelletta, separa i meriti dalle responsabilità. Lui vorrebbe
tagliare le tasse, e per questa volontà va apprezzato, ma gli altri glielo
impediscono, e su di loro deve dunque cadere ogni biasimo. Politicamente,
il discorso regge solo fino a un certo punto, perché è ovvio che in un
governo di coalizione la responsabilità deve essere solidale tra tutte
le forze coalizzate e, anzi, spetta proprio al Presidente del consiglio
farsene garante e promotore, ma a queste raffinatezze dialettiche il nostro
è sempre stato piuttosto allergico. Lui sa che le promesse non costano
niente, ma, se adeguatamente pompate, possono sempre rendere qualcosa e
tanto gli basta.
Il
che significa che su quelle promesse noi possiamo tranquillamente fare
una croce. Anche il Presidente, a pensarci bene, non ha la minima
intenzione di fare uno sproposito, lo tengano o non lo tengano. In
tema di tasse, qualcosa, magari, mostrerà anche di tagliare, come preludio
alla campagna elettorale, ma persino lui sa che la pressione sui cittadini
resterà la stessa, perché con i tempi che corrono tagliando di qua si deve
sempre l’aumentare di là e financo la sua amatissima abolizione della
quarta aliquota è destinata a restare un gioco di parole, grazie all’introduzione
di un “contributo etico provvisorio” che suona certamente meglio, ma,
stringi stringi, è la stessa cosa. Come tutti quelli che invocano
la responsabilità altrui, il Silvio nazionale è oculatissimo amministratore
delle iniziative proprie. Lui è uno che parla molto e fa poco, il
che poi è piuttosto confortante, perché quando fa, come abbiamo visto,
sono quasi sempre disastri. Bisogna proprio tenerlo.
31.10.’04