Celebrazioni

La caccia | Trasmessa il: 02/20/2011


    Ce l'hanno fatta. Messo a tacere il malumore della provincia di Bolzano, i cui cittadini non riuscivano a capire cosa c'entrassero loro con la celebrazione di un evento a cui il loro paese era stato, a suo tempo, piuttosto contrario, garantitosi il consenso della Chiesa, che, pur senza cestinare definitivamente il Sillabo, onorerà la giornata con una messa solenne presieduta da Bagnasco in persona nella basilica di Santa Maria degli Angeli, placate le preoccupazioni monetarie della Confindustria grazie al generoso sacrificio del ministro La Russa, che per quest'anno ha rinunciato alla investitura semifestiva della giornata delle Forze Armate, permettendo che i conti delle ore lavorate e di quelle festeggiate tornassero in pari, superata, bene o male,l'ostilità dei secessionisti padani, il governo ha finalmente deciso che l'Italia celebrerà il centocinquantenario dell'Unità, il prossimo 17 marzo, con una giornata di vacanza. Molti ministri si erano mostrati incerti fino all'ultimo, ma anche i ministri guardano la televisione, naturalmente, e lo spettacolo di Benigni che a Sanremo, la sera prima, sventolava il tricolore avrà intenerito gli spiriti più refrattari. Prepariamoci alla festa, dunque, e visto che il 17 marzo quest'anno cade di giovedì, i più fortunati ci potranno attaccare un bel ponte.
    Non vorrei fare il guastamestieri, tuttavia, se mi permetto di osservare che la scelta di quella data rivela una concezione perlomeno formalistica e burocratica dell'unità nazionale. Sì, è vero, il 17 marzo del 1861 il Parlamento di Torino diede a Vittorio Emanuele II il titolo di Re d'Italia – un evento che si potrebbe considerare più una disgrazia inevitabile che un auspicio di radioso avvenire – ma l'unificazione del paese si era già realizzata, dopo l'impresa dei Mille, con i plebisciti dell'autunno precedente e il processo storico del Risorgimento, checché se ne dica, si sarebbe concluso soltanto nove anni dopo, con quel 20 settembre del 1870 che avrebbe segnato, oltre all'annessione di Roma al nuovo regno, la fine del potere temporale dei papi. Ma forse Bagnasco non avrebbe spinto il nuovo corso della Chiesa fino al punto di celebrare una messa il 20 settembre e ricordare gli eventi del '60, con la loro connotazione rivoluzionaria, sarebbe stato sommamente indiscreto. Il voto del 17 marzo, anche se non fu espresso esattamente all'unanimità, resta un evento abbastanza neutrale da poter essere ricordato senza infastidire nessuno e questo spiega, probabilmente, perché è stata scelta quella data.
    Ciò premesso, varrà pure la pena di domandarsi che senso abbia celebrare, in un modo o nell'altro, i centocinquanta anni di vita dello stato unitario. Dire che l'Italia quel giorno festeggia il suo compleanno, come ha commentato l'ineffabile Bersani, è solo una banale antropizzazione e, d'altronde, per l'uomo il compleanno ha un significato ambiguo, perché ricorda, oltre alla crescita, l'invecchiamento e la relativa decadenza. L'occasione potrebbe essere utile, se mai, per tracciare un bilancio, per tirare le somme dei risultati ottenuti o mancati in quel lasso di tempo, ma non mi sembra che ci abbia provato davvero nessuno. A giudicare dallo stato presente, non direi che ci sia da scambiarsi delle gran manate sulle spalle. In centocinquanta anni di unità (anche a prescindere dal fatto che nel loro corso il paese ha avuto modo di ridividersi e combattere una guerra civile) l'Italia ha confermato i suoi vizi e non è certo brillata di nuove virtù. E quanto agli ideali del Risorgimento, be', non si può dire che siano sempre stati onorati. Nessuno, per esempio, sembra essersi reso conto che la questione posta, nella indifferenza generale, dal presidente della provincia autonoma di Bolzano mette in crisi proprio uno di quei valori, nel senso che uno stato fondato sul principio di nazionalità e sul diritto all'autodeterminazione non dovrebbe potersi permettere di avere all'interno dei propri confini più di trecentomila allogeni, cui nessuno, nel 1919, si è sognato di chiedere se condividessero o meno l'idea di entrare nell'Italia unita. È vero che li hanno risarciti, negli anni, con una certa quantità di quattrini e che il Sudtirolo oggi gode di un'ampia autonomia, ma non basta questo a legittimare il diritto di conquista e forse il modo migliore di celebrare l'Unità sarebbe proprio quello di concedere a quei cittadini il diritto alla scelta che fu loro a suo tempo negato. Ma provate a dirlo a La Russa.

    Quando, cinquant'anni fa, si celebrò il centenario dello stesso evento, io frequentavo la seconda liceo e – francamente – non ricordo se il 17 marzo si andò o non si andò a scuola. Un giorno di lezioni, comunque, lo persi lo stesso, perché ci caricarono tutti, me e la mia classe, su un pullman per portarci a Torino a visitare una mostra che in onore appunto dell'Unità era stata ivi allestita. Anche di quella non ricordo gran che, per cui tendo a pensare che tutta l'operazione abbia rappresentato un certo inutile scialacquio di denaro. Tuttavia mi regalarono, a me, ai miei compagni e – credo – a tutti gli studenti delle superiori, un prezioso volumetto, Gli ideali del Risorgimento e dell'Unità, a cura dell'Ente Nazionale Biblioteche Popolari e Scolastiche. Conteneva il testo della Costituzione repubblicana, quello dello Statuto albertino e una silloge di scritti che andava dalle prime riflessioni settecentesche in tema unitario, come il “Della patria degli Italiani” di Gian Rinaldo Carli, alle testimonianze dei teorici e dei protagonisti del Risorgimento, inclusi alcuni di cui non si sentiva, né si sente, parlare spesso (tra gli altri, Giuseppe Ferrari) e certi testi che allora non erano di facilissimo accesso, come i discorsi parlamentari del Cavour. Be', quella raccolta – 224 paginette in brossura – la conservo tuttora e mi è stata, nell'ultimo mezzo secolo, davvero utile. Non solo perché avere sottomano la Costituzione fa sempre comodo e non era facile, prima di Internet, trovare i riferimenti a certi autori o i riscontri allo Statuto albertino, ma perché la sua compulsazione permetteva anche al più bietolone degli studenti di rendersi conto di come l'Unità non fosse una categoria dello spirito, un'idea iperurania da inghiottire riverenti senza far motto, ma il frutto di almeno un secolo di dibattiti, polemiche e ipotesi confliggenti. Fornire uno strumento, sia pur limitato, che aiutasse a orientarsi in quel senso non era – mi sembra – una brutta maniera di ricordare quel centenario.
    Non so se oggi qualcuno abbia previsto qualche iniziativa del genere, ma, se tanto mi dà tanto, tenderei a escluderlo. Da chi si appresta a celebrare la fine dello stato pontificio con una messa solenne non mi sembra ci si possano aspettare grandi manifestazioni di critica storica. E poi guardateli, i nostri governanti: un'accozzaglia mal assortita di clericali riciclati, ex fascisti, leghisti e reggicoda del capo... Che cosa possono avere a che fare con il Risorgimento e l'Unità tutti loro?
20.02.'11