Cattivi maestri e bravi ministri

La caccia | Trasmessa il: 10/26/2008


    Mercoledì scorso, il giorno in cui Berlusconi ha tenuto la sua ormai celebre conferenza stampa in duo con la ministra Gelmini, cercando, come tanti prima di lui, di ridurre il problema del disagio della scuola e delle relative proteste a una mera questione di ordine pubblico e di intimidire, visto che c'era, l'intero sistema dell'informazione, che, a quanto pare, non riferisce delle sue iniziative con il dovuto ossequio, in quel mercoledì – dunque – il quotidiano di famiglia del presidente del Consiglio intitolava a prima pagina qualcosa come “I prof agli studenti: se non scioperate vi bocciamo” (cito a memoria, perché di comprare quel giornale non me la sono sentita). Il giorno dopo, quando buona parte degli altri quotidiani apriva facendo notare come l'Uomo di Arcore avesse mancato, su entrambi gli argomenti, l'ennesima buona occasione di starsene zitto – perché i direttori dei mezzi di informazione, per quanto proni possano essere agli interessi di chi comanda, hanno la loro immagine cui badare e non possono accettare che il capo del governo gli spieghi in pubblico cosa scrivere e cosa no, l'organo in questione replicava la dose, con un drammatico “Tornano i cattivi maestri” a sei colonne, spiegando in sommario che uno dei motivi per cui costoro vanno considerati tali è che sono adusi a “infilare manifestini nelle cartelle degli studenti”. Venerdì, costretto, come tutti, a riferire della rettifica del Berlusca, che dalla Cina ha spiegato, com'è suo costume, di essere stato frainteso e delle prime aperture al dialogo della povera Gelmini, che comincia a rendersi conto, probabilmente, del pasticcio in cui il capo l'ha cacciata, nascondeva la imbarazzante novità dietro un titolo assolutamente anodino “Occupazioni, adesso ci sarà da ridere”, ma non rinunciava a mettere in primo piano sul sito web l'altrettanto tradizionale smentita della smentita, con un asciutto “Berlusconi insiste: tra gli studenti anche facinorosi”.
    Confesso di provare un po' di compassione per quei colleghi, se tali si possono chiamare, costretti ad assecondare la strategia di comunicazione del loro datore di lavoro a costo di cadere nel grottesco. Certo, di scuola ne sanno pochino, non solo perché suppongono che sia ancora possibile trovare da qualche parte uno studente munito di un accessorio così irrimediabilmente out come la cartella, ma per la loro serena fiducia che per spingere quei bravi giovani a scendere in piazza basti la minaccia di una bocciatura. È da quarant'anni che le minacce dei professori non fanno più paura a nessuno, nemmeno agli studenti più pavidi, e come, allora, non erano valse a impedire a chi lo volesse (cioè a quasi tutti) di scendere in piazza, oggi non servirebbero certo a sortire l'effetto contrario. E di facinorosi tra gli studenti ce ne saranno di certo, perché se ne trovano dappertutto, anche al governo, ma la vecchia storia per cui basterebbe la loro presenza per mettere in agitazione una massa di pacifici secchioni di null'altro desiderosi che di studiare non riesce più neppure a far sorridere. Tutti coloro che si occupano un po' seriamente di scuola (e io, ahimè, me ne occupo da una vita) sanno che con argomenti del genere non si va lontano. Berlusconi è caduto nella trappola perché politicamente è un autodidatta e la sua ostentata intelligenza non è esente, per eccesso di autocompiacimento, dalle più immani ingenuità, per cui, di fronte a questioni un po' più complesse della media, sceglie d'istinto la via della semplificazione estrema, costi quello che costi, ma se crede davvero di risolvere i problemi dell'università dando istruzioni particolareggiate al ministro degli Interni sul come intervenire contro i riottosi è destinato anche lui a rompersi le corna. Per questo, vi confesso, quando ho saputo delle sue dichiarazioni di mercoledì (e dell'inevitabile rettifica del giorno dopo) ho provato, per la prima volta da parecchi mesi, un brivido di speranza. Non sono particolarmente fiducioso sulle possibilità di durata di questo embrione di movimento, ma non si sa mai e, certo, il duo Berlusconi Gelmini si è speso quanto meglio poteva per farlo crescere e rafforzare.
    D'altronde, la dialettica tra i cattivi maestri e i bravi ministri (o, naturalmente, tra i ministri cattivi e i maestri bravi) è più antica di quanto si pensi. Non per niente è implicita nell'origine etimologica dei due termini. E non importa che, per una di quelle inversioni semantiche cui i linguisti dovrebbero essere avvezzi, oggi a contare di più, nell'opinione comune, sia il ministro, che pure porta nel nome l'avverbio minus, “meno”, e ben poco prestigio professionale e sociale sia lasciato al maestro, il cui designante, nella forma originale magister, contiene quel magis che vuol dire “di più”. Il ministro, in sostanza, è destinato concettualmente a essere se non proprio “uno che conta meno”, un “sottoposto”, come appunto vorrebbero l'etimologia e l'uso dei buoni autori, senza dubbio un “esecutore”, uno che può sempre sentirsi chiamare da qualcun altro e ricevere dettagliate istruzioni su questo e su quello, qualcuno, in sostanza, che tra la libertà e il potere ha scelto il secondo, senza rendersi nemmeno conto della contraddittorietà della scelta. Il vero maestro, buono o cattivo che sia, della libertà non può proprio fare a meno. Ma che la scuola, per funzionare, abbia bisogno, anche e soprattutto, di libertà è un concetto che difficilmente può entrare nel cervello dei Berlusconi e delle Gelmini di questo mondo.

    26.10.'08