Campagna vendite

La caccia | Trasmessa il: 11/27/2011


    Campagna vendite

    Del compianto cavalier Berlusconi è sempre stata esaltata – probabilmente a ragione – la straordinaria capacità mediatica: l'abilità con la quale è riuscito, per quasi due decenni, a vendere se stesso agli italiani, a nascondere la propria sostanziale mediocrità dietro un'inedita immagine di statista gaudente e perseguitato, a mantenersi sempre e comunque sotto la luce dei riflettori e a farsi molto amare o molto odiare dai suoi concittadini senza che nulla, nelle sue attività pubbliche e private, giustificasse tanto accanimento. Visti i poveri risultati del suo governo, difficilmente gli storici del futuro lo ricorderanno, se non forse per le sue gaffes e come esempio di un potere illusorio fondato esclusivamente sull'esercizio delle comunicazioni di massa.
    Nessuna autopromozione berlusconesca, tuttavia, nessuna autotelevendita dell'uomo di Arcore può essere paragonata, per micidiale efficacia, con la campagna che in un paio di mesi ha venduto agli italiani il professor Monti. Che ha fatto di un ex commissario europeo, nonché preside di Università e consulente finanziario internazionale (tutte attività che non assicurano, di solito, una popolarità di massa) una specie di nume protettore nelle cui capacità salvifiche confida, se si può credere ai sondaggi, l'ottantasette per cento dei cittadini, costringendo le forze politiche ad affidare la cosa pubblica a quel suo governo di professori e funzionari, con l'inquietante aggiunta di un ammiraglio, cui oggi sembra delegata qualsiasi speranza di salvare il paese dal baratro. Una campagna che in tempi straordinariamente brevi ne ha sancito un ruolo che andava assai oltre i limiti della politica, assegnandogli la funzione, tipicamente eroica, di restaurare la credibilità e la dignità offese della nazione, un compito che farebbe tremare il più sperimentato degli statisti, ma viene evidentemente considerato alla portata del presidente della Bocconi. E non è stato necessario, per ottenere questo risultato, un particolare sforzo mediatico. In un quadro politico già ampiamente mediatizzato e solidamente organizzato attorno al carisma individuale e al “per fortuna che c'è lui”, è bastato inserire il suo nome nella casella giusta e il resto è venuto da sé.
    Certo, il professore gode oltre che dell'appoggio di sponsor potenti, di un grosso vantaggio di immagine. Anche quelle poche mosche bianche che si sono azzardate ad avanzare qualche critica nei confronti suoi e del suo programma, hanno ammesso che dopo i frizzi, i lazzi del berlusconismo la sobrietà e lo stile della nuova compagine rappresentavano, per loro come per tutti, una fonte di indicibile sollievo. Sobrietà e stile, naturalmente, non bastano a governare, ma ciò non toglie che in loro nome finora a Monti sia stato perdonato quasi tutto, compreso il fatto che al suo solo apparire la borsa non ha virato immediatamente al bello e lo spread non si è abbattuto a valanga, come ci avevano, se non proprio assicurato, almeno fatto discretamente capire i suoi zelatori. A queste piccolezze gli italiani si sono rivelati ben superiori: hanno digerito senza battere ciglio un insediamento in forme extrapolitiche appena mascherate, si sono piegati con un un gusto vagamente masochistico all'intenzione manifesta di imporci un programma in cui i tagli e i sacrifici avranno una parte predominante e le esigenze della democrazia conteranno pochissimo, non hanno dato alcuna importanza alle discutibili dichiarazioni sull'assenza in Italia di poteri forti (o abbastanza forti), smentite peraltro dal pronto ossequio manifestato al potere che in questo paese si conferma sempre il più forte di tutti, cioè quello della chiesa. Avrete notato anche voi, suppongo, che mentre prima dell'incarico del professore si mettevano in risalto esclusivamente le competenze e le capacità tecniche, subito dopo i giornali hanno cominciato a render conto della sua presenza alle funzioni religiose e dei suoi rapporti con gli alti prelati, il che non sarà, si immagina, casuale. Perché si può governare il paese contro i mercati, o almeno provarci, ma contro i cardinali notoriamente no e all'imposibiità di servire contemporaneamente Dio e Mammona gli economisti moderni evidentemente non credono.
    Non basterà tutto questo, naturalmente, a farci rimpiangere Berlusconi (il quale, peraltro, quanto a sacrifici – per gli altri – non scherzava e verso i cardinali era altrettanto ossequioso), anche se qualcuno può essere tentato di mettere a confronto l'asserita efficienza del suo successore con l'allegra cialtroneria che regnava fino a ieri, chiedendosi se alle pecore convenga davvero che a tosarle provveda un esperto del ramo, di quelli che non si fanno sfuggire neanche un fiocco di lana. Discorsi del genere ricordano un po' i dibattiti degli anni '60 sulla razionalizzazione del sistema e i pericoli del riformismo e in situazioni di emergenza come quella che viviamo forse sarebbe meglio evitarli. Ma resta fastidiosa la sensazione che a questo punto i giochi siano stati fatti, more solito, sulla nostra testa, che dalla crisi usciremo, se ne usciremo, con le ossa debitamente rotte e che la caduta di Berlusconi rappresenta comunque, per la sinistra italiana, l'ennesima occasione perduta.

    27.11.'11