Probabilmente ha fatto bene Santoro
a lasciare il parlamento europeo per tornare in televisione. I deputati
di Strasburgo, si sa, non traggono dalla carica grandissime soddisfazioni,
a parte lo stipendio e i relativi fringe benefits: la loro assemblea
sarà anche un organo di alta autorevolezza, ma è dotato di poteri così
scarsi ed esercita delle funzioni così evanescenti che se incappasse in
una faglia spaziotemporale, come in un vecchio romanzo di fantascienza,
e sparisse dal nostro continuum, se ne accorgerebbero in pochi.
L’Unione Europea è una gran bella cosa, ma non è una istituzione
particolarmente democratica, nel senso che trae la sua legittimità dal
consenso dei governi e non da quello dei cittadini e di un parlamento,
in definitiva, non ha un assoluto bisogno.
La televisione,
in Italia, è tutta altra cosa. Dopo anni e anni di confusione tra
il concetto di rappresentanza e quello di audience, i cittadini
hanno, in materia, le idee irrimediabilmente confuse. Gli operatori
dell’informazione, così, hanno preso l’abitudine di trattare i fatti
mediatici come notizie di prima importanza (l’altro ieri i giornali parlavano
più di Celentano che della devolution) e se questo sa un po’ di
autoreferenzialità, tanto peggio per tutti. Gli stessi rappresentanti
del popolo mostrano di avere ben chiaro il senso delle priorità, tanto
è vero che, nel caso di votazioni importanti, sono disposti a traccheggiare
per ore e ore in attesa che, giunta l’ora dei telegiornali, scatti il
momento della diretta. Né sarà certo io a dovervi spiegare l’importanza
dei vari talk shows politici nella “costituzione materiale” vigente:
è lì che risiede il potere, nel senso che è lì e non altrove che i potenti
vanno ad annunciare le proprie decisioni e a renderle esecutive ed
è lì che i loro oppositori cercano – se ci riescono – di contrastarli.
Con gli anni, com’è noto, si è stabilito nel paese una specie di
bi- (o tri-) cameralismo imperfetto, per cui se le personalità governative
presenti o future hanno la loro sede elettiva in “Porta a porta” (avrete
notato anche voi che Prodi, lunedì scorso, vi ci si muoveva piuttosto a
suo agio), l’opposizione, purché politicamente corretta e capace di stare
al suo posto, può rifarsi con “Ballarò”, dove non a caso dà il meglio
di sé il pio Fassino. Lo schema, in realtà, è più sofisticato e concede
all’utente persino qualche ragionevole alternativa, con la possibilità
di ricorrere a servizi di nicchia, tipo quelli offerti dai vari Gad Lerner
e Ferrara, o di sfruttare la presenza ubiquitaria di battitori liberi alla
Bertinotti. La ricomparsa periodica di Celentano, che di solito
non dà peso alle quisquilie correnti, ma mira in alto, denunciando, con
toni che meglio si addirebbero ai profeti Ezechiele e Geremia, il crollo
imminente dei grandi Valori con la maiuscola, non contribuirà forse molto
al dibattito, visto che quando si parla solo dei massimi sistemi è difficile
venire al sodo, ma imprime su tutto il sistema una certa aura di trasgressiva
e tranquillizzante sacralità. Ed è chiaro che ad altro i cittadini
utenti non possono aspirare.
Non saprei
dirvi, ovviamente, quale ruolo sia riservato al redivivo Santoro in questo
complesso sistema. Avrete notato che la sua presenza sugli schermi,
giovedì, ha permesso al conduttore di essere, per una volta, più diretto,
più schierato, un filino più politico e meno profetico, ma questa è una
conseguenza del ruolo che l’ospite era venuto a interpretare, che è poi
lo stesso che ha interpretato per un anno a Strasburgo: quello del testimonial
dell’altrui prepotenza, dell’escluso, della vittima. E non
si può, naturalmente, fare la vittima a vita. A nessuno di noi è
dato sapere quali trattative siano intercorse, quali promesse siano state
scambiate, quali prezzi pagati, ma il solo fatto che gli sia stato concesso
di rimettere piede in televisione (un’impresa sulla quale, in quattro
anni, si erano scornati parecchi) dimostra che le cose stanno cambiando
e che un nuovo equilibrio politico è dato per altamente probabile. E
nuovi equilibri politici presuppongono nuovi potenti, che non è detto (tanto
per fare un’ipotesi) che debbano accontentarsi di “Porta a porta”, “Ballarò”
e compagnia bella, ma possono aver bisogno di nuovi contenitori celebrativi
e di nuovi celebratori in diretta. Nel qual caso, forse, all’ottimo
Michele sarebbe convenuto restare a Strasburgo.