Basta la salute

La caccia | Trasmessa il: 05/07/2000



“La cosa più importante” stando a un celebre canto conviviale greco, “è godere di buona salute”.  L’affermazione può suonare, forse, un po’ perentoria, ma è di tanta evidenza che, nel corso dei secoli, pochissimi hanno avuto il coraggio di contestarla.  Sì, c’è stato non ricordo più quale commediografo del quinto secolo che affermava che non c’è malattia peggiore della povertà, per cui lui alla forma fisica preferiva i quattrini, e fra’ Iacopone da Todi, naturalmente, mille e seicento anni più tardi, nel presupposto che in questo mondo bisognasse soprattutto soffrire, onde poter godere nell’altro, chiedeva al suo Signore, “per cortesia”, di mandargli “la malsania”, ma nel complesso sul fatto che sia meglio essere sani che malati siamo sempre stati d’accordo tutti.  Per cui non c’è da stupirsi se una nuova rivista dedicata al “piacere di essere uomo” – ne avrete visto anche voi la pubblicità, a piena pagina sui principali quotidiani o in certe gigantesche locandine poste presso ogni edicola – alla “Salute degli uomini” sia intitolata.   In inglese, a onta del fatto che il vocabolo inglese per “salute”, health, sia tra i più ostici al nostro sistema fonetico, contenendo in una sola sillaba un’aspirata e una spirante dentale sorda, due consonanti che a noi italofoni hanno sempre creato qualche problema, ma così si fa oggi, un po’ d’inglese lo mastichiamo tutti e poi si sa che per un uomo davvero moderno la buona salute in inglese è molto più appetibile di quella espressa in vocaboli nazionali.
        In effetti, dall’indice riportato, in buon italiano, sulla copertina si capisce subito che il concetto è stato, per così dire, allargato.  Non c’è niente, in questa nuova rivista, di banalmente sanitario o di fastidiosamente medicinale.  Su dieci tra articoli e servizi annunciati, quelli d’interesse ippocratico in senso stretto non sono più di tre: un classico “Via la pancia in quattro settimane” (con il poster in regalo), e i due regolamentari “Levati di dosso lo stress” e “Mai più mal di schiena”.  Forse, con un po’ di buona volontà, anche i “cinquanta trucchi” per “mangiar bene e bere meglio” possono rientrare nella categoria, anche se nell’espressione si può cogliere una sorta di strizzatina d’occhio in senso edonistico.  Ma poi cominciano le complicazioni.   C’è una rubrica di sesso, naturalmente, non può mancare in una rivista moderna sui problemi del benessere personale, ma i “quaranta segreti” che promette di rivelare sono quelli “per farla impazzire”, povera donna.  C’è una rubrica di moda, che esibisce “cento idee” per “cambiare look” e una di viaggi, che propone “undici grandi evasioni”.  E visto che quello delle condizioni di lavoro è un capitolo importante della prevenzione sanitaria, non mancano i consigli su come “farla in barba al tuo capo” e l’inchiesta principale a pagina 170 è dedicata all’importante argomento del “sesso in ufficio”, con la precisazione che ben “due milioni di italiani lo fanno qui”.  Il che spiega, suppongo, perché sia necessario eludere la sorveglianza del proprio superiore e star attenti ai rischi di mal di schiena, ma lascia qualche dubbio su come giudicare i concittadini non disoccupati che lì, per un motivo o per l’altro, non lo fanno mai.   Saranno, probabilmente, malati.
        Come avrete capito, quella rivista io non l’ho comperata.   Non mi farebbe certamente male qualche consiglio su come limare la pancia ed eliminare lo stress, ma ho un po’ l’impressione di essere fuori dal target.   E naturalmente non vado in ufficio e non ho, di conseguenza, alcun capo, se non s’intende per tale l’Accame, che conosco da troppo tempo per pensare di potergliela fare in barba.   Ma mi fa comunque piacere che esista un organo di stampa che affronta il problema della salute con tanta disinvoltura.  Che non s’interessi di argomenti noiosi e poco gradevoli come quello della riforma sanitaria, che non affligga i lettori con i soliti servizi sul diabete, sui disturbi cardiocircolatori, sull’artrite deformante o, Dio ne scampi, sul morbo di Alzheimer.  Che identifichi lo “star bene” con la possibilità di viaggiare, di seguire la moda, di mangiare e bere con gusto e, naturalmente, di conoscere i quaranta segreti del perfetto amatore.   Certo, l’identificazione è un po’ disinvolta e il modello proposto non è di quelli cui tutti possano sperare d’adeguarsi, non foss’altro per motivi economici, ma con i modelli succede sempre così.  Se questo ideale di impiegato gaudente e moderatamente trasgressivo  attira davvero qualcuno, non si vede proprio perché negarglielo.  Nella promessa di far impazzire le signore a comando e di riuscire a gabbare il capoufficio senza problemi non è implicita alcuna proposta eversiva: si tratta soltanto di una banale fraseologia consolatoria rivolta a chi dell’eros e delle gerarchie ha sempre avuto, sotto sotto, paura.
        L’unico vero problema, in fondo, è quello del sesso in ufficio.  Nel senso che di uffici, ahimè, non ce ne sono abbastanza per tutti.  Ma che ci volete fare: è l’effetto dell’ostinata pervicacia con cui la sinistra tradizionale si abbarbica a dei modelli di rigidità occupazionale che hanno fatto il loro tempo.  Lasciate fare al governo e vedrete: di lavoro, forse, non ne salterà fuori un granché, ma di uffici vuoti, se si va avanti così, non ne mancheranno certo.  E tutti, finalmente, potranno andarci a fare all’amore.  Dal punto di vista della salute, sarà certamente un progresso.

07.05.’00