“La cosa più importante” stando a
un celebre canto conviviale greco, “è godere di buona salute”. L’affermazione
può suonare, forse, un po’ perentoria, ma è di tanta evidenza che, nel
corso dei secoli, pochissimi hanno avuto il coraggio di contestarla. Sì,
c’è stato non ricordo più quale commediografo del quinto secolo che affermava
che non c’è malattia peggiore della povertà, per cui lui alla forma fisica
preferiva i quattrini, e fra’ Iacopone da Todi, naturalmente, mille e
seicento anni più tardi, nel presupposto che in questo mondo bisognasse
soprattutto soffrire, onde poter godere nell’altro, chiedeva al suo Signore,
“per cortesia”, di mandargli “la malsania”, ma nel complesso sul fatto
che sia meglio essere sani che malati siamo sempre stati d’accordo tutti.
Per cui non c’è da stupirsi se una nuova rivista dedicata al “piacere
di essere uomo” – ne avrete visto anche voi la pubblicità, a piena pagina
sui principali quotidiani o in certe gigantesche locandine poste presso
ogni edicola – alla “Salute degli uomini” sia intitolata. In
inglese, a onta del fatto che il vocabolo inglese per “salute”, health,
sia tra i più ostici al nostro sistema fonetico, contenendo in una sola
sillaba un’aspirata e una spirante dentale sorda, due consonanti che a
noi italofoni hanno sempre creato qualche problema, ma così si fa oggi,
un po’ d’inglese lo mastichiamo tutti e poi si sa che per un uomo davvero
moderno la buona salute in inglese è molto più appetibile di quella espressa
in vocaboli nazionali.
In
effetti, dall’indice riportato, in buon italiano, sulla copertina si capisce
subito che il concetto è stato, per così dire, allargato. Non c’è
niente, in questa nuova rivista, di banalmente sanitario o di fastidiosamente
medicinale. Su dieci tra articoli e servizi annunciati, quelli d’interesse
ippocratico in senso stretto non sono più di tre: un classico “Via la
pancia in quattro settimane” (con il poster in regalo), e i due regolamentari
“Levati di dosso lo stress” e “Mai più mal di schiena”. Forse,
con un po’ di buona volontà, anche i “cinquanta trucchi” per “mangiar
bene e bere meglio” possono rientrare nella categoria, anche se nell’espressione
si può cogliere una sorta di strizzatina d’occhio in senso edonistico.
Ma poi cominciano le complicazioni. C’è una rubrica di sesso,
naturalmente, non può mancare in una rivista moderna sui problemi del benessere
personale, ma i “quaranta segreti” che promette di rivelare sono quelli
“per farla impazzire”, povera donna. C’è una rubrica di moda,
che esibisce “cento idee” per “cambiare look” e una di viaggi, che
propone “undici grandi evasioni”. E visto che quello delle condizioni
di lavoro è un capitolo importante della prevenzione sanitaria, non mancano
i consigli su come “farla in barba al tuo capo” e l’inchiesta principale
a pagina 170 è dedicata all’importante argomento del “sesso in ufficio”,
con la precisazione che ben “due milioni di italiani lo fanno qui”. Il
che spiega, suppongo, perché sia necessario eludere la sorveglianza del
proprio superiore e star attenti ai rischi di mal di schiena, ma lascia
qualche dubbio su come giudicare i concittadini non disoccupati che lì,
per un motivo o per l’altro, non lo fanno mai. Saranno, probabilmente,
malati.
Come
avrete capito, quella rivista io non l’ho comperata. Non mi farebbe
certamente male qualche consiglio su come limare la pancia ed eliminare
lo stress, ma ho un po’ l’impressione di essere fuori dal target.
E naturalmente non vado in ufficio e non ho, di conseguenza, alcun capo,
se non s’intende per tale l’Accame, che conosco da troppo tempo per pensare
di potergliela fare in barba. Ma mi fa comunque piacere che esista
un organo di stampa che affronta il problema della salute con tanta disinvoltura.
Che non s’interessi di argomenti noiosi e poco gradevoli come quello
della riforma sanitaria, che non affligga i lettori con i soliti servizi
sul diabete, sui disturbi cardiocircolatori, sull’artrite deformante o,
Dio ne scampi, sul morbo di Alzheimer. Che identifichi lo “star
bene” con la possibilità di viaggiare, di seguire la moda, di mangiare
e bere con gusto e, naturalmente, di conoscere i quaranta segreti del perfetto
amatore. Certo, l’identificazione è un po’ disinvolta e il modello
proposto non è di quelli cui tutti possano sperare d’adeguarsi, non foss’altro
per motivi economici, ma con i modelli succede sempre così. Se questo
ideale di impiegato gaudente e moderatamente trasgressivo attira
davvero qualcuno, non si vede proprio perché negarglielo. Nella promessa
di far impazzire le signore a comando e di riuscire a gabbare il capoufficio
senza problemi non è implicita alcuna proposta eversiva: si tratta soltanto
di una banale fraseologia consolatoria rivolta a chi dell’eros e delle
gerarchie ha sempre avuto, sotto sotto, paura.
L’unico
vero problema, in fondo, è quello del sesso in ufficio. Nel senso
che di uffici, ahimè, non ce ne sono abbastanza per tutti. Ma che
ci volete fare: è l’effetto dell’ostinata pervicacia con cui la sinistra
tradizionale si abbarbica a dei modelli di rigidità occupazionale che hanno
fatto il loro tempo. Lasciate fare al governo e vedrete: di lavoro,
forse, non ne salterà fuori un granché, ma di uffici vuoti, se si va avanti
così, non ne mancheranno certo. E tutti, finalmente, potranno andarci
a fare all’amore. Dal punto di vista della salute, sarà certamente
un progresso.
07.05.’00