Avrete presente, suppongo, quella vecchia
storiella in cui un tizio va in giro facendo schioccare continuamente le
dita e, richiesto del perché, risponde che lo fa per tenere lontano gli
elefanti. “Ma non ci sono elefanti qui in giro”, obietta l’interlocutore
e quello, trionfante, conclude: “Vede che funziona?” Come
barzelletta è del tutto cretina, ma forse il tipo di ragionamento che esemplifica
non è ignoto al nostro dibattito pubblico. È spesso impiegato, per
esempio, dal presidente Berlusconi a proposito dell’incombere sul paese
del pericolo comunista o quando, scendendo su un piano più personale, si
lamenta perché l’opposizione lo tratta da mostro bavoso e pericolo pubblico.
Tutti si affrettano ad assicurarlo che mai si sognerebbero di usare
simili termini e lui ribatte: “Vedete? Mi danno anche del bugiardo.”
Non
ricordo bene con che termine gli specialisti di logica dell’argomentazione
definiscano le proposizioni di questo tipo. Deve trattarsi, a occhio,
di una specie di falso sillogismo, in cui la falsità dipende da un’inversione
tra conclusioni e premesse. Ma visto che le regole della retorica
non sono quelle della logica, se in certi casi, quando il meccanismo verbale
è portato alle conclusioni estreme, l’effetto comico è irresistibile –
come spesso succede quando è di scena il capo del governo – altre volte
l’argomento riesce a sembrare plausibile. Così, questa settimana
se ne sono serviti con larghezza, sia pure in forma leggermente modificata,
tutti coloro che, dal ministro Giovanardi all’onorevole Rutelli
ai fondisti del “Corriere della sera”, hanno insistito sulla necessità
di non ritirare le nostre (e altrui) truppe dall’Iraq. Perché cosa
significa sostenere che la permanenza delle forze di occupazione è essenziale
per salvare quel paese dal terrorismo e dalla guerra civile se non invertire
le premesse con le conclusioni (o, se preferite, la causa determinante
con quella finale)? È evidente che il terrorismo e la guerra civile,
in quel paese, ce li ha portati l’occupazione e che affidare agli occupanti
il compito di porvi fine rappresenta una contraddizione logica irredimibile,
ma questo, a chi sostiene quel punto di vista, interessa poco. La
logica con quelle tesi intrattiene lo stesso rapporto che la volontà di
dominio, di sfruttamento e di controllo strategico ha con il sincero interesse
per lo sviluppo della democrazia in un’area cruciale del mondo. E
se vi sembra troppo presumere una volontà di dominio nel governo italiano
(e in quella parte della opposizione che, in ipotesi, preferirebbe non
opporsi troppo), be’, forse avete ragione, ma l’obiettivo, in quel caso,
sarà quello di una solida e durevole subordinazione alla politica degli
Stati Uniti, che significa praticamente la stessa cosa, se non peggio.
Per
il fondo del “Corriere” di giovedì scorso, quei senatori del centro sinistra
che hanno votato no al rifinanziamento della missione italiana sono “prigionieri
del passato”: non hanno capito, cioè, che sull’Iraq l’Europa ha deciso
di voltar pagina e che si può “lavorare con Bush alla stabilizzazione
del Paese e dell’area”. Nella sinistra italiana, invece, nessuno
“ha intenzione di entrare in conflitto con la propria base notoriamente
contraria alla guerra.” Come dire, sotto sotto, che l’unica forma
di collaborazione politica passa per l’accettazione dello status quo militare,
con tutte le sue simpatiche conseguenze, e che a tal fine si può, anzi
si deve, disattendere il mandato ricevuto dagli elettori. Così ragionano
– o dovrebbero ragionare – i politici dotati di un vero, sano realismo,
quelli che non hanno paura né di Bertinotti né di quella insopportabile
anticaglia che è il pacifismo.
Francamente,
io preferisco le barzellette sugli elefanti.
20.02.’05