Banditi a Milano

La caccia | Trasmessa il: 02/05/2012


    Banditi a Milano

    Sappiamo tutti che strane cose succedono, a volte, nella nostra città, ma un episodio singolare come la fuga dei ladri di corna di rinoceronte di cui si è letto nei giornali di mercoledì scorso proprio non me lo ricordavo. Una storia che comincia con due vigili urbani che percorrono corso di Porta Romana a bordo di un'auto civetta – e già questa è una discreta stranezza, che rivela come le attribuzioni della polizia municipale siano più estese di quanto comunemente si pensi – prosegue con un'altra auto che li supera procedendo “a folle velocità”, con i due agenti che apprendono via radio che su quella macchina si trovano, appunto, due ladri in fuga, la inseguono per via Lentasio, corso Italia, piazza Bertarelli, via Mulino delle Armi (in contromano), via Calatafimi, via Sambuco e piazza XXIV maggio, un inseguimento durante il quale, come assicura il “Corriere”, “l'auto dei vigili viene speronata più volte e non si contano i tamponamenti”, e si conclude in viale Gorizia, dove la vettura dei ghisa non regge più ai colpi e si blocca, gli occupanti scendono per fermare i fuggitivi, questi tentano di investirli, l'agente più anziano schiva l'assalto, ma “ha la certezza” (chissà come) che uno dei criminali sia armato, per cui estrae la berta e spara tre volte, ma quegli altri, pur colpiti alle gomme, invertono la marcia e vanno a parcheggiare belli tranquilli nel parcheggio dell'Oviesse di viale San Gottardo, dove la loro macchina sarà ritrovata tempo dopo con i lampeggianti accesi e la refurtiva ancora a bordo: due corni di rinoceronte involati poco prima che si scatenasse tutto l'ambaradan presso un antiquario di via San Maurilio. Insomma, un inseguimento urbano con sparatoria degno, se non dei vecchi James Bond, almeno di un telefilm tedesco specializzato.
    L'episodio, tuttavia, è strano. Non tanto per la natura degli oggetti rubati, perché sappiamo tutti che i corni di rinoceronte sono articoli pregiatissimi e di alto valore venale, in quanto elemento base di una certa polvere afrodisiaca molto apprezzata dalla medicina cinese tradizionale e dai suoi clienti. Quei due corni, abbiamo appreso, potevano valere dai 30.000 ai 50.000 euro. A lasciare perplessi, piuttosto, è come la storia viene raccontata da tutti i quotidiani cittadini. Perché, per esempio, l'auto con i malfattori procedeva a folle velocità prima che qualcuno solo si sognasse di inseguirla? E il percorso dell'inseguimento, poi, non ha senso: da corso Italia per andare in via Calatafimi non si passa da piazza Bertarelli e non è necessario fare via Mulino delle Armi in contromano. Quanto al fatto che l'auto inseguitrice venga speronata più volte da quella inseguita sembra, a pensarci, un po' paradossale. Perché, infine, i ladri, dopo essersi felicemente sganciati, abbiano abbandonato macchina e refurtiva non è proprio dato capire.
    Tuttavia, il problema principale, dal punto di vista narrativo, è un altro. Manca, in tutti i resoconti, una parte essenziale: quella, per così dire, delle origini. Come è stato compiuto il furto? “I ladri” stando a “Repubblica” “erano già passati dall'antiquario il giorno prima, chiedendo informazioni sul prezzo.” Parlavano inglese con accento francese e avevano detto che sarebbero tornati l'indomani. Fin qui tutto bene e infatti l'indomani sono tornati. Ma come si sono impossessati dei preziosi oggetti? Li hanno sottratti dal banco mentre il negoziante guardava da un'altra parte? Se li sono fatti consegnare con un pretesto, magari per vedere che effetto facevano alla luce del giorno, e hanno tagliato la corda, lasciando il titolare, come si diceva una volta, di princisbecco? Li hanno prelevati dalla vetrina previa la tradizionale spaccata? Uno dei malviventi li ha fatti scivolare in un borsone mentre l'altro intratteneva i commessi con giochi di prestigio o accorate lamentazioni sulla crisi economica? L'unica cosa sicura è che non si sono presentati a mano armata: non sarebbe stato, in quel caso, un furto, ma una rapina. E comunque, cosa cavolo ci stavano a fare due corni di rinoceronte in un negozio di antiquariato? Non è la sede in cui, a occhio e croce, li si andrebbe a cercare. Da un antiquario si vanno a comprare (o a rubare) articoli di antiquariato, che è una categoria già abbastanza vasta per coprire gli oggetti più disparati, dalle saliere del Cellini ai paggetti in legno dipinto con il vassoio per i biglietti da visita, dai ventagli settecenteschi alle caraffe di cristallo anni '30, e non si estende, che io sappia, alle protesi ossee degli animali tropicali, salvo l'avorio, naturalmente, e solo quando scolpito. Le probabilità di trovare dei corni di rinoceronte dall'antiquario non dovrebbero essere più alte di quelle di potersi approvvigionare di fagiolini in oreficeria o di biciclette dal farmacista. E, sempre quanto a probabilità, quella di imbattersi per caso, a operazione compiuta, nell'auto civetta di due vigili urbani con vocazione alla James Bond richiede, in chi è già arrivato indisturbato da via San Maurilio in corso di Porta Romana, una dose di sfiga nettamente superiore alla media.
    Pure, questa è la storia che i cronisti dei principali giornali ci hanno venduto, con minime varianti l'uno dall'altro, mercoledì scorso. Una storia che arieggia vagamente, come osservavamo prima, una trama da racconto giallo o da telefilm, ma che io, che della materia un poco mi intendo, se l'avessi letta su un libro o visionata sul teleschermo, avrei inesorabilmente bocciato come poco credibile. Per darle un minimo di verosimiglianza bisognerebbe lavorarci sopra parecchio: ipotizzando, per esempio, che la nostra città sia sede abituale di un traffico di quegli articoli, un traffico gestito – possibilmente – da una qualche mafia non estranea al mondo della medicina tradizionale cinese e appoggiato, per ovvie ragioni di sicurezza, presso esercizi commerciali al di sopra di ogni sospetto. Si potrebbe complicare la storia ipotizzando una trappola poliziesca scattata solo a metà, con la conseguente necessità di un inseguimento imprevisto e di una sparatoria per strada, che ci sta sempre bene. Non sarebbe una cattiva idea utile studiare, con l'aiuto di una buona mappa cittadina, o semplicemente del TuttoCittà delle Pagine Gialle, un itinerario per l'inseguimento che fosse viabilisticamente sostenibile. E bisognerebbe comunque elaborare una conclusione che rispondesse alle varie domande che l'episodio lascia, in un certo senso, aperte.
    Nulla di tutto questo, invece, ci è toccato. Ed è naturale: la realtà, come ebbe a dire un tempo Oscar Wilde, imita sempre la fantasia, ma il più delle volte la imita male, lasciando sul campo una pletora di contraddizioni aperte, di coincidenze casuali e di incongruenze patenti, che non sempre si possono sanare mettendole semplicemente sul conto della ben nota sciatteria dei cronisti. Una narrazione, raccomandava Aristotele, deve avere un suo inizio, uno svolgimento e una fine, ma la vita quotidiana non è tenuta a seguire i precetti della Poetica e una cronaca, passando da una fonte all'altra, può benissimo cominciare ad azione già avviata, proseguire in modo incongruo e concludersi del tutto a capocchia. E così, invece di un bel racconto, ci troviamo per le mani un resoconto che fa acqua da tutte le parti che non dà soddisfazione alcuna. Per questo, come devo avervi già confidato, io alla cronaca nera preferisco i gialli. Ma questo è un altro discorso.
05.02.'12