Come probabilmente avrete capito, domenica scorsa, costretto da improrogabili
impegni, non ero presente in studio. Di fatto, sono stato costretto
ad affidare alle cure di Felice e Cristiano un intervento preregistrato
(male, mi dicono) e non ho avuto quindi modo di farvi partecipi a botta
calda di quanto pensavo dell’assoluzione del senatore Andreotti.
Non nego che la cosa un po’ mi sia dispiaciuta, ma forse è stato meglio
così. La forzata pausa di riflessione mi permette, se non altro,
di evitare le banalità che in questa settimana commentatori ben più importanti
di me, e protagonisti assortiti di quello che, evidentemente, non sarà
il Processo del Secolo, non ci hanno negato. Perché ammetterete che
fa una certa impressione leggere che gli inquirenti della Procura di Palermo
hanno solennemente dichiarato di aver fatto “soltanto il loro dovere”,
come se, putacaso, potessero ammettere di aver fatto qualcosa d’altro;
o apprendere che il Ministro di Grazia e Giustizia si è impegnato a difendere,
sempre e comunque, l’indipendenza dei magistrati (e sarebbe stato curioso
se si fosse impegnato a fare il contrario) e che il Presidente della Repubblica,
guarda un po’, ha invitato a rispettare la magistratura. È abbastanza
noto che quando una proposizione è, per così dire, obbligatoria, nel senso
che non è pensabile che chi l’afferma possa sostenere il contrario, tanto
vale che l’affermatore, quale che sia la sua posizione pubblica, tenga
la bocca ben chiusa.
Ma visto che l’ovvio è il banale non sempre coincidono,
diremo che tante banalità hanno avuto, in parte, l’effetto di far passare
in secondo piano un’ovvietà ben nota a tutti i cultori delle storie di
Perry Mason, in versione letteraria e televisiva: quella per cui, in qualsiasi
processo serio, la vittoria di una delle due parti significa la sconfitta
dell’altra. Anche se in Italia, diversamente che nella patria dell’Avvocato
del Diavolo, l’accusa non è mai esattamente sullo stesso piano della difesa,
accusa e difesa restano comunque in contraddizione tra loro e la ragione
dell’una significa il torto dell’altra. Tertium, in questo caso
più che mai, non datur. E visto che l’assoluzione di Andreotti,
della quale, personalmente, mi rallegro, perché credo sia giusto rallegrarsi
di ogni assoluzione, ha avuto comunque un certo numero di conseguenze assai
negative, come un’estensione indebita a livello politico generale, con
la conseguente riabilitazione di un partito le cui nefandezze non vanno
dimenticate e di una classe politica ignobile, compresi quei suoi membri
che dai tribunali di fronte a cui sono stati trascinati non sono stati
assolti, ma condannati almeno due volte con sentenza definitiva, mi sembra
abbastanza corretto attribuire questi sgradevoli esiti proprio al torto
di chi questo processo ha voluto, gestito e perso. In altre parole,
se dobbiamo credere, come ci chiedono Ciampi e Diliberto, all’indipendenza
della magistratura giudicante e rispettare le sue sentenze, dobbiamo anche
concludere che quella riabilitazione della DC e del craxismo che tanti
loschi figuri ci propongono in questi giorni, è una tragica conseguenza
– non importa se più o meno prevista – delle improvvide iniziative degli
inquirenti di Palermo.
In fondo, che il processo ad Andreotti si fondasse
su ben poco (in pratica sulle dichiarazioni dei soliti pentiti e stop)
e che i suoi esiti non avrebbero potuto portare ad altro che a un tentativo
di rilegittimazione democristiana, non era una cosa tanto difficile da
prevedere. Persino io, che in fatto di processi non ne azzecco mai
una, l’avevo scritto in tempi e sede non sospetti, sul n. 222 di “A –
Rivista anarchica”, nel novembre del ’95. Sicché può valere davvero
la pena di chiedersi perché mai Caselli e i suoi collaboratori si siano
accinti, con tanto poco in mano, a un’impresa così disastrosa. Sì,
d’accordo, avevano un forte senso del dovere, oltre che una certa tendenza
al protagonismo, ma il senso del dovere non ha mai comportato l’obbligo
dell’autolesionismo.
Non presumerò certo di rispondere io a questa domanda.
Personalmente, ho solo un sospetto. Quello che gli inquirenti
di Palermo abbiano fatto un po’ troppo conto degli scarsi elementi che
avevano in mano perché elementi ancora più scarsi si erano rivelati, in
passato, perfettamente funzionali al fine che si prefiggevano. Che,
in altre parole, abbiano peccato di eccesso di sicurezza. Visto che
ricorrendo sistematicamente alle delazioni pilotate dei pentiti e non ad
altro avevano colto, nella loro carriera, tanti folgoranti successi, mandando
in galera una quantità di persone (e non soltanto mafiosi, perché il pentitismo
non è stato inventato contro la mafia, ma contro la devianza politica),
si erano convinti di poter far condannare Andreotti con un paio di pentiti
e poco più, non rendendosi conto che una cosa è incastrare qualche presunto
terrorista o togliere di mezzo dei delinquenti riconosciuti e un’altra
è mandare all’Ucciardone un uomo di potere al centro di una rete fittissima
di rapporti politici ad alto livello, un uomo, per di più, che ha sempre
goduto dell’amicizia personale del Papa, dell’appoggio unanime della
chiesa e che, nei lunghi mesi del processo, non ha mai smesso di essere
parte attiva della maggioranza di governo. Tutti sono uguali di fronte
alla legge, ma qualcuno – si sa – è sempre più eguale degli altri.
Contro gli sconfitti si può calcare un poco la mano, anche se non si dovrebbe,
ma evidentemente Andreotti era meno sconfitto di quanto si pensasse.
Con che termini, poi, si possa definire questa tipica
forma di megalomania egoriferita, è cosa che conta assai meno. Chiamatela
arroganza, se volete, o senso del dovere, se preferite. I risultati,
tanto, sono gli stessi. In ogni caso, vedrete che al prossimo processo
basato su un pentito e rivolto contro qualcuno che non sia Andreotti (che
so, il processo di revisione a Sofri & C.) le cose torneranno al loro
posto, con generale soddisfazione di tutti i giustizialisti di lungo corso,
tranne forse un paio di colleghi della nostra radio, ma queste sono contraddizioni
loro. Certo, se invece di blaterare tanto pro e contro qualcuno tra
i nostri beneamati governanti si rendesse conto che è ora di occuparsi
seriamente del riequilibrio del processo penale, sarebbe una gran bella
cosa.
31.10.’99