Banalità giudiziarie

La caccia | Trasmessa il: 10/31/1999





Come probabilmente avrete capito, domenica scorsa, costretto da improrogabili impegni, non ero presente in studio.  Di fatto, sono stato costretto ad affidare alle cure di Felice e Cristiano un intervento preregistrato (male, mi dicono) e non ho avuto quindi modo di farvi partecipi a botta calda di quanto pensavo dell’assoluzione del senatore Andreotti.
Non nego che la cosa un po’ mi sia dispiaciuta, ma forse è stato meglio così.   La forzata pausa di riflessione mi permette, se non altro, di evitare le banalità che in questa settimana commentatori ben più importanti di me, e protagonisti assortiti di quello che, evidentemente, non sarà il Processo del Secolo, non ci hanno negato.  Perché ammetterete che fa una certa impressione leggere che gli inquirenti della Procura di Palermo hanno solennemente dichiarato di aver fatto “soltanto il loro dovere”, come se, putacaso, potessero ammettere di aver fatto qualcosa d’altro; o apprendere che il Ministro di Grazia e Giustizia si è impegnato a difendere, sempre e comunque, l’indipendenza dei magistrati (e sarebbe stato curioso se si fosse impegnato a fare il contrario) e che il Presidente della Repubblica, guarda un po’, ha invitato a rispettare la magistratura.  È abbastanza noto che quando una proposizione è, per così dire, obbligatoria, nel senso che non è pensabile che chi l’afferma possa sostenere il contrario, tanto vale che l’affermatore, quale che sia la sua posizione pubblica, tenga la bocca ben chiusa.

      Ma visto che l’ovvio è il banale non sempre coincidono, diremo che tante banalità hanno avuto, in parte, l’effetto di far passare in secondo piano un’ovvietà ben nota a tutti i cultori delle storie di Perry Mason, in versione letteraria e televisiva: quella per cui, in qualsiasi processo serio, la vittoria di una delle due parti significa la sconfitta dell’altra.  Anche se in Italia, diversamente che nella patria dell’Avvocato del Diavolo, l’accusa non è mai esattamente sullo stesso piano della difesa, accusa e difesa restano comunque in contraddizione tra loro e la ragione dell’una significa il torto dell’altra.  Tertium, in questo caso più che mai, non datur.  E visto che l’assoluzione di Andreotti, della quale, personalmente, mi rallegro, perché credo sia giusto rallegrarsi di ogni assoluzione, ha avuto comunque un certo numero di conseguenze assai negative, come un’estensione indebita a livello politico generale, con la conseguente riabilitazione di un partito le cui nefandezze non vanno dimenticate e di una classe politica ignobile, compresi quei suoi membri che dai tribunali di fronte a cui sono stati trascinati non sono stati assolti, ma condannati almeno due volte con sentenza definitiva, mi sembra abbastanza corretto attribuire questi sgradevoli esiti proprio al torto di chi questo processo ha voluto, gestito e perso.   In altre parole, se dobbiamo credere, come ci chiedono Ciampi e Diliberto, all’indipendenza della magistratura giudicante e rispettare le sue sentenze, dobbiamo anche concludere che quella riabilitazione della DC e del craxismo che tanti loschi figuri ci propongono in questi giorni, è una tragica conseguenza – non importa se più o meno prevista – delle improvvide iniziative degli inquirenti di Palermo.

      In fondo, che il processo ad Andreotti si fondasse su ben poco (in pratica sulle dichiarazioni dei soliti pentiti e stop) e che i suoi esiti non avrebbero potuto portare ad altro che a un tentativo di rilegittimazione democristiana, non era una cosa tanto difficile da prevedere.   Persino io, che in fatto di processi non ne azzecco mai una, l’avevo scritto in tempi e sede non sospetti, sul n. 222 di “A – Rivista anarchica”, nel novembre del ’95.  Sicché può valere  davvero la pena di chiedersi perché mai Caselli e i suoi collaboratori si siano accinti, con tanto poco in mano, a un’impresa così disastrosa.  Sì, d’accordo, avevano un forte senso del dovere, oltre che una certa tendenza al protagonismo, ma il senso del dovere non ha mai comportato l’obbligo dell’autolesionismo.

      Non presumerò certo di rispondere io a questa domanda.  Personalmente, ho solo un sospetto.  Quello che gli inquirenti di Palermo abbiano fatto un po’ troppo conto degli scarsi elementi che avevano in mano perché elementi ancora più scarsi si erano rivelati, in passato, perfettamente funzionali al fine che si prefiggevano.  Che, in altre parole, abbiano peccato di eccesso di sicurezza.  Visto che ricorrendo sistematicamente alle delazioni pilotate dei pentiti e non ad altro avevano colto, nella loro carriera, tanti folgoranti successi, mandando in galera una quantità di persone (e non soltanto mafiosi, perché il pentitismo non è stato inventato contro la mafia, ma contro la devianza politica), si erano convinti di poter far condannare Andreotti con un paio di pentiti e poco più, non rendendosi conto che una cosa è incastrare qualche presunto terrorista o togliere di mezzo dei delinquenti riconosciuti e un’altra è mandare all’Ucciardone un uomo di potere al centro di una rete fittissima di rapporti politici ad alto livello, un uomo, per di più, che ha sempre goduto dell’amicizia personale del Papa, dell’appoggio unanime della chiesa e che, nei lunghi mesi del processo, non ha mai smesso di essere parte attiva della maggioranza di governo.  Tutti sono uguali di fronte alla legge, ma qualcuno – si sa – è sempre più eguale degli altri.   Contro gli sconfitti si può calcare un poco la mano, anche se non si dovrebbe, ma evidentemente Andreotti era meno sconfitto di quanto si pensasse.

      Con che termini, poi, si possa definire questa tipica forma di megalomania egoriferita, è cosa che conta assai meno.  Chiamatela arroganza, se volete, o senso del dovere, se preferite.  I risultati, tanto, sono gli stessi.   In ogni caso, vedrete che al prossimo processo basato su un pentito e rivolto contro qualcuno che non sia Andreotti (che so, il processo di revisione a Sofri & C.) le cose torneranno al loro posto, con generale soddisfazione di tutti i giustizialisti di lungo corso, tranne forse un paio di colleghi della nostra radio, ma queste sono contraddizioni loro.  Certo, se invece di blaterare tanto pro e contro qualcuno tra i nostri beneamati governanti si rendesse conto che è ora di occuparsi seriamente del riequilibrio del processo penale, sarebbe una gran bella cosa.


31.10.’99