Banalità fiscali

La caccia | Trasmessa il: 01/29/2012


    Banalità fiscali

    Avrete letto che il cardinale Bagnasco, nella sua prolusione al Consiglio della CEI, lunedì scorso, ha asserito con una certa solennità che non pagare le tasse è peccato. La informazione, data l'autorevolezza della fonte, è preziosa, ma va detto che non è, nella storia del magistero ecclesiastico, una novità particolare. Da quando il suo Fondatore si sottrasse all'insidia dei farisei e degli erodiani che cercavano di metterlo in difficoltà con quella celebre battuta sul dare a Cesare quel che è di Cesare, la chiesa non ha mai mancato di raccomandare la lealtà fiscale verso il potere. Per quanto difficili e contraddittori possano essere stati i suoi rapporti con l'autorità civile, non risulta agli storici (o almeno non risulta a me) che abbia mai esortato i cittadini a far mancare al governo il dovuto tributo. È come se, dai tempi del Salvatore in poi, una sorta di patto non scritto abbia escluso dagli argomenti di conflittualità quello specifico tema. In certe occasioni (rare, per la verità) il clero può avere aizzato le masse contro questo o quel governo, può avere spinto i cittadini alla rivolta armata, può aver bollato re, imperatori e ministri con gli epiteti più infamanti, ma in tema di fisco non ha mai scherzato. Percettori anch'essi, a vario titolo, di rendite, decime e balzelli vari, vescovi, arcivescovi, abati e predicatori avranno probabilmente pensato che quel particolare cane era saggia politica lasciarlo dormire.
    Certo, esortare i fedeli a pagare le tasse non significa sempre essere disposti a farlo di tasca propria. Alle opportune esenzioni, le autorità ecclesiastiche non sono mai state contrarie e ne hanno, anzi, largamente goduto. In Europa ci sono volute la Riforma prima e la Rivoluzione francese poi per poter mettere i beni del clero a disposizione delle intendenze di finanza e nei paesi in cui questi due eventi non hanno dispiegato al meglio la propria influenza (l'Italia, per dirne uno) il processo non si è mai veramente compiuto. Sul pagare l'ICI, per esempio, i vescovi presieduti dal cardinale Bagnasco hanno sempre avuto parecchio da ridire. È importante, così, che Sua Eminenza abbia ritenuto di dover precisare che se per i normali cittadini l'evasione è peccato, “per un soggetto religioso questo è addirittura motivo di scandalo”, aggiungendo che “la Chiesa non ha esitazioni ad accettare questo discorso, perché non può e non deve coprire autoesenzioni imposte”. È vero che ha specificato che “la Chiesa non chiede trattamenti particolari” ma che questo non significa che rinunci ad “avere applicate a sé, per gli immobili utilizzati per i servizi, le norme che regolano il 'no profit'” e siccome tutti sanno che queste norme sono attualmente oggetto di serrata trattativa tra una sponda e l'altra del Tevere e che ci sono, tra le parti interessate, ampie aree di dissenso sulla definizione di cosa sia “no profit”, è probabile che, alla fin fine, un qualche trattamento speciale ci scappi. Ma tutti i commentatori hanno rilevato come una qualche dichiarazione di disponibilità, comunque, ci sia stata, il che è un bel progresso rispetto ai tempi in cui alla richiesta di mettere mano al portafoglio si rispondeva con immediate minacce di scomunica. Si capisce, hanno chiosato tutti, che la chiesa del cardinale Bagnasco è decisamente schierata dalla parte dell'attuale governo – “un esecutivo di buona volontà”, lo ha definito lui – e che ha voluto scegliere, per significarlo, il campo in cui esso governo è più vulnerabile. Sì, Monti e i suoi ci sono andati giù un po' con la mano pesante, ma non pagare le tasse è peccato e persino la chiesa è disposta a farlo. I cittadini si adeguino.
    Personalmente, da vecchio anticlericale incallito qual sono, nutro le mie brave riserve. Le scioglierò quando avrò visto il risultato delle trattative in corso e saprò quali e quanti enti ecclesiastici saranno fatti rientrare nella categoria esentasse del “no profit”. Il cardinale, leggo su “Repubblica” (24.01) non si è addentrato “nel merito dei tecnicismi normativi ancora allo studio e che dovrebbero essere essere pronti per metà febbraio, in occasione dell'anniversario dei Patti Lateranesi”, ma dev'essere comunque un gran conforto, per qualsiasi contribuente o aspirante tale, avere la possibilità di trattare nel merito dei tecnicismi normativi che lo riguardano. A noi cittadini normali nessuno offre un tavolo di trattativa: l'ammontare dei tributi dovuti ci viene comunicato dall'alto, accompagnato, di solito, da una intimazione di pagamento. Ma naturalmente Bagnasco non è un cittadino comune e in questo sta appunto la differenza.
    Piuttosto, è strano come il presidente della CEI abbia dedicato praticamente tutta la sua prolusione al tema fiscale. Dico “praticamente” perché a qualche altro problema, per la verità, ha accennato, ma lo ha fatto in tutta evidenza per dovere di firma, senza sprecarsi nella proposta di suggerimenti o di soluzioni. Ha detto che “in Italia ci vuole un esame di coscienza” perché “c'è un'incapacità” di arrivare, “nei tempi normali, a riforme effettive, spesso solo annunciate”, ma su quali riforme, a suo avviso, siano più necessarie non si è pronunciato. Ha detto che “i partiti non devono fare gli spettatori, ma devono attivarsi con l'obiettivo anche di riscattarsi, preoccupati veramente solo del bene comune” e ammetterete che l'indicazione è veramente troppo generica per significare qualcosa. Ha detto che “la politica è assolutamente necessaria e deve essere in grado di regolare la finanza perché sia al servizio del bene generale” e vorrei ben vedere che avesse azzardato qualcosa di diverso. Ha accompagnato, in sostanza, la sua proposta di tregua fiscale concordata con una serie di eleganti banalità, sulle quali non è possibile in nessun modo eccepire, perché a dire che il fine della politica è il bene comune sono bravi tutti e nessuno ci si può opporre, ma che lasciano irrevocabilmente il tempo che trovano.
    D'altronde, anche il tema del pagare le tasse rientra, secondo la tradizione italiana, nel novero delle banalità. Berlusconi, ricorderete, aveva affidato le sue fortune politiche alla promessa del “meno tasse per tutti”, ma se è stato costretto a sgombrare il campo non è stato certo per non averla mantenuta. I suoi avversari hanno controbattuto bandendo una guerra all'evasione affidata più alle petizioni di principio che ai provvedimenti concreti. Promettere di ridurre la pressione fiscale o affermare che le tasse vanno pagate equamente da tutti, senza che gli evasori possano sperare in misericordia alcuna, sono affermazioni che rientrano, per così dire, nel grado zero della politica: sono piacevoli da sentire e hanno il vantaggio che nessuno potrebbe avere nulla in contrario, ma non configurano alcun discorso in tema di finanze pubbliche e ricchezze private. Se qualcuno precisasse chi davvero va tassato e secondo quali criteri e chiarisse nei dettagli quale uso intende fare delle risorse in tal modo reperite, il discorso sarebbe molto più interessante per tutti. Ma implicherebbe la necessità di schierarsi tra due schieramenti possibili, per cui, in questi tempi di bipolarismo (cioè di corsa al centro), non troverete un politico che sia uno disposto a farlo. Figuriamoci un cardinale.
29.01.'12