Avverbi

La caccia | Trasmessa il: 05/28/2000



Vi confesserò di non essere particolarmente scandalizzato, per una volta, da quel “purtroppo” che il Presidente del Consiglio si è lasciato sfuggire in Parlamento, ricordando a chi lo esortava a vietare senza mezzi termini la prevista manifestazione gay di Roma, che in Italia vige una Costituzione che riconosce ai cittadini taluni diritti che nessuno, e lui meno degli altri, può permettersi di ignorare.  Che un capo del governo consideri la Costituzione della Repubblica come una iattura può lasciare perplessi, ma in fondo si può capire.  Noi siamo avvezzi a pensare alle leggi costituzionali come a una specie di quadro valori neutrale, cui tutti, governo e cittadini, fanno concorde riferimento e chi non ci sta peggio per lui, ma, in realtà, quella specie di documenti è tutto fuorché pacifica o neutrale.  Le costituzioni le hanno inventate con lo scopo preciso di imporre ai governanti dei vincoli cui attenersi nel rapporto con i governati ed è abbastanza ovvio che chi detiene il potere, a qualsiasi titolo, non le veda particolarmente di buon occhio.  Stringi stringi, rappresentano sempre un limite alla sua libertà di azione. Di solito si ritiene che la prima costituzione in senso moderno sia la Magna Charta Libertatum inglese del 1215 e non sarà un caso se le cronache ricordano come colui che la promulgò, il re Giovanni Senza Terra (che non era poi tanto cattivo quanto nei cartoni animati di Robin Hood), abbia passato la notte precedente alla firma gemendo e strappandosi i peli della barba in segno di stizza e se alla fine si decise a firmare lo fece solo perché i baroni avevano avuto l’accortezza di imporre come sede della cerimonia un castello fortificato attorno a cui si erano schierati in armi.  Senza che sia necessario giungere a tanto, è abbastanza normale che chi riveste responsabilità di governo, fosse anche il Presidente del Consiglio di una Repubblica parlamentare, consideri costituzioni e statuti soprattutto una gran rottura di scatole.  Quell’avverbio, in fondo, può essere considerato una insolita manifestazione di sincerità, nonché un monito di cui tener conto la prossima volta che ci verranno a dire, come ha fatto l’altro giorno il pio Formigoni, che la nostra Costituzione è superata e sarebbe ora di decidersi a emendarla.
        No.  Io trovo più preoccupante, nell’intervento del presidente Amato, quel passaggio in cui assicura (essendogli stato richiesto di garantire lo svolgimento di un corteo, che è la forma in cui si estrinseca, da quando esiste, il Gay Pride) di essere più che disposto ad accedere alla richiesta, a patto, naturalmente, che i promotori acconsentano a loro volta a svolgere la loro manifestazione in forma stanziale.   Al di là delle motivazioni addotte, che sono, a quanto è sembrato di capire, gli eterni motivi di ordine pubblico cui l’autorità ricorre da sempre per negare qualsiasi cosa a chiunque, l’affermazione non può che lasciare perplessi.   Un corteo stanziale, salvo errore, non è stato ancora inventato.  Per cui o quella dichiarazione è un puro gioco di parole, un modo furbetto per affermare una cosa facendo mostra di sostenere il contrario (pratica da cui sarebbe bene che i Presidenti del Consiglio si astengano, specie in Parlamento), o rivela una situazione mentale un po’ disturbata.   È vero che Amato, di questi giorni, ha i suoi bei problemi, visto che i suoi sostenitori sono riusciti a fargli perdere un referendum sul quale lui si era dichiarato neutrale e a cui probabilmente era contrario, ma dovrebbe fare lo stesso uno sforzo per controllarsi.
        D’altro canto il ragazzo non è nuovo a circonlocuzioni logiche di questo tipo.  È lui, in fondo, che vuole una legge elettorale di tipo proporzionale che salvi i principi del maggioritario.  Ed è sempre lui quello che si prefigge di salvare la sinistra dalla catastrofe elettorale gestendo da palazzo Chigi una politica solidamente di destra.   Di fronte a una logica così refrattaria al principio di non contraddizione, ci si può aspettare di tutto.  Come appunto la pretesa, non potendosi negare in nome della Costituzione i diritti civili di un certo numero di cittadini, di vanificarli – per fare un piacere al papa – in nome dell’ordine pubblico.

28.05.’00