Vi confesserò di non essere particolarmente
scandalizzato, per una volta, da quel “purtroppo” che il Presidente del
Consiglio si è lasciato sfuggire in Parlamento, ricordando a chi lo esortava
a vietare senza mezzi termini la prevista manifestazione gay di Roma, che
in Italia vige una Costituzione che riconosce ai cittadini taluni diritti
che nessuno, e lui meno degli altri, può permettersi di ignorare. Che
un capo del governo consideri la Costituzione della Repubblica come una
iattura può lasciare perplessi, ma in fondo si può capire. Noi siamo
avvezzi a pensare alle leggi costituzionali come a una specie di quadro
valori neutrale, cui tutti, governo e cittadini, fanno concorde riferimento
e chi non ci sta peggio per lui, ma, in realtà, quella specie di documenti
è tutto fuorché pacifica o neutrale. Le costituzioni le hanno inventate
con lo scopo preciso di imporre ai governanti dei vincoli cui attenersi
nel rapporto con i governati ed è abbastanza ovvio che chi detiene il potere,
a qualsiasi titolo, non le veda particolarmente di buon occhio. Stringi
stringi, rappresentano sempre un limite alla sua libertà di azione. Di
solito si ritiene che la prima costituzione in senso moderno sia la Magna
Charta Libertatum inglese del 1215 e non sarà un caso se le cronache ricordano
come colui che la promulgò, il re Giovanni Senza Terra (che non era poi
tanto cattivo quanto nei cartoni animati di Robin Hood), abbia passato
la notte precedente alla firma gemendo e strappandosi i peli della barba
in segno di stizza e se alla fine si decise a firmare lo fece solo perché
i baroni avevano avuto l’accortezza di imporre come sede della cerimonia
un castello fortificato attorno a cui si erano schierati in armi. Senza
che sia necessario giungere a tanto, è abbastanza normale che chi riveste
responsabilità di governo, fosse anche il Presidente del Consiglio di una
Repubblica parlamentare, consideri costituzioni e statuti soprattutto una
gran rottura di scatole. Quell’avverbio, in fondo, può essere considerato
una insolita manifestazione di sincerità, nonché un monito di cui tener
conto la prossima volta che ci verranno a dire, come ha fatto l’altro
giorno il pio Formigoni, che la nostra Costituzione è superata e sarebbe
ora di decidersi a emendarla.
No.
Io trovo più preoccupante, nell’intervento del presidente Amato,
quel passaggio in cui assicura (essendogli stato richiesto di garantire
lo svolgimento di un corteo, che è la forma in cui si estrinseca, da quando
esiste, il Gay Pride) di essere più che disposto ad accedere alla richiesta,
a patto, naturalmente, che i promotori acconsentano a loro volta a svolgere
la loro manifestazione in forma stanziale. Al di là delle motivazioni
addotte, che sono, a quanto è sembrato di capire, gli eterni motivi di
ordine pubblico cui l’autorità ricorre da sempre per negare qualsiasi
cosa a chiunque, l’affermazione non può che lasciare perplessi.
Un corteo stanziale, salvo errore, non è stato ancora inventato. Per
cui o quella dichiarazione è un puro gioco di parole, un modo furbetto
per affermare una cosa facendo mostra di sostenere il contrario (pratica
da cui sarebbe bene che i Presidenti del Consiglio si astengano, specie
in Parlamento), o rivela una situazione mentale un po’ disturbata.
È vero che Amato, di questi giorni, ha i suoi bei problemi, visto che i
suoi sostenitori sono riusciti a fargli perdere un referendum sul quale
lui si era dichiarato neutrale e a cui probabilmente era contrario, ma
dovrebbe fare lo stesso uno sforzo per controllarsi.
D’altro
canto il ragazzo non è nuovo a circonlocuzioni logiche di questo tipo.
È lui, in fondo, che vuole una legge elettorale di tipo proporzionale
che salvi i principi del maggioritario. Ed è sempre lui quello che
si prefigge di salvare la sinistra dalla catastrofe elettorale gestendo
da palazzo Chigi una politica solidamente di destra. Di fronte a
una logica così refrattaria al principio di non contraddizione, ci si può
aspettare di tutto. Come appunto la pretesa, non potendosi negare
in nome della Costituzione i diritti civili di un certo numero di cittadini,
di vanificarli – per fare un piacere al papa – in nome dell’ordine pubblico.
28.05.’00