Assemblee mediatiche

La caccia | Trasmessa il: 12/23/2001



Non ho mai capito, francamente, perché gli esponenti del centro destra nutrano tanto amore per l’espressione e il concetto di “Stati Generali”.  Dal loro punto di vista, a  rigor di logica, quelle due parole dovrebbero essere temute e aborrite, visto che, come forse ricorderete, i più famosi Stati Generali della storia, convocati dalla buonanima di  Luigi XVI nel lontano 1789, pur essendo stati indetti con funzione meramente consultiva, tanto per dare una parvenza di legittimità alla decisione, già presa, di istituire certe nuove imposte, si conclusero inopinatamente nel salone della pallacorda, un episodio che ebbe, com’è noto, delle conseguenze che né il re né i suoi ministri avevano previsto o avrebbero potuto approvare.  Ma forse i nostri governanti, il cui livello culturale è quello che è, non conoscono abbastanza la storia e certe implicazioni non sono in grado di afferrarle.  Così, da quando il sindaco della nostra città, l’inetto Albertini, ha avuto l’idea di convocare, nello scorso gennaio, gli Stati Generali del Comune di Milano, con i brillanti risultati di cui tutti, in questi ultimi mesi, vi sarete resi conto, le iniziative del genere fioccano con desolante regolarità.  E se oggi Albertini sta preparando, a quanto si mormora, gli Stati Generali del Traffico, un’imponente assemblea destinata, suppongo, a sanzionare con i debiti applausi quei poteri straordinari che il povero pavone ha tanto brigato per farsi assegnare, la ministra Moratti, sul suo illustre esempio, ha deciso di presentare l’ennesima proposta di riforma del sistema scolastico convocando e facendo svolgere, proprio questa settimana, quegli Stati Generali della Scuola di cui la stampa ha avuto, nei giorni scorsi, ampia occasione di riferire.
        Certo gli Albertini, le Moratti e chi per loro giocano abbastanza sul sicuro.  E non solo perché sanno benissimo che tra le file dell’opposizione non c’è particolare abbondanza di spirito giacobino.  Il fatto è che i loro Stati Generali non sono, in realtà, delle assemblee, delle aggregazioni di cittadini che possano rivendicare a qualsiasi titolo una sia pur vaga funzione rappresentativa.  Sono, comìè stato notato, degli eventi meramente mediatici, delle riunioni televisive a invito, la cui capacità di esprimere un punto di vista sui problemi del traffico, della scuola o di qualsivoglia altra complessità sociale è sicuramente inferiore a quella del salotto di Paolo Limiti o dell’auditorio di Bruno Vespa.  Non a caso l’organizzazione degli “stati” della Moratti era stata affidata, in prima battuta, alla premiata ditta di Maurizio Costanzo ed è stata curata, dopo il sagace ritiro di costui, da un’altra struttura specializzata in “eventi”.  In un paese in cui il dibattito politico è praticamente confinato nell’ambito dei talk show e dove il problema principale dei leader parlamentari (quelli dell’opposizione compresi) è quello di badare che le votazioni più significative siano sincronizzate con la diretta TV non ci si può aspettare nient’altro.   E neppure Robespierre, che pure non era del tutto ignaro, per i suoi tempi, della funzione dei mezzi di informazione di massa, avrebbe potuto fare un granché con un pubblico di invitati accuratamente selezionati dal sovrano regnante.  Agli spettacoli televisivi, gli spettatori, fin dai tempi di “Lascia o Raddoppia” sono invitati al solo scopo di fare da claque e da questa funzione possono esimersi soltanto a proprio rischio e pericolo, come hanno potuto verificare i non molti studenti e insegnanti che, per essersi tolto il gusto di fischiare la ministra e il suo capo, si sono beccati una salutare dose di sganassoni.
        Non succederà più, naturalmente. Anche se la Moratti, con imprevedibile signorilità, ha commentato che anche questo è un segno di democrazia (si riferiva, credo, ai fischi e non agli sganassoni), Berlusconi si è mostrato molto meno equanime.  Lui nelle proteste altrui non sa vedere altro che “grida scomposte”.  E in futuro, vista la sua leggendaria capacità di badare ai particolari, starà ben attento che la cernita degli invitati sia più severa e il servizio di sicurezza più sollecito.   Anzi, per essere ancora più sicuro, vedrete che i prossimi  “Stati Generali” non li farà né a Foligno né al Palazzo dei Congressi, ma in un bello studio, non importa se Mediaset o Rai, con un pubblico di comparse professionali e forse neanche in diretta.  Tanto gli italiani, abituati come sono a vedere la realtà soltanto attraverso il tubo catodico, non si accorgeranno neanche della differenza.

23.12.’01