Araldica di quartiere

La caccia | Trasmessa il: 12/09/2001



Sappiamo tutti di che cosa avrebbe bisogno la nostra città: di più servizi, più scuole, più asili nido, più centri per i giovani, più assistenza per gli anziani, e poi di più verde, più parcheggi, un traffico più regolato, una rete di trasporti pubblici più efficiente, una amministrazione, insomma, capace di prendersi cura dei bisogni e degli interessi concreti dei cittadini, con particolare riguardo alle fasce più deboli della popolazione.  E sappiamo tutti, naturalmente, che, nella congiuntura attuale, non avremo nulla di tutto questo: gli interessi che stanno a cuore a chi ci amministra sono ben altri e, quanto ai servizi, l’idea corrente a Palazzo Marino è quella di riservarli a chi se li può pagare.  E da chi, come prima misura per il contenimento del traffico, decide di aumentare il costo del biglietto del tram non ci si può aspettare davvero un gran che.
        Qualcosa, tuttavia, avremo.  Avremo, per esempio, gli stemmi di quartiere.  Ce lo assicura un trafiletto sul “Corriere” del 23 scorso. Vi ci si legge che l’assessore al decentramento, che Dio lo perdoni, ha deciso di “coinvolgere gli abitanti delle nove circoscrizioni cittadine” nella ricerca di “uno stemma per ogni zona di Milano”, invitandoli a scegliere un simbolo “tra i monumenti e i luoghi più caratteristici” del quartiere in cui abitano.   Il regolamento dell’iniziativa è assai è semplice: basterà sottoporre al proprio consiglio di zona, presentandosi di persona o – naturalmente – via Internet, “lettere, messaggi e disegni con l’indicazione del soggetto scelto”.  La raccolta durerà fino al febbraio 2002 e tra tutte le proposte saranno scelti gli stemmi che, a partire dal giugno prossimo, verranno esposti sugli edifici pubblici e sulla segnaletica stradale.
        Il cittadino legge e un po’ trasecola.   Di uno stemma di zona, di quartiere o di circoscrizione non sentiva, sinceramente, necessità alcuna.  Gli stemmi, d’altronde, hanno una funzione precisa: quella di esprimere un’identità, di affermare una tradizione, e le circoscrizioni del decentramento milanese non hanno né l’una né l’altra.  Sono state ridisegnate un paio d’anni fa secondo criteri piuttosto oscuri e ciascuna di esse comprende delle realtà urbane alquanto eterogenee.   Tanto è vero che la maggior parte dei milanesi, se interpellata, non saprebbe neanche dire in quale zona risiede.  Uno sa benissimo, naturalmente, di abitare al Sempione o a Porta Romana, a Città Studi o alla Barona, ma precisare sui due piedi a quale entità amministrativa corrispondano queste identità  riconosciute e tradizionali è tutt’altro che facile.  E quanto ai simboli con cui identificare le nuove astrazioni burocratiche, be’, anche quelli non è troppo facile farseli venire in mente.  La maggior parte dei monumenti e dei luoghi caratteristici del paesaggio ambrosiano si trovano entro la cerchia dei bastioni spagnoli, nella zona 1, e alle otto circoscrizioni periferiche resta poco da scialare.  In effetti, i dirigenti della zona 6, che, con un misto di efficientismo decisionista e di patente disinteresse per le scelte popolari, hanno già presentato il simbolo della loro zona, non sono stati capaci di trovare nulla di meglio che “un profilo umano inscritto nel numero sei, su sfondo blu”.  Non si sono precisamente sforzati, ma li si può anche capire.  Io, che, se non ho fatto confusione, abito in una circoscrizione che si estende da Quarto Oggiaro fin quasi all’Arco della Pace, sarei davvero imbarazzato a fare qualche proposta. Sì, certo, considerando il fatto che in zona risiede il Sindaco in persona, potrei azzardarmi a proporre l’immagine di un pavone che fa la ruota, o, tenendo conto dell’esosità del mercato immobiliare e quella di certi esercenti, potrei riesumare la classica “man rampante in campo altrui” che gli sceneggiatori di “Topolino”, tanti anni fa, avevano assegnato come emblema araldico alla Banda Bassotti, ma si tratta di una simbologia che non ha specifiche connotazioni locali, e dubito che all’assessorato la prenderebbero in considerazione.    In realtà, tutta l’iniziativa ha l’aria di essere una di quelle tipiche campagne d’immagine in cui i nostri amministratori si sono specializzati da tempo, al fine manifesto di farsi pubblicità a nostre spese con i pretesti più futili.
        Mi direte che abbiamo visto di peggio e che non è il caso di prendersela più che tanto.  È vero, ma è anche vero che certi particolari minimi, talvolta, sono molto rivelatori.   Vedete, tra le tante cose di cui ha bisogno Milano ci sarebbe anche un serio decentramento amministrativo, che colmasse la distanza che separa le istituzioni dai cittadini e permettesse, come in tutte le grandi città degne dell’aggettivo, un vero autogoverno a livello locale.  Di questo progetto, tuttavia, Giunta e Sindaco sono stati, finora, nemici acerrimi: il nuovo ordinamento delle circoscrizioni, in effetti, è stato realizzato proprio al fine di togliere ai consigli di zona la maggior parte degli scarsi poteri di cui disponevano in precedenza.  Capirete: chi, come il buon Albertini, aspira a governare da solo grazie a una serie di poteri eccezionali non può vedere di buon occhio il crescere e lo svilupparsi di forme di autogoverno di qualsiasi genere.  I consigli di zona, dal punto di vista dell’attuale maggioranza, devono sforzarsi soprattutto di non esistere.
        In compenso saranno dotati di uno stemma, come a dire che avranno il riconoscimento formale di un’identità (e una funzione) negata nei fatti.  Un’etichetta, in sostanza, ma un’etichetta menzognera, destinata a coprire, soprattutto, una non realtà.  Capita spesso, d’altronde, con le dichiarazioni e le iniziative di questa banda di narcisisti incapaci, bravi soltanto nell’autoincensarsi mentre la città che gli è stata incautamente affidata va, pezzo per pezzo, in malora.   Dev’essere questo, suppongo, il bello della civiltà dell’immagine.

Carlo Oliva, 09.12.’01