Sappiamo tutti di che cosa avrebbe bisogno
la nostra città: di più servizi, più scuole, più asili nido, più centri
per i giovani, più assistenza per gli anziani, e poi di più verde, più
parcheggi, un traffico più regolato, una rete di trasporti pubblici più
efficiente, una amministrazione, insomma, capace di prendersi cura dei
bisogni e degli interessi concreti dei cittadini, con particolare riguardo
alle fasce più deboli della popolazione. E sappiamo tutti, naturalmente,
che, nella congiuntura attuale, non avremo nulla di tutto questo: gli interessi
che stanno a cuore a chi ci amministra sono ben altri e, quanto ai servizi,
l’idea corrente a Palazzo Marino è quella di riservarli a chi se li può
pagare. E da chi, come prima misura per il contenimento del traffico,
decide di aumentare il costo del biglietto del tram non ci si può aspettare
davvero un gran che.
Qualcosa,
tuttavia, avremo. Avremo, per esempio, gli stemmi di quartiere. Ce
lo assicura un trafiletto sul “Corriere” del 23 scorso. Vi ci si legge
che l’assessore al decentramento, che Dio lo perdoni, ha deciso di “coinvolgere
gli abitanti delle nove circoscrizioni cittadine” nella ricerca di “uno
stemma per ogni zona di Milano”, invitandoli a scegliere un simbolo “tra
i monumenti e i luoghi più caratteristici” del quartiere in cui abitano.
Il regolamento dell’iniziativa è assai è semplice: basterà sottoporre
al proprio consiglio di zona, presentandosi di persona o – naturalmente
– via Internet, “lettere, messaggi e disegni con l’indicazione del soggetto
scelto”. La raccolta durerà fino al febbraio 2002 e tra tutte le
proposte saranno scelti gli stemmi che, a partire dal giugno prossimo,
verranno esposti sugli edifici pubblici e sulla segnaletica stradale.
Il
cittadino legge e un po’ trasecola. Di uno stemma di zona, di quartiere
o di circoscrizione non sentiva, sinceramente, necessità alcuna. Gli
stemmi, d’altronde, hanno una funzione precisa: quella di esprimere un’identità,
di affermare una tradizione, e le circoscrizioni del decentramento milanese
non hanno né l’una né l’altra. Sono state ridisegnate un paio d’anni
fa secondo criteri piuttosto oscuri e ciascuna di esse comprende delle
realtà urbane alquanto eterogenee. Tanto è vero che la maggior parte
dei milanesi, se interpellata, non saprebbe neanche dire in quale zona
risiede. Uno sa benissimo, naturalmente, di abitare al Sempione o
a Porta Romana, a Città Studi o alla Barona, ma precisare sui due piedi
a quale entità amministrativa corrispondano queste identità riconosciute
e tradizionali è tutt’altro che facile. E quanto ai simboli con
cui identificare le nuove astrazioni burocratiche, be’, anche quelli non
è troppo facile farseli venire in mente. La maggior parte dei monumenti
e dei luoghi caratteristici del paesaggio ambrosiano si trovano entro la
cerchia dei bastioni spagnoli, nella zona 1, e alle otto circoscrizioni
periferiche resta poco da scialare. In effetti, i dirigenti della
zona 6, che, con un misto di efficientismo decisionista e di patente disinteresse
per le scelte popolari, hanno già presentato il simbolo della loro zona,
non sono stati capaci di trovare nulla di meglio che “un profilo umano
inscritto nel numero sei, su sfondo blu”. Non si sono precisamente
sforzati, ma li si può anche capire. Io, che, se non ho fatto confusione,
abito in una circoscrizione che si estende da Quarto Oggiaro fin quasi
all’Arco della Pace, sarei davvero imbarazzato a fare qualche proposta.
Sì, certo, considerando il fatto che in zona risiede il Sindaco in persona,
potrei azzardarmi a proporre l’immagine di un pavone che fa la ruota,
o, tenendo conto dell’esosità del mercato immobiliare e quella di certi
esercenti, potrei riesumare la classica “man rampante in campo altrui”
che gli sceneggiatori di “Topolino”, tanti anni fa, avevano assegnato
come emblema araldico alla Banda Bassotti, ma si tratta di una simbologia
che non ha specifiche connotazioni locali, e dubito che all’assessorato
la prenderebbero in considerazione. In realtà, tutta l’iniziativa
ha l’aria di essere una di quelle tipiche campagne d’immagine in cui
i nostri amministratori si sono specializzati da tempo, al fine manifesto
di farsi pubblicità a nostre spese con i pretesti più futili.
Mi
direte che abbiamo visto di peggio e che non è il caso di prendersela più
che tanto. È vero, ma è anche vero che certi particolari minimi,
talvolta, sono molto rivelatori. Vedete, tra le tante cose di cui
ha bisogno Milano ci sarebbe anche un serio decentramento amministrativo,
che colmasse la distanza che separa le istituzioni dai cittadini e permettesse,
come in tutte le grandi città degne dell’aggettivo, un vero autogoverno
a livello locale. Di questo progetto, tuttavia, Giunta e Sindaco
sono stati, finora, nemici acerrimi: il nuovo ordinamento delle circoscrizioni,
in effetti, è stato realizzato proprio al fine di togliere ai consigli
di zona la maggior parte degli scarsi poteri di cui disponevano in precedenza.
Capirete: chi, come il buon Albertini, aspira a governare da solo
grazie a una serie di poteri eccezionali non può vedere di buon occhio
il crescere e lo svilupparsi di forme di autogoverno di qualsiasi genere.
I consigli di zona, dal punto di vista dell’attuale maggioranza,
devono sforzarsi soprattutto di non esistere.
In
compenso saranno dotati di uno stemma, come a dire che avranno il riconoscimento
formale di un’identità (e una funzione) negata nei fatti. Un’etichetta,
in sostanza, ma un’etichetta menzognera, destinata a coprire, soprattutto,
una non realtà. Capita spesso, d’altronde, con le dichiarazioni
e le iniziative di questa banda di narcisisti incapaci, bravi soltanto
nell’autoincensarsi mentre la città che gli è stata incautamente affidata
va, pezzo per pezzo, in malora. Dev’essere questo, suppongo, il
bello della civiltà dell’immagine.
Carlo Oliva, 09.12.’01