Ambiguità sexy

La caccia | Trasmessa il: 01/08/2012


    Ambiguità sexy

    Qualcuno di voi si è mai chiesto, per caso, che cos'è un oggetto al tempo stesso “sottile”, “resistente” e “sexy”? La domanda si giustifica perché un articolo con quelle caratteristiche viene largamente pubblicizzato in tutta la città, in particolare mediante grandi affissioni sulle fiancate degli autobus, suscitando tra i passanti e gli automobilisti una qualche legittima curiosità. E forse anche un poco di perplessità, perché i tre epiteti, presi insieme, suonano abbastanza incongrui e non è facile, così sui due piedi, sanare la sottile ambiguità che producono indovinando a che cosa complessivamente si possano riferire.
    Personalmente, avevo pensato, in prima istanza, a quegli ingegnosi dispositivi in lattice cui sono affidate le possibilità per il genere maschile di contribuire fattivamente al controllo delle nascite e di evitare la diffusione di pericolose epidemie e terribili morbi. Sono articoli di cui si predica normalmente il minimo spessore e la massima resistenza (sarebbe un bel guaio, se no) e quanto al “sexy”, anche se il termine non sembra del tutto appropriato, non c'è dubbio che con il sesso abbiano piuttosto a che fare. Per cui, siccome sono abbastanza vecchio per ricordare il tempo in cui l'uso di simili oggetti costituiva peccato mortale, non bisognava assolutamente parlarne in alcuna sede e farne pubblicità era severamente vietato per legge (anche al farmacista, che pure li offriva in vendita, andavano ordinati sottovoce e adibendo ogni possibile discrezione), mi ero illuso di potermi rallegrare, come se quella pubblicità indicasse la scomparsa definitiva di uno stupido pregiudizio.
    Ma poi ho scoperto che mi sbagliavo. In pubblicità le figure valgono più del testo e osservando attentamente le immagini su quegli affissi si capiva benissimo che l'ipotesi era infondata. Il nome della ditta produttrice, poi, toglieva ogni possibile dubbio. A essere sottile, resistente e sexy non erano gli strumenti cui avevo pensato io, ma, strano ma vero, un tipo di telefonino. Uno di quei telefonini avanzati che si usano oggi, di quelli che oltre a telefonare ti servono per connetterti a internet, per scaricare la musica e per fare chissà che altro (vengono definiti, credo, con il termine di smartphone) ma sempre, in sostanza, un telefonino. Era un oggetto del genere a essere riprodotto sui muri e sulle fiancate e a esso e non ad altro si riferivano i tre aggettivi che mi avevano tanto intrigato.
    Ciò stabilito, tuttavia, il problema si riproponeva da capo. Due aggettivi andavano abbastanza bene, ma il terzo proprio no. Che un telefonino possa o debba essere di poco spessore è affatto pacifico: l'industria dell'elettronica, ormai, mette sulla piazza dei prodotti più sottili di ostie e di questa caratteristica, con le sue ovvie implicazioni di portabilità e leggerezza, mena gran vanto. Che di un simile oggetto si garantisca la robustezza è pure del tutto normale: deve resistere, pur nelle ridotte dimensioni, a un uso intensivo, facendosi sbatacchiare qua e là e rispondendo alle più varie sollecitazioni della vita moderna, per cui è giusto assicurare che la sua sottigliezza è più simile a quella di una lamina di acciaio che a quella di un foglio di carta. Ma sexy? Come faccia un telefonino a essere sexy proprio non è facile divinare.
    Io ci ho pensato un po' e posso proporvi due ipotesi, entrambe – vi anticipo – non particolarmente rassicuranti. La prima è che il termine vada inteso in senso, per così dire, strumentale, come se l'oggetto avesse la virtù di potenziare l'appetibilità sessuale di chi lo detiene, esercitando sulle e sui possibili partner lo stesso effetto della mitica “macchina grossa” nel noto aforisma di Andrea Pazienza. Un'ipotesi, lo ammetterete, piuttosto deprimente, ma sempre migliore della seconda, che definirei di tipo sostitutivo: quella per cui il possesso di quell'artefatto dovrebbe indurre in chi se lo può permettere le stesse gratificazioni che normalmente si associano all'erotismo. Il telefonino – anzi, lo smartphone – verrebbe visto, in un caso, come una specie di protesi, capace di moltiplicare le prestazioni amatorie del soggetto telefonante, e nell'altro come un oggetto stesso di amore, obiettivo proposto a bramosie troppo intense e diffuse per potersi limitare, ormai, alla sola sfera del sesso.
    Posso sbagliarmi, naturalmente. Forse quel “sexy” è utilizzato solo perché suona bene, senza alcuna implicazione del genere che ho supposto. Ma tuttavia è vero che i prodotti dell'elettronica, oggi come oggi, conferiscono status e suscitano cupidigia e che disporre dell'ultimo modello sul mercato – o almeno di un surrogato accettabile – è condizione necessaria, anche se forse non sufficiente, per considerarsi ed essere considerato un possibile soggetto alfa nel branco. Lo dimostra, d'altronde, il fatto che le funzioni sempre più raffinate di cui tali oggetti sono dotati non hanno, per la stragrande maggioranza degli utenti, la minima utilità pratica, salvo quella di aumentarne il valore, la rarità e il relativo effetto di richiamo e che questo valga, con minime sfumature dovute soprattutto alle possibilità di spesa, per qualsiasi possibile comunità di utilizzatori: ragazzini delle scuole medie, giovanotti della movida, yuppies e manager del mondo delle professioni, intellettuali di grido, professionisti della comunicazione e via andare. Certo, un telefonino, a differenza della macchina grossa di cui si diceva pocanzi, ce lo possiamo permettere tutti, ma perché il meccanismo funzioni è necessario che il nostro sia almeno un gradino più su di quello dei nostri simili: che sia più sottile, più robusto e, soprattutto, più sexy. È un ennesimo passo in avanti nel processo della trasformazioni delle merci in feticci, un fenomeno che caratterizza tutta l'economia contemporanea, come variante estrema del prevalere del valore di scambio su quello di uso, e non saranno certo delle semplici sparate moralistiche che lo arresteranno. Ma almeno possiamo cercare di esserne consapevoli.
08.01.'12