Permettemi due riflessioni sul caso del piccolo Elian, il bambino cubano
conteso tra il padre e i parenti emigrati a Miami, costretto a esibirsi
in televisione per spiegare che lui alle gioie della famiglia preferisce
decisamente quelle del capitalismo. Suppongo che concordiate con
me sul fatto che la cosa più impressionante in quelle immagini era rappresentata
dalla sovrascritta “exclusivo” che su di esse periodicamente compariva
e che è stata fissata in via definitiva anche nelle fotografie pubblicate
da parecchi giornali (come in quella che campeggiava in prima pagina sul
“Corriere” dell’altro ieri). Quella scritta faceva impressione
perché significava che gli zii e i cugini del piccolo, oltre a servirsi
senza scrupolo delle immagini e delle parole di un bambino per guadagnare
consensi in un contenzioso ideologico i cui termini, per puri motivi d’età,
l’interessato non poteva e non può certo capire, quelle immagini e quelle
parole se le erano pure vendute, cedendole in esclusiva, e non certo a
gratis, alle reti televisive che le hanno mandate in onda. Per fare
una cosa del genere ci vuole, naturalmente, un bel po’ di pelo sullo stomaco,
anche prescindendo dagli effetti psicologici che l’essere in prima fila
in tutto questo cancan non potrà non avere sul piccolo, ma, in fondo, si
tratta di uno sviluppo inevitabile. Il sistema socioeconomico in
cui i suoi ”zii d’America” vogliono che Elian resti inserito è appunto
quello che afferma, oltre al diritto per chi vive al suo interno di consumare
una quantità di beni che gli altri non si possono nemmeno sognare, l’assoluta
primazia dei rapporti di mercato su qualsiasi altra forma di relazione
umana, per cui anche degli esseri umani, a prescindere dell’età, si può
e si deve fare commercio. Se Elian vorrà continuare, come gli hanno
fatto dire, a far colazione ogni mattina con due uova, una dieta che i
suoi compatrioti di Cuba non si possono certo permettere, dovrà abituarsi
a vendere se stesso. In questo sta appunto l’essenza del capitalismo,
anche dopo il crollo del muro di Berlino, ed è per questo che io continuo
a pensare che Fidel Castro, nonostante tutto, abbia le sue ragioni.
La seconda riflessione è di carattere, diciamo,
più contingente. Non so se l’avete notato, ma quella vicenda si
presta assai bene alle riflessioni di una domenica elettorale come questa.
Perché basta poco per rendersi conto che quel povero bambino è vittima,
oltre che della volontà della comunità anticastrista di Miami di servirsi
di lui per affermare i propri valori, quali che siano, del sistema elettorale
del suo paese di (forzata) adozione. Se nessuno, nemmeno il Presidente
degli Stati Uniti e il suo ministro della giustizia, è stato in grado,
pur dichiarando di volerlo fare, di compiere un gesto normale come quello
di restituire un bambino a suo padre dipende anche dal fatto che in quel
paese si vota con il maggioritario puro. In ogni circoscrizione elettorale,
alle elezioni di qualsiasi livello, laggiù chi vince per un solo voto si
aggiudica l’intera posta in palio. In questa situazione nessun deputato,
nessun governatore, nessun presidente e nessun giudice (anche i giudici,
lì, vengono eletti) può permettersi di ignorare il punto di vista di un
gruppo omogeneo che, per quanto minoritario in sé, può far pendere da una
parte o dall’altra il piatto della bilancia. Gli immigrati cubani
in Florida sono appunto in quella felice situazione, il che spiega perché
non c’è autorità in quello stato che possa solo provare a rendere giustizia
a Elian e ai suoi. E siccome la Florida è uno degli stati chiave
per l’elezione del presidente degli Stati Uniti, il medesimo presidente
non può che prendere su e portare a casa. È per questo, tra l’altro,
che l‘amministrazione statunitense tiene in vita da più di trent’anni
l’anacronistico – e criminale – blocco economico a Cuba, anche
se nessuno crede alle sue fruste motivazioni ideologiche e l’intero establishment
economico sarebbe ben lieto di darci un taglio (ed è per questo, tra parentesi,
che il governo americano non potrà mai cambiare la sua assurda politica
in Medio Oriente, visto che l’elettorato filoisraeliano gode della stessa
posizione di quello anticastrista in stati altrettanto importanti della
Florida).
Che un meccanismo politico creato per garantire
quanta più funzionalità e quanta più libertà d’azione all’esecutivo finisca
per rendere l’esecutivo medesimo talmente suscettibile alla pressione
di una minoranza organizzata da paralizzarne l’iniziativa su alcuni importanti
problemi è una cosa, mi sembra, su cui varrebbe la pena di riflettere,
soprattutto quando da più parti ci si propone di adottare un sistema quanto
più possibile simile a quello. D’altronde, chi ritiene giusto far
commercio degli esseri umani, non può avere obiezioni particolari a far
commercio dei voti, a sacrificare il principio degli interessi della maggioranza
al meccanismo del do ut des. Il guaio è che in questo processo oltre
agli interessi della maggioranza vanno perduti i diritti dell’individuo.
Se non sono io quello che conto, perché dei miei diritti a chi dovrebbe
proteggerli non gliene potrebbe importare di meno, la mia unica speranza
di salvezza è quella di appiattirmi, costi quel che costi, sui valori e
sui comportamenti di un gruppo abbastanza forte da farsi rispettare. Che
è un po’ un ritorno al medioevo, nonché il contrario di quel sistema liberale
con cui tutti, a parole, si sciacquano la bocca. Per questo, anche
se a Cuba non si vota, e se all’Avana quanto a liberalismo sono un po’
deboli, vale sempre la pena di riflettere sulle ragioni di Fidel Castro
.16.04.’00