Alcuni effetti secondari delle leggi elettorali

La caccia | Trasmessa il: 04/16/2000




Permettemi due riflessioni sul caso del piccolo Elian, il bambino cubano conteso tra il padre e i parenti emigrati a Miami, costretto a esibirsi in televisione per spiegare che lui alle gioie della famiglia preferisce decisamente quelle del capitalismo.  Suppongo che concordiate con me sul fatto che la cosa più impressionante in quelle immagini era rappresentata dalla sovrascritta “exclusivo” che su di esse periodicamente compariva e che è stata fissata in via definitiva anche nelle fotografie pubblicate da parecchi giornali (come in quella che campeggiava in prima pagina sul “Corriere” dell’altro ieri).  Quella scritta faceva impressione perché significava che gli zii e i cugini del piccolo, oltre a servirsi senza scrupolo delle immagini e delle parole di un bambino per guadagnare consensi in un contenzioso ideologico i cui termini, per puri motivi d’età, l’interessato non poteva e non può certo capire, quelle immagini e quelle parole se le erano pure vendute, cedendole in esclusiva, e non certo a gratis, alle reti televisive che le hanno mandate in onda.  Per fare una cosa del genere ci vuole, naturalmente, un bel po’ di pelo sullo stomaco, anche prescindendo dagli effetti psicologici che l’essere in prima fila in tutto questo cancan non potrà non avere sul piccolo, ma, in fondo, si tratta di uno sviluppo inevitabile.   Il sistema socioeconomico in cui i suoi ”zii d’America” vogliono che Elian resti inserito è appunto quello che afferma, oltre al diritto per chi vive al suo interno di consumare una quantità di beni che gli altri non si possono nemmeno sognare, l’assoluta primazia dei rapporti di mercato su qualsiasi altra forma di relazione umana, per cui anche degli esseri umani, a prescindere dell’età, si può e si deve fare commercio.  Se Elian vorrà continuare, come gli hanno fatto dire, a far colazione ogni mattina con due uova, una dieta che i suoi compatrioti di Cuba non si possono certo permettere, dovrà abituarsi a vendere se stesso.  In questo sta appunto l’essenza del capitalismo, anche dopo il crollo del muro di Berlino, ed è per questo che io continuo a pensare che Fidel Castro, nonostante tutto, abbia le sue ragioni.

       La seconda riflessione è di carattere, diciamo, più contingente.  Non so se l’avete notato, ma quella vicenda si presta assai bene alle riflessioni di una domenica elettorale come questa.  Perché basta poco per rendersi conto che quel povero bambino è vittima, oltre che della volontà della comunità anticastrista di Miami di servirsi di lui per affermare i propri valori, quali che siano, del sistema elettorale del suo paese di (forzata) adozione.  Se nessuno, nemmeno il Presidente degli Stati Uniti e il suo ministro della giustizia, è stato in grado, pur dichiarando di volerlo fare, di compiere un gesto normale come quello di restituire un bambino a suo padre dipende anche dal fatto che in quel paese si vota con il maggioritario puro.  In ogni circoscrizione elettorale, alle elezioni di qualsiasi livello, laggiù chi vince per un solo voto si aggiudica l’intera posta in palio.  In questa situazione nessun deputato, nessun governatore, nessun presidente e nessun giudice (anche i giudici, lì, vengono eletti) può permettersi di ignorare il punto di vista di un gruppo omogeneo che, per quanto minoritario in sé, può far pendere da una parte o dall’altra il piatto della bilancia.   Gli immigrati cubani in Florida sono appunto in quella felice situazione, il che spiega perché non c’è autorità in quello stato che possa solo provare a rendere giustizia a Elian e ai suoi.  E siccome la Florida è uno degli stati chiave per l’elezione del presidente degli Stati Uniti, il medesimo presidente non può che prendere su e portare a casa.   È per questo, tra l’altro, che l‘amministrazione statunitense tiene in vita da più di trent’anni l’anacronistico – e criminale –  blocco economico a Cuba, anche se nessuno crede alle sue fruste motivazioni ideologiche e l’intero establishment economico sarebbe ben lieto di darci un taglio (ed è per questo, tra parentesi, che il governo americano non potrà mai cambiare la sua assurda politica in Medio Oriente, visto che l’elettorato filoisraeliano gode della stessa posizione di quello anticastrista in stati altrettanto importanti della Florida).
       Che un meccanismo politico creato per garantire quanta più funzionalità e quanta più libertà d’azione all’esecutivo finisca per rendere l’esecutivo medesimo talmente suscettibile alla pressione di una minoranza organizzata da paralizzarne l’iniziativa su alcuni importanti problemi è una cosa, mi sembra, su cui varrebbe la pena di riflettere, soprattutto quando da più parti ci si propone di adottare un sistema quanto più possibile simile a quello.   D’altronde, chi ritiene giusto far commercio degli esseri umani, non può avere obiezioni particolari a far commercio dei voti, a sacrificare il principio degli interessi della maggioranza al meccanismo del do ut des.  Il guaio è che in questo processo oltre agli interessi della maggioranza vanno perduti i diritti dell’individuo.  Se non sono io quello che conto, perché dei miei diritti a chi dovrebbe proteggerli non gliene potrebbe importare di meno, la mia unica speranza di salvezza è quella di appiattirmi, costi quel che costi, sui valori e sui comportamenti di un gruppo abbastanza forte da farsi rispettare.  Che è un po’ un ritorno al medioevo, nonché il contrario di quel sistema liberale con cui tutti, a parole, si sciacquano la bocca.  Per questo, anche se a Cuba non si vota, e se all’Avana quanto a liberalismo sono un po’ deboli, vale sempre la pena di riflettere sulle ragioni di Fidel Castro


.16.04.’00