Ultima pag. di giornale che non parla
di curdi (Resp. 27.01) tutta occupata da annuncio pubblicitario caratteri
scatola. “Se tuo est vero amore” recita (e “amore” scritto
grandiss.) “anche tuo gioiello deve essere VERO” (e “vero” est scritto
ancora + grande di “amore”). Est, evidentem., pubblicità di catena
di gioiellerie, che propongono, con dovuto anticipo, loro offerte x ricorrenza
S. Valentino, ma habet suo tono perentorio che colpisce. Eh già,
se est vero amore vuoleci vero gioiello, non discutesi. Non vorrete
mica offendere colei (o colui) da cui dipende vs. felicità imponendole
(imponendogli) portare a dito, a collo, a orecchio o, trattandosi di esponente
di + giovani generaz., at naso volgare fondo di bottiglia, no?
Solo in 2ª battuta 1 rendesi conto che
proposiz. non così convincente. Sua formulaz. sembra esprimere certa
consequenzialità, ma non contiene affatto necessità logica. Non est
sillogismo (provate 1 po’ a metterlo in forma, identificando premessa
maggiore e qla minore) e non risponde nem- a dettati esperienza empirica.
Sappiamo tutti che se amore est vero, be’, allora può fare a - di
doni costosi, xché unico dono che prevede amore est qlo di sé, e che, d’altra
parte, gioiello vero, in senso corrente di termine, può, al max, garantire
solidità finanziaria e propensione ai consumi di lusso di chi puoteselo
permettere, ma nulla assicura qnto a solidità di affetti di chi donalo
e di chi ricevelo. Committenti e autori di qla pubblicità, evidentem.,
non habent tenuto presente finale di Colazione da Tiffany.
E poi, riflette ozioso lettore aprendo
giornale, quid significa “vero”? Non vero amore, x carità, che
est concetto che in qs. sede non est nemm- caso tentare di definire, ma
vero gioiello. Gioiello, presumibilm., est vero nisi falso, i.e.
qndo, pur se realizzato in lamierina e cocci di vetro, pretende essere
fatto di platino e brillanti. Ma, a parte fatto che qla pretesa non
può essere attribuita a gioiello, che in sé non pretende nulla, ma a suoi,
chiamiamoli così, utenti, gioiello, come dicesi, “di fantasia”, che non
negasse, ma anzi evidenziasse umiltà di sue componenti, ma esprimesse comnque
ingegnosità e inventiva suo creatore non avrebbe tutti diritti essere definito
“vero”? Non vorremo mica identificare verità con alto prezzo,
no?
* * *
Ahimé, a pag. 23 di st. giornale, titolo
su 5 colonne riporta parere di cardinale Saldarini, arcivescovo Torino,
a proposito di tristiss. caso di bambino che genitori voluto far nascere
anche senza corteccia cerebrale e senza prospettive di sopravvivenza, x
motivi che, non xché siano solo loro, come stato scritto, ma xché meritano
comnque rispetto, non permetterommi qui di sindacare. “Est bambino
vero” dice sua Eminenza tra virgolette. “Est giusto che viva.”
Non so proprio cosa intendesse
cardinale x “bambino vero”. Ma certo non poteva dir altro: non
poteva dire che bambino come gli altri, xché, purtroppo, tutti sapevano
che non eralo, e non poteva dire che bisogna sempre sperare, xché sapeva
anche lui che di speranze non eranocene e infatti qla povera creatura morta
2 giorni dopo qla dichiarazione. Forse scelto ql’aggettivo proprio
in funzione di sua ambiguità. O forse, forse si riferiva a “verità”
(qla che lui considera verità) di dottrina di sua Chiesa in tema di maternità
e libera scelta. In ql caso suo “est giusto che viva”, che non
aveva senso, riferito a chi vivere non avrebbe comunque potuto, andava
letto come 1 imperativo: è giusto attenersi a ns. prescriz., dovete fare
tutti così. Che est atteggiam. degno forse di cardinale, ma non di
vero pastore anime.
01.02.’98