Vecchie fotografie

La caccia | Trasmessa il: 10/21/2007


    Non so se avete notato, tra le tante immagini celebrative del mito veltroniano pubblicate in questa settimana sui giornali, quella vecchia foto dei tempi della FGCI (risalirà, più o meno alla fine degli anni ’70) in cui il Nostro figura insieme a D‘Alema, Mussi e la Lucia Annunziata, tutti devotamente riuniti attorno a Giorgio Amendola. Non ricordo esattamente dove l’ho vista, se sul “Corriere”, su “Repubblica” o altrove, ma deve essere abbastanza facile recuperarla. Sono tutti, quei bravi ragazzi, tremendamente giovani e a non sapere di che cosa si tratta si potrebbe credere di trovarsi di fronte a un gruppo di compagni di scuola, magari di classi diverse, ma tutti segnati, comunque, da un imprinting comune. A partire da Amendola, che incarna ovviamente il modello del professore severo ma carismatico, quello con cui si cerca timidamente di stabilire qualche rapporto extracurriculare, gli effigiati rientrano tutti perfettamente nelle tipologie liceali più note. Mussi, per esempio, è il prototipo dello sgobbone, quello che studia sempre più degli altri e si capisce subito che riuscirà, almeno lui, a conciliare la carriera e gli studi; D’Alema, nascosto dietro una straordinaria profusione di baffi, capelli e basette, è con tutta evidenza l’amico già grande e un po’ ganassa, quello per cui le ragazze impazziscono e, quando capita, ne approfitta; l’Annunziata, a sua volta, è la studentessa abbastanza antipatichina, che però riesce sempre a essere ammessa nel gruppo dei compagni più fighi e le altre dicano pure quello che vogliono. Quanto a lui, Veltroni, il più giovane – l’unico, in effetti, che conservi ancora nei tratti del viso qualche residuo di goffaggine adolescenziale – è, al di là di ogni possibile contestazione, il giovane genio, il primo della classe per vocazione. Lo proclamano tale l’espressione compunta ma compiaciuta, le tracce di rigidezza nella postura, il modo in cui si tiene un po’ in disparte dagli altri. È un modello, il suo, che ogni insegnante esperto riconosce a prima vista e non senza un pizzico di apprensione, perché i discepoli di quel tipo possono dare, volendo, parecchie soddisfazioni, ma possono anche rivelarsi dei rompicoglioni di prima grandezza.
    Sono tutte sciocchezze, naturalmente. L’icona in questione non ha nulla a che fare con la scuola e non c’è esercizio più futile di quello di cercare nelle immagini del passato un’anticipazione del presente noto. Sappiamo tutti cosa sono diventati, nei trent’anni che ci separano da quella foto, Veltroni, D’Alema, Mussi e l’Annunziata e nemmeno volendo potremmo fare a meno di proiettare sulle loro fisionomie di allora l’impronta degli sviluppi che conosciamo. Indulgere a giochi del genere, in realtà, può essere un indizio di rammollimento cerebrale incombente e bisognerebbe sforzarsi di non sottovalutarlo.
    Nulla, però, ci impedisce di storicizzare quel documento. Gli ultimi anni ’70, come qualche ascoltatore forse ricorda, erano un periodo piuttosto agitato. Le scelte ideologiche e di militanza prevalenti nelle scuole e nelle università non coincidevano esattamente con quelle dei nostri eroi. Anche se i tempi stavano rapidamente cambiando (e non in meglio) erano ancora in maggioranza a credere in quel “Movimento” – con le virgolette e la maiuscola – che, dal 1968 in poi, tanto aveva contribuito a cambiare l’immagine del mondo. C’era, come si dice, un gran casino di gruppi e gruppuscoli, ma anche tutto un fervore di proposte, di tendenze, di prospettive, e il fatto di starsene lì, in un qualche ufficio della FGCI, in compagnia di quell’Amendola che si era compiaciuto di definire il movimento degli studenti, al suo apparire, come “la maschera rossa della Gestapo”, non indicava esattamente una sintonia con il sentire più diffuso. Quelli sono, in tutta evidenza, un gruppo di giovanotti in carriera, serenamente convinti del fatto che la rivoluzione, presto o tardi, passa, e che quella di sistemarsi in una solida organizzazione, in attesa che si esaurisca la buriana, non è la peggiore delle scelte possibili.
    Fin qui, naturalmente, niente di male. Non è obbligatorio essere rivoluzionari e, d’altronde, di giovanotti in carriera se ne potevano trovare, a cercarli, anche nelle sedi di tutt’altre organizzazioni. E poi non era detto: i percorsi politici, allora, si intrecciavano spesso e prendevano, a volte, dei dirizzoni improvvisi. D’Alema, stando a quanto lui stesso avrebbe in seguito rivelato, aveva flirtato, almeno superficialmente, con le bottiglie molotov e per un attimo era stato tentato, con Mussi, dall’eresia del “manifesto”. Sempre attraverso il “manifesto” sarebbe passata la (brillante) carriera giornalistica dell’Annunziata. Gli anni ’70, dal punto di vista culturale, erano segnati soprattutto dall’inquietudine, da una certa ansiosa volontà di sperimentazione.
    L’unico a restarne esente, a quanto pare, è stato lui, il grande Walter. Se la sua storia politica è stata segnata da qualche incertezza, se ha mai conosciuto una qualche crisi ideologica, una momentanea tentazione sperimentale, il semplice desiderio di cambiare, per una volta, il punto di vista, è stato ben attento a non lasciarlo capire a nessuno. Lui è restato sempre idealmente dov’era e com’era in quella foto. È stato sempre il primo della classe, come leader della FGCI prima, poi come consigliere comunale, deputato, dirigente di partito, direttore della “Unità”, vice di Prodi, segretario dei DS, sindaco di Roma… in trent’anni piuttosto turbolenti non ha mai perso un colpo. Persino quando, da segretario nazionale del suo partito, è stato clamorosamente sconfitto alle elezioni è riuscito a non risentirne e a riciclarsi tranquillamente al vertice capitolino.
    Deve essere stata, detto tra noi, una bella fatica. Se poi si pensa che, nel frattempo, il ragazzo ha trovato modo di occuparsi di cinema, scrivere quattro o cinque libri, organizzare grandi eventi internazionali e visitare i nostri fratelli diseredati del Terzo Mondo, non si può fare a meno di ammirare la sua capacità di lavoro. Perché anche quella di trovarsi sempre al posto giusto nel momento giusto è un’abilità che va esercitata e affinata, che richiede una volontà di ferro e qualche capacità di programmazione, nonché il cinismo necessario per buttare a mare tutto quanto, del proprio patrimonio teorico e ideale, di volta in volta non serve più. E va bene che adesso lo fanno tutti, ma Veltroni è stato tra i primi a inaugurare la prassi dell’autoabiura, o, se preferite, della rimodellizzazione creativa del proprio passato. Comunista lui? Dio scampi: si faceva fotografare con Amendola, è stato segretario dei DS e ha diretto la “Unità”, ma a certe cose proprio non ci ha mai creduto. D’altronde sappiamo tutti che una certa tendenza all’opportunismo ideologico è talmente diffusa, nel paese, che non può far danno a nessuno. Anzi, non è detto che non abbia giovato alla sua popolarità.
    Come poi un personaggio del genere possa sostenere di essere stato eletto nel segno di una qualsiasi, possibile discontinuità, è un mistero che lascio da risolvere a intelletti più poderosi del mio.