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La caccia | Trasmessa il: 02/28/2010


    Deve essere molto sicura delle sue idee – o, in alternativa, un po' debole sul piano della logica – la sindaca di Goito, provincia di Mantova, che è a capo di una giunta abbastanza anomala di centrodestra che vede insieme Lega, Udc e “parte di Forza Italia”. Detta giunta ha appena fatto passare un provvedimento in base al quale nella scuola materna comunale saranno accettati soltanto gli iscritti le cui famiglie “perseguono finalità educativa con una visione cristiana della vita”, facendo così piazza pulita non soltanto della Costituzione della Repubblica, ma di un paio di secoli di storia delle idee, e lei, di fronte alle (non moltissime) proteste, non solo dichiara che la sua giunta non discrimina nessuno, ma fa notare come la delibera non sia altro che un atto di ordinaria amministrazione. Il Consiglio comunale, spiega, ha semplicemente messo nero su bianco quanto già avveniva da anni, “approvando il regolamento delle scuole pubbliche parificate legate alla diocesi di Mantova”. A Goito il comune gestisce soltanto una sezione su quattro della scuola per l'infanzia (le altre tre sono statali) e la gestisce da chissà quando appaltandola alla Curia. “In quella sezione” precisa la sindaca “da anni insegnano le suore. Questo può far orientare la scelta dei genitori ... Avere proposte diverse sul territorio è un valore aggiunto.”
    Cosa possano pensare di una tale aggiunta di valore quei cittadini di Goito che sono costretti a pagare, attraverso le tasse, per un servizio di cui, a norma di regolamento, non sono ammessi a fruire, non è questione che sembra turbare la valente amministratrice. Come non sembra la preoccupino il tema dell'uguaglianza dei cittadini e quello della libertà di pensiero. D'altronde, in un certo senso, ha ragione lei. Se è da anni che in quella sezione insegnano le suore, non si può certo pretendere che le suore si dedichino ai bambini delle famiglie dei miscredenti. Il comune non era probabilmente tenuto a far proprio il regolamento della diocesi, ma che la diocesi abbia le sue regole e voglia farle applicare è cosa abbastanza logica. Che non ci sia alcuna discriminazione non è forse del tutto vero, ma è vero che chi non ci sta è sempre libero di iscrivere la prole alle sezioni statali, che è una variante didattica del vecchio principio leghista del “se non ti piace torna pure a casa tua”, e ci vuole una certa dose di malizia per supporre che questo comporti una possibile schedatura delle famiglie in base al credo religioso. Qualsiasi cosa deciderà di rispondere in Parlamento il ministro dell'Interno Maroni – cui il Pd presenterà, sembra, una interpellanza in merito – a Goito la situazione è affatto normale e forse non vale la pena di prendersela più che tanto.
    Una simile normalità, d'altronde, non si ritrova soltanto in riva al Mincio. In tutta Italia, ormai, vale il principio della surroga, per cui non c'è niente di male se certi servizi pubblici sono affidati a strutture private, meglio se religiose. È in base a questo modo di ragionare se da anni i governi nazionali e regionali, di centrodestra e di centrosinistra, hanno aggirato il divieto costituzionale dei finanziamenti alla scuola privata e “garantiscono” il diritto allo studio foraggiando con larghezza preti, monaci e suore (o elargendo, il che fa lo stesso, generosi “buoni studio” a chi sceglie i loro istituti). In Lombardia, com'è noto, l'integrazione tra i due settori è assurta praticamente al ruolo di ideologia ufficiale della Regione ed è applicata con particolare entusiasmo in campo sanitario, ma senza trascurare, naturalmente, la scuola. In ceti altri campi, come quello dell'assistenza agli anziani, d'altronde succede anche di peggio.
    Certo, di solito gli enti locali non votano delle delibere che aboliscono implicitamente il principio d'uguaglianza e quello della libertà di pensiero. Diciamo che a Goito, per inesperienza, entusiasmo, ingenuità, rigore ideologico o che altro, si sono spinti un poco oltre, mettendo in rilievo una contraddizione che non appartiene soltanto a loro, ma è largamente diffusa, sotto uno spesso velo di ipocrisia, in tutto questo allegro paese. Sarebbe un'occasione buona per affrontare il problema, aprendo una campagna sulle condizioni ideologiche minime cui un servizio dovrebbe adempire per essere riconosciuto come pubblico. Lo sarebbe, naturalmente, se qualcuno volesse raccoglierla. Ma di questo, ahimè, permettetemi di dubitare.
28.02.'10