Uno specchio appannato

La caccia | Trasmessa il: 12/03/2006


    Non so voi, ma quello che più mi ha colpito, nelle immagini del collasso subito da Berlusconi a Montecatini giorni fa, è stata l’apparente impassibilità con la quale il poveraccio è collassato. Era lì che parlava bello e tranquillo e a un certo punto ha interrotto il suo discorso, ha detto qualcosa, scusandosi, sull’emozione, ed è restato lì, immobile a occhi aperti, rigido come il classico baccalà. Non una emozione, non un brivido di paura, non un segno di sgomento o una goccia di sudore hanno animato il suo volto in quel momento di crisi: sembrava, con rispetto parlando, un robot cui fosse mancata la corrente, un burattino cui avessero tagliato di botto i fili. Il volto, si sa, è lo specchio dell’animo, ma quello dell’ex presidente del consiglio, era, nella circostanza, uno specchio appannato. Nulla, proprio nulla, avrebbe potuto riflettersi nello spesso strato di cerone che lo ricopriva, in quei capelli artificiosamente nerissimi, nel brutale make up sovrapposto ai lineamenti naturali. Uomo di spettacolo qual è, il Cavaliere prevedeva, evidentemente, di farsi ammirare solo da una certa distanza e aveva dato licenza ai suoi “addetti all’immagine fisica”, o come altro si chiamano i maghi del pennello e del piumino da cipria, di calcare un poco la mano.
    Tutto è bene quel che finisce bene, naturalmente, e tutto è finito benissimo, perché solo chi cade può risorgere – come in quel vecchio film di Humphrey Bogart – e se certe cadute, per fortuna, si rivelano innocue, le resurrezioni un qualche effetto lo hanno sempre. Ce lo spiegano, oggi, tutti i commentatori, nell’ovvio presupposto che il trionfo romano di ieri non avrebbe avuto quella gioiosa dimensione senza il (provvidenziale?) collasso di domenica scorsa. Sul che non mi permetterei mai di eccepire, naturalmente, ma non è questo il punto su cui vorrei richiamare la vostra attenzione.
    Vedete, molto si è scritto, nei giorni immediatamente successivi all’incidente, sul “culto del corpo” cui, a detta di molti, è dedito l’attuale capo dell’opposizione. Sarà stato perché al suo fianco, nel momento della crisi, era presente il sindaco Scapagnini, che di quel culto è il sacerdote riconosciuto e si vanta di aver portato il suo paziente in uno stato di “immortalità virtuale”, ma sono stati in molti a ricordare la difficile disciplina farmaceutica e comportamentale cui l’uomo si sottopone: i cocktail di vitamine e integratori, le diete, gli esercizi, i sacrifici: tutte prassi di fronte alle quali l’individuo normale istintivamente rilutta, ma che lui accetta con impavido cuore, perché deve sottoporsi ogni giorno al giudizio delle masse adoranti e sa benissimo che, come dice il Poeta, “virtù non luce in disadorno ammanto”. Per questa determinazione tutti lo ammirano e molti, sapendo per esperienza quanto è difficile accettare questo tipo di ordalie, lo invidiano.
    Il problema, però, non è solo di “ammanto”. Berlusconi, come la Saffo del Leopardi, sa benissimo che non potrà mai essere propriamente bello, quale che sia il significato del termine nell’uso contemporaneo, né, d’altronde, se ne cura. Dispone, in fondo, di ben altri mezzi per piegare Faone alla sua volontà. Quello che gli preme soprattutto, l’assillo che emerge dalle tante dichiarazioni sulla propria efficienza, sulla straordinaria capacità di prestazione che lo caratterizza, è la possibilità di esorcizzare la marea montante degli anni. Non è per pura vanità che racconta ogni volta che ne ha l’occasione degli aneddoti francamente incredibili, come quello della bella signora francese che si dice convinta che lui abbia quarantacinque anni, o assicura che, dopo l’operazione al menisco, si è rimesso in piedi molto prima di qualsiasi giocatore del Milan. Il suo sogno non è quello della bellezza né, forse, dell’immortalità, ma all’eterna giovinezza, be’, a quella sì che ci tiene. E siccome sa che in politica la giovinezza vera può essere, in un certo senso, una controindicazione – sono pochi i giovani che riescono ad arrivare al potere, non foss’altro perché la concorrenza sa che poi ci vorrebbe troppo tempo per liberarsene, come insegnano i casi di Cesare Augusto e di Fidel Castro – non si fa scrupolo, all’occorrenza, di simularla. Da cui il cerone, il make up, i capelli trapiantati e dipinti, le guance tirate, le scarpe con il tacco rialzato e le altre procedure di taroccamento cui si è via via sottoposto.
    Già. Perché il “culto del corpo” nell’accezione berlusconiana non si affida solo alle strategie farmaceutiche e comportamentali. Vi giocano una parte importante i belletti. E a poco giova osservare che li usano tutti, in politica, che difficilmente Rutelli concederà un’intervista senza aver lungamente sostato sulla poltrona del truccatore, che D’Alema dà fortissima l’impressione di passare buona parte del suo tempo dal barbiere e che persino sulla naturalità del colore dei (molti) capelli di Prodi è lecito dubitare. La cosmetica, nella sua pretesa di dare un’immagine di sé diversa (e intenzionalmente migliore) di quella naturale, resta il più innocuo degli inganni che i politici perpetrano nei confronti dei loro elettori. Il suo vero guaio (suo di Berlusconi) non è quello di voler ingannare gli altri: è quello di essere manifestamente riuscito a ingannare se stesso. Quello è capace di credere veramente che le signore lo prendano per un quarantacinquenne e di godere di una capacità di ripresa fisica superiore a quella di un giocatore di football professionista. Che è pericoloso per lui, perché lo mette in situazioni a rischio, come quella di Montecatini, dalle quali non è detto che si possa uscire sempre altrettanto bene e pericoloso per noi, perché dagli ingannatori non è difficile difendersi, ma contro gli illusi e gli esaltati talvolta non c’è rimedio. Va bene la dieta, vanno benissimo le vitamine, ma da uno capace di conciarsi così c’è da avere davvero paura.

    03.12.’06