Uno sguardo dal ponte

La caccia | Trasmessa il: 05/07/2007


    Non devono avere molto da fare al consiglio comunale di Pavia, se hanno trovato il tempo di dibattere sull’opportunità di bloccare o meno l’usanza, sempre più diffusa tra gli studenti del locale ateneo, di affermare in forma simbolica il proprio amore per questa e per quello agganciando alla balaustra del Ponte Coperto un lucchetto sul quale sono stati incisi i nomi dei componenti la coppia felice e buttando la relativa chiave nel fiume. Si tratta – come apprendo da un trafiletto sul dorso regionale del “Corriere” di martedì – di un rito ispirato a un fortunato romanzo di Federico Moccia, che ha avuto origine e sviluppo in quel di Roma, dove il Ponte Milvio è ormai sovraccarico di tali cimeli, e da lì si sta diffondendo ovunque siano disponibili un fiume e un ponte. A Milano, suppongo, la spiacevolezza dei pochi tratti scoperti dell’Olona, del Lambro e della Vettabbia dissuade dall’imitazione e i Navigli, per lo più, sono in secco, ma a Pavia c’è il Ticino e la cosa funziona.
    Da un certo punto di vista, naturalmente, tutto ciò può essere considerato uno sviluppo contemporaneo, più avvertito sul piano ecologico e ambientale, della vecchia consuetudine di incidere sulla corteccia di un albero i propri nomi e il profilo di un cuore trafitto, o di quella di firmare con il pennarello indelebile monumenti e lapidi destinati in origine a rievocare tutt’altri eventi. Un gesto gentile, tutto sommato, da cui non può che giovarsi l’integrità della popolazione arborea e della dotazione monumentale del paese, nonché la dimostrazione che una specie data a lungo come in via di estinzione, quella dei giovani innamorati romantici, ha superato il punto basso della curva e sta riprendendo possesso del suo habitat naturale. Io non conosco il romanzo di Moccia, di cui, in realtà, mi hanno parlato come di opera deplorevole, ma per i giovani innamorati ho sempre avuto un debole e non trovo, tutto sommato, niente di sbagliato nella loro volontà di palesare in forma pubblica i propri sentimenti. Il Petrarca, certo, sapeva fare di meglio, ma non tutti sono il Petrarca e per chi proprio non si sente a suo agio con sonetti o sestine la tecnica lucchetto-ponte-chiavenelfiume può essere un accettabile sostituto.
    Eppure c’è chi protesta. Il gruppo consiliare di Forza Italia (che, in quella città ricca e un po’ filistea suppongo sia un’organizzazione di un certo peso) ha chiesto al sindaco di rimuovere i lucchetti e prendere “immediate contromisure”. Come spiega il consigliere Pietro Trivi “è bello essere innamorati, ma Pavia non è Roma e quei lucchetti deturpano il Ponte. Vogliamo evitare quello che è accaduto a Ponte Milvio, dove migliaia di chiavistelli, con il loro peso, hanno fatto cadere lampioni e balaustre.”
    Che Pavia non sia Roma, è un fatto. E anche il Ponte Coperto, si capisce, ha ben poco a che fare con il Ponte Milvio, se non altro perché si tratta di una falsificazione contemporanea, posta in opera nel dopoguerra per sostituire l’originale manufatto del 1364, distrutto dai bombardamenti del ’44, di cui imita sì la struttura, ma in una collocazione diversa e con altre proporzioni. Comunque anche a una falsificazione ci si può affezionare ed è lecito chiedere misure e contromisure che evitino il suo deterioramento. Visto l’andazzo dei nostri giorni, non è detto che una terza ricostruzione abbia un risultato altrettanto dignitoso.
    Eppure, bisognerebbe saper fare meglio i propri conti. Non solo perché il nuovo Ponte Vecchio, a occhio e croce, sembra una struttura solida, in grado di sopportare senza danni una quantità cospicua di catenacci, ma perché il problema, come sempre, è di immagine, o, meglio, di semantica dell’immagine. Ben poco giova, diciamolo, all’immagine della città di Pavia un finto ponte medioevale sul Ticino, che, con tutto il bendiddio autentico che c’è in giro per l’Italia, non può interessare a nessuno. Ma se prendesse piede l’usanza ispirata dal Moccia, se i lucchetti si accumulassero e i catenacci cominciassero a pendere dalle fiancate come corone di fiori, niente niente l’oggetto potrebbe diventare un luogo di culto, una meta di pellegrinaggi, un richiamo turistico. Se il Ponte Milvio, insulsa costruzione neoclassica del Valadier che finora per i più era legato soltanto ai vaghi ricordi scolastici dell’infausta vittoria di Costantino su Massenzio, ha conquistato nuova popolarità e si avvia a diventare uno dei luoghi dell’immaginario nazionale, con tutte le ricadute materiali che l’immaginario comporta in una società voyeuristica come la nostra, non si vede perché non potrebbe succedere altrettanto qui in Lombardia, a una trentina di chilometri da Milano, con i vantaggi per tutti che ciascuno può immaginare. E gli esponenti locali di Forza Italia sono contrari! Per i membri di un partito fondato e diretto da un genio della comunicazione è una discreta gaffe: imparino da Veltroni, che un errore del genere non lo farebbe mai, e stiano attenti a che non lo venga a sapere il capo, che, per molto meno, ha già licenziato persone più importanti di loro.

06.’05.’07