Uniformità

La caccia | Trasmessa il: 12/12/2004



Mi ci vorrà del tempo, se gli dei me ne concederanno, perché riesca a trovare bella la nuova uniforme invernale dei vigili della nostra città.  Sarà più moderna, eh, non discuto, e più comoda, figuriamoci, con l’elmetto di plastica in formato ridotto e quel giaccone di nailon blu a prova di intemperie, e più marziale, certo, con la fondina della pistola in bella vista che neanche a Los Angeles, ma, finora, non sono proprio riuscito ad abituarmici.  Le vecchie divise erano di un taglio ottocentesco un po’ superato e avranno anche avuto, con tutto quel nero e quell’oro, un che da impiegato di pompe funebri, ma non si può negare che fossero assai più eleganti, specie nella versione con il cappottone abbottonato.  Ed “eleganti”, in questo contesto, significa soprattutto “civili”, nel senso che il nuovo modello dà a chi lo porta un’aria un po’ da gradasso, un look violento e volgare da poliziotto di telefilm, che poco si confà alla immagine tradizionalmente pacifica dei nostri vigili urbani.
        Ma tanto non sono più, questi insonni guardiani della pace metropolitana, né vigili né urbani.  Non sono più neanche, com’erano da qualche anno, agenti della polizia municipale, che, se non altro, era una definizione precisa.  Sono diventati, come ben si evince dalle visibilissime scritte che portano sul petto e sul groppone (oltre che sulle fiancate delle automobili e sulle sacche laterali delle biciclette), agenti di polizia locale.   E anche in questo caso, lascio a voi giudicare se fosse proprio necessario modificare una denominazione tradizionale ormai entrata nell’uso a favore di un termine generico che significa così poco.  I vigili urbani erano, appunto, “urbani”, come a dire che agivano esclusivamente in città, con tutto ciò che ne consegue (o ne dovrebbe conseguire) in termini di urbanità e cortesia; i poliziotti municipali dipendevano, evidentemente, dal municipio, ma quale esattamente sia l’ambito degli agenti di polizia locale non è dato, senza ulteriori informazioni, sapere.   Tanto è vero che la dizione non è esclusiva: guardatevi un po’ in giro, osservate le auto dall’aria ufficiale che girano, specie quelle con la sirena e le luci intermittenti blu, e scoprirete che quel termine unifica agli ex vigili milanesi e a quelli di tutte le altre municipalità lombarde, i membri di una misteriosa “polizia provinciale” (che sospetto fortemente non siano altro che gli ex guardacaccia e guardapesca, promossi, almeno di nome, a più alte funzioni) e quelli di un corpo di guardie dipendente dalla Regione le cui incombenze, confesso, mi sono del tutto ignote.
        La cosa più strana è che una polizia locale, per quel che mi risulta, in Italia non esiste.  Mentre in quasi tutti i paesi del nostro occidente le funzioni di polizia, comprese quelle criminali, sono affidate a corpi del genere (Scotland Yard e le polizie di contea in Gran Bretagna, la Sûreté parigina, i Police Departments delle città americane e così via), lasciando alle strutture centrali tipo FBI e alle gendarmerie militari solo pochi compiti ben specificati, qui da noi, come tutti sanno, esiste una polizia civile di stato, a mezzadria con il corpo militare dei carabinieri, il che fa sì che le varie organizzazioni locali abbiano limitatissime funzioni amministrative.  I legislatori avranno pensato, suppongo, che affidare la lotta alla criminalità a delle strutture regionali, provinciali o comunali avrebbe potuto creare qualche problema in quelle parti del nostro povero paese in cui, diciamo così, tra poteri locali e crimine organizzato c’è una certa qual confusione.
È un’opzione tra altre possibili, naturalmente. Se ne può discutere e, infatti, se ne discute, tanto è vero che quella del trasferimento alle Regioni di competenze di polizia locale (e di quali) è una delle istanze di quella devolution che sappiamo tanto cara alla Lega e ai vari Formigoni, come a dire la riforma “federale” della Costituzione che il governo ha in programma e si va discutendo, attualmente, alle Camere.  E quale che sia il giudizio che se ne può dare (io, per esempio, non ne penso un gran bene), quella riforma per ora non è stata approvata e quindi non dovrebbe avere effetti sull’organizzazione concreta delle forze dell’ordine.
E invece, guardate un po’, mentre la discussione parlamentare è ben lungi dal concludersi e i partiti di maggioranza si accapigliano in merito (l’opposizione, come è suo uso, tace e spera), la polizia locale va avanti.  Non a termini di legge, magari, ma a termini di scritte sulle giacche a vento, sulle fiancate delle automobili e sulle biciclette, di divise indistinguibili, di carrozzerie bianche e verdi per tutti, di uniformità  esteriore e vestimentaria dei membri dei vari corpi che dipendono dagli enti locali.  Nella sostanza, credo, non cambia niente: gli ex ghisa continuano a occuparsi soprattutto di traffico e annona, gli ex guardacaccia e guardapesca a vigilare su riserve di caccia e bacini di acqua dolce, le ex guardie regionali a fare quel cavolo che facevano prima, ma se a queste varie attività attende del personale uniformemente vestito e denominato, be’, ammetterete che è tutta un’altra cosa.  Non so a chi sia venuta l’idea, ma chiunque sia deve essere un genio.  Se una riforma tarda a venire, o è difficile da realizzare, o prevede – semplicemente – dei tempi un po’ lunghi, basta far finta che sia già stata approvata ed entrata in vigore.  La gente si abituerà e il più, a questo punto, è bello che fatto.  Quando la Lega e i suoi compari otterranno l’agognata devolution nessuno avrà motivo di battere ciglio.  La polizia locale?  Ma, scusate, non c’era da anni?
Sembra una sciocchezza, un caso irrilevante di ordinaria burocrazia e invece è un altro capitolo di quel colpo di stato strisciante che da quando certa gente è al potere ci tocca subire giorno per giorno.

12.12.’04