Come certamente ricorderete dai vostri
studi liceali, in una notte di maggio dell’anno 415 a. C., ad Atene, alla
vigilia della partenza della spedizione in Sicilia con cui Alcibiade si
era ripromesso di risolvere una volta per tutte la guerra del Peloponneso,
un gruppo di ignoti mutilò quasi tutte le Erme, le steli che sorgevano,
in onore dell’omonimo dio, davanti ai templi e alle case (e se per caso
vi chiedeste, come capitava a me quando ero studente, come si fa a mutilare
una stele, vuol dire che neanche a voi hanno mai insegnato che quei pezzi
di pietra recavano, sul davanti, un inequivocabile attributo maschile).
Il gesto, che a noi può sembrare futile, o di importanza puramente
simbolico religiosa, fu considerato, all’epoca, molto grave: gli ateniesi
di allora erano evidentemente meno razionali di quanto li consideriamo
oggi – d’altronde Platone era ancora bambino e Socrate aveva appena cominciato
la sua carriera – e videro in quell’azione l’intento deliberato di suscitare
contro la città l’ira degli dei, in un momento in cui dell’aiuto divino
si aveva particolarmente bisogno. Una congiura, insomma, o una trama
eversiva. Anche se correva insistente la voce che a perpetrare il
misfatto fossero stati semplicemente certi giovanotti un po’ bevuti, le
autorità preposte alla sicurezza pubblica si rifiutavano di accettarla.
“Continuavano a dire – ci riferisce una fonte contemporanea –
che l’accaduto non poteva essere opera di pochi, ma che aveva come fine
l’abbattimento della democrazia e che perciò bisognava intensificare le
indagini e non abbassare la guardia” (Andocide, Sui misteri, 34).
Per cui, dagli e dagli, si trovarono dei testimoni pronti ad affermare
di avere visto tutto, si arrestarono quanti da loro segnalati (previa sospensione
dei diritti e delle immunità garantite ai cittadini, perché la situazione
era troppo grave per badare a queste sciocchezze), molti furono costretti
a tagliare la corda e, insomma, si instaurò un clima di patria in pericolo
che durò finché uno degli arrestati non fu così cortese da accusare, dietro
garanzia dell’immunità, oltre a se stesso anche coloro che il governo
soprattutto desiderava che fossero accusati. Erano costoro – sorpresa
! – gente vicina ad Alcibiade, per cui fu possibile rovinare la carriera
a quel brillante uomo politico e togliergli il comando della flotta, a
rischio di mandare a puttane, come regolarmente avvenne, la spedizione
in Sicilia. Che era, probabilmente, l’obiettivo che qualcuno si
proponeva fin dall’inizio.
Sono
avvenimenti, giorno più, giorno meno, di 2416 anni fa, ma immagino che
ne abbiate colto anche voi il valore esemplare. Storiacce del genere
hanno caratterizzato, a più riprese, anche la nostra storia recente. Quante
volte, di fronte a qualche mala azione di gruppi chiaramente minoritari,
abbiamo sentito dire che l’accaduto non poteva essere opera di pochi,
ma che aveva come fine l’abbattimento della democrazia e che perciò bisognava
intensificare le indagini e non abbassare la guardia, non riesco neanche
a ricordarmelo. E ogni volta, naturalmente, il rafforzamento delle
indagini de quo si è risolto in una diminuzione dei diritti dei cittadini
inquisiti e nell’aumento del potere degli inquisitori, fino all’inevitabile
comparsa del delatore di stato con garanzia di immunità. Che conseguenze
abbia avuto tutto questo per la nostra società civile e per il nostro sistema
giudiziario è cosa che lascio a voi giudicare.
Oggi,
peraltro, il metodo si è perfezionato. Sulla necessità di non abbassare
la guardia insistono, facendo a gara a chi sbraita più forte, membri del
governo ed esponenti dell’opposizione, anche se, grazie agli dei, nessuno
ha mutilato le Erme. Stiamo vivendo una campagna elettorale abbastanza
noiosa, che non pone certamente problemi dal punto di vista dell’ordine
pubblico e della sicurezza personale, e qualcuno si ostina a riciclare
vecchie rivendicazioni e agitare minacce generiche per spiegarci che la
democrazia è in pericolo e che bisogna prendere energici provvedimenti.
E le autorità competenti, invece di mandarli a quel paese, assicurano
che no, loro la guardia non intendono certo abbassarla (sono parole quasi
letterali del ministro Bianco, nel suo ultimo intervento televisivo) e
che gli energici provvedimenti sono in dirittura di arrivo. Per
la classe politica italiana, oramai, il terrorismo – inteso in senso lato,
fino a comprendervi, arbitrariamente, tutte le forme di violenza politica
– è una necessità vitale. Gridare all’eversione, in entrambi gli
schieramenti, non è soltanto una prassi consolidata: è l’effetto, quasi,
di una forma di assuefazione.
Naturalmente
che la democrazia non sia in pericolo (o meglio, che i pericoli per la
democrazia non vengano da quella parte) lo sanno tutti. Tanto è vero
che quando bisogna votare gli energici provvedimenti in questione i deputati,
che in questi giorni hanno altro a cui pensare, non si presentano neanche
in Parlamento e la seduta, com’è successo tre giorni fa, viene annullata
per mancanza del numero legale. Il che, naturalmente, non ha chiuso
la bocca a nessuno.
Chissà
come andrà a finire la spedizione in Sicilia.
C. Oliva, 29.04.’01