Una prassi politica molto consolidata

La caccia | Trasmessa il: 04/29/2001



Come certamente ricorderete dai vostri studi liceali, in una notte di maggio dell’anno 415 a. C., ad Atene, alla vigilia della partenza della spedizione in Sicilia con cui Alcibiade si era ripromesso di risolvere una volta per tutte la guerra del Peloponneso, un gruppo di ignoti mutilò quasi tutte le Erme, le steli che sorgevano, in onore dell’omonimo dio, davanti ai templi e alle case (e se per caso vi chiedeste, come capitava a me quando ero studente, come si fa a mutilare una stele, vuol dire che neanche a voi hanno mai insegnato che quei pezzi di pietra recavano, sul davanti, un inequivocabile attributo maschile).  Il gesto, che a noi può sembrare futile, o di importanza puramente simbolico religiosa, fu considerato, all’epoca, molto grave: gli ateniesi di allora erano evidentemente meno razionali di quanto li consideriamo oggi – d’altronde Platone era ancora bambino e Socrate aveva appena cominciato la sua carriera – e videro in quell’azione l’intento deliberato di suscitare contro la città l’ira degli dei, in un momento in cui dell’aiuto divino si aveva particolarmente bisogno.  Una congiura, insomma, o una trama eversiva.  Anche se correva insistente la voce che a perpetrare il misfatto fossero stati semplicemente certi giovanotti un po’ bevuti, le autorità preposte alla sicurezza pubblica si rifiutavano di accettarla.  “Continuavano a dire – ci riferisce una fonte contemporanea – che l’accaduto non poteva essere opera di pochi, ma che aveva come fine l’abbattimento della democrazia e che perciò bisognava intensificare le indagini e non abbassare la guardia” (Andocide, Sui misteri, 34).   Per cui, dagli e dagli, si trovarono dei testimoni pronti ad affermare di avere visto tutto, si arrestarono quanti da loro segnalati (previa sospensione dei diritti e delle immunità garantite ai cittadini, perché la situazione era troppo grave per badare a queste sciocchezze), molti furono costretti a tagliare la corda e, insomma, si instaurò un clima di patria in pericolo che durò finché uno degli arrestati non fu così cortese da accusare, dietro garanzia dell’immunità, oltre a se stesso anche coloro che il governo soprattutto desiderava che fossero accusati.  Erano costoro – sorpresa ! – gente vicina ad Alcibiade, per cui fu possibile rovinare la carriera a quel brillante uomo politico e togliergli il comando della flotta, a rischio di mandare a puttane, come regolarmente avvenne, la spedizione in Sicilia.  Che era, probabilmente, l’obiettivo che qualcuno si proponeva fin dall’inizio.
        Sono avvenimenti, giorno più, giorno meno, di 2416 anni fa, ma immagino che ne abbiate colto anche voi il valore esemplare.  Storiacce del genere hanno caratterizzato, a più riprese, anche la nostra storia recente.  Quante volte, di fronte a qualche mala azione di gruppi chiaramente minoritari, abbiamo sentito dire che l’accaduto non poteva essere opera di pochi, ma che aveva come fine l’abbattimento della democrazia e che perciò bisognava intensificare le indagini e non abbassare la guardia, non riesco neanche a ricordarmelo.  E ogni volta, naturalmente, il rafforzamento delle indagini de quo si è risolto in una diminuzione dei diritti dei cittadini inquisiti e nell’aumento del potere degli inquisitori, fino all’inevitabile comparsa del delatore di stato con garanzia di immunità.   Che conseguenze abbia avuto tutto questo per la nostra società civile e per il nostro sistema giudiziario è cosa che lascio a voi giudicare.
        Oggi, peraltro, il metodo si è perfezionato.  Sulla necessità di non abbassare la guardia insistono, facendo a gara a chi sbraita più forte, membri del governo ed esponenti dell’opposizione, anche se, grazie agli dei, nessuno ha mutilato le Erme. Stiamo vivendo una campagna elettorale abbastanza noiosa, che non pone certamente problemi dal punto di vista dell’ordine pubblico e della sicurezza personale, e qualcuno si ostina a riciclare vecchie rivendicazioni e agitare minacce generiche per spiegarci che la democrazia è in pericolo e che bisogna prendere energici provvedimenti.   E le autorità competenti, invece di mandarli a quel paese, assicurano che no, loro la guardia non intendono certo abbassarla (sono parole quasi letterali del ministro Bianco, nel suo ultimo intervento televisivo) e che gli energici provvedimenti sono in dirittura di arrivo.   Per la classe politica italiana, oramai, il terrorismo – inteso in senso lato, fino a comprendervi, arbitrariamente, tutte le forme di violenza politica – è una necessità vitale.  Gridare all’eversione, in entrambi gli schieramenti, non è soltanto una prassi consolidata: è l’effetto, quasi, di una forma di assuefazione.
        Naturalmente che la democrazia non sia in pericolo (o meglio, che i pericoli per la democrazia non vengano da quella parte) lo sanno tutti.  Tanto è vero che quando bisogna votare gli energici provvedimenti in questione i deputati, che in questi giorni hanno altro a cui pensare, non si presentano neanche in Parlamento e la seduta, com’è successo tre giorni fa, viene annullata per mancanza del numero legale.  Il che, naturalmente, non ha chiuso la bocca a nessuno.
        Chissà come andrà a finire la spedizione in Sicilia.

C. Oliva, 29.04.’01