Una curiosa mancanza di sensibilità storica

La caccia | Trasmessa il: 03/18/2007




    Non vi sarà sfuggita, spero, la piccola gaffe con cui l’arcivescovo Bagnasco, il nuovo presidente della CEI, ha dato inizio al suo mandato. In una intervista televisiva di cui leggo sul “Corriere” di lunedì scorso, ha espresso l’auspicio che il confronto tra Chiesa e società laica si svolga “all’interno di un reciproco riconoscimento, di un reciproco rispetto, senza pregiudizi da nessuna parte e senza caccia alle streghe”. Un invito rispettabilissimo in sé, che non possiamo che condividere di tutto cuore, ma che mi sembra esprimere, tuttavia, una certa mancanza di sensibilità storica. In fondo, ammetterete anche voi che, con tutta la buona volontà di questo mondo, l’idea di un vescovo che esorta i laici ad astenersi da una nota specialità clericale come quella della caccia alle streghe è, come minimo, sconcertante. A chiunque può capitare di scivolare su un paradosso, ma chi ha raggiunto una posizione di tanta responsabilità ed è, ormai, a un passo dalla porpora cardinalizia, dovrebbe stare più attento a quello che dice.
    potrebbe obiettare che monsignor Bagnasco, probabilmente, ha utilizzato l’espressione in senso affatto generico. Ormai, nel linguaggio comune, per “caccia alle streghe” si intende semplicemente l’accanimento contro un qualsiasi soggetto percepito come ostile, in particolare quando è fondato su un atteggiamento di sostanziale pregiudizio e con scarsa o nulla considerazione delle reali responsabilità della controparte. Probabilmente, chi impiega la metafora si riferisce più spesso ai fasti della “Commissione per le Attività Antiamericane” del senatore McCarthy, che operò nei primi anni ’50 del secolo scorso, che a quelli della Inquisizione. Il che non toglie, comunque, che un’Inquisizione ci sia stata – anzi, che ci sia ancora, anche se ha cambiato di nome e usa degli altri metodi – e che tra il XV e il XVIII secolo una sua sanguinosa e letterale “caccia alle streghe” l’abbia condotta davvero. E non fu, come sappiamo,roba da poco. È difficile, oggi, farsi un’idea delle dimensioni quantitative del fenomeno, ma le ipotesi minimali (molto minimali, va detto) parlano di 100.000 processi, quasi tutti a donne accusate di praticare la magia nera in base ad accordi con il demonio, e di almeno 50.000 condanne al rogo, cifre che, se rapportate a quelle della popolazione europea di quegli anni, non sono affatto insignificanti. E poco importa, naturalmente, che ai tribunali cattolici si siano presto affiancati, con zelo squisitamente ecumenico, quelli della Riforma.
    , di tempo ne è passato parecchio. L’ultima esecuzione di cui si abbia memoria storica ha avuto luogo in Polonia nel 1793 e da allora le chiese non fanno più di queste cose, anche perché il mondo laico uscito dalla Rivoluzione Francese non lo permetterebbe di certo. L’espressione, che allora definiva la terribile realtà dei roghi e delle torture, si è ridotta a un’innocua metafora che chiunque, se gli fa comodo, può impiegare nel discorso comune. Chiunque, si intende, con la rilevante eccezione dei dignitari delle chiese cristiane e, in particolare, di quella cattolica. Loro quel termine farebbero davvero meglio a lasciarlo da parte. Lasciarlo cadere così nel discorso, con indifferenza, parlando d’altro, non è soltanto una manifestazione di quella che, se non si trattasse di un prelato tanto eminente, verrebbe fatto di definire una notevole faccia di bronzo, ma è anche sottilmente offensivo nei confronti di tutte le vittime di quella assurda persecuzione. Delle loro sofferenze l’organizzazione che ne è stata responsabile si cura tanto poco da servirsene come figura retorica.
    Il problema non riguarda personalmente l’arcivescovo Bagnasco, che è senza dubbio un uomo mitissimo e non farebbe del male a una pretesa strega nemmeno se se la trovasse di fronte nuda a cavallo della classica scopa. Il fatto è che la chiesa non crede nello storicismo, ma è sempre pronta ad accettare l’alibi del contesto storico ed è così impegnata, oggi, a lamentare le persecuzioni di cui asserisce di essere oggetto, che, semplicemente, dimentica il proprio passato persecutorio. Niente di strano, allora, se chiede rispetto per sé proprio nel momento in cui lo nega agli altri, pretendendo di imporre loro le proprie normative e i propri criteri di legittimazione. Forse, per loro, la caccia alle streghe non è ancora finita.

    18.03.’07