Una città da guardare

La caccia | Trasmessa il: 04/04/2004



Scendo dalla metropolitana alla fermata di piazza Duomo e sono colpito, mentre mi avvio alle scale mobili, da un vistoso manifesto a colori.  Rende noto che "il 15 marzo 2004 iniziano i lavori per il restyling della stazione metropolitana Duomo.  La conclusione del progetto, che prevede diverse fasi, Ë prevista per la fine del dicembre 2004.  Saranno chiusi, in base alla zona interessata, alcuni ingressi e spazi interni".  Il messaggio, che, dopo aver precisato quali ingressi e spazi interni sono effettivamente chiusi al momento, si conclude con un cortese "Ci scusiamo per il disturbo", Ë sormontato da un'immagine di taglio avveniristico, che, presumibilmente, intende illustrare l'aspetto che avr‡ la stazione di cui dopo l'intervento, ma a me ricorda di prepotenza le illustrazioni dei romanzi di fantascienza che leggevo tanti anni fa: che so, uno scorcio della mitica citt‡ di Diaspar come la descrive Arthur C. Clarke in City and the Stars, o un dettaglio di Trantor, la capitale di quell'Impero Galattico di cui si tratta nella saga della Fondazione di Asimov.
        Leggo, assimilo, raggiungo la scala mobile, la trovo fuori servizio e comincio, pazientemente, a salire a piedi la rampa che conduce in superficie.  » un'impresa che, a causa di certe difficolt‡ che mi affliggono, richiede un certo tempo, ma meglio cosÏ: avrÚ tutto l'agio, se non altro, di riflettere su quell'avviso e di cercare di capire come mai mi abbia fatto girare cosÏ vertiginosamente le scatole.
        Non  ho bisogno di spiegarvi che il problema non sta nell'uso del termine restyling.  Mi avete sentito parlare troppo volte di mysteries e di detection per non ignorare che non ho niente contro l'uso occasionale di qualche parola straniera.  NÈ vedo, d'altronde, quale termine italiano si potrebbe usare invece di restyling.   "Abbellimento", no: per il senso ci siamo quasi, ma le due espressioni fanno appello a categorie troppo diverse.  "Cosmesi" non si usa per gli spazi ferroviari, "imbellettamento" Ë troppo negativo, "reimpostazione stilistica" lo capirebbero in pochi.  Si potrebbe provare con "ristrutturazione", ma, anche se Ë ovvio che la stazione Duomo della metropolitana avrebbe un gran bisogno di essere ristrutturata - provvedendola, per esempio, di un sistema di scale mobili pi˘ efficiente - resta vero che un restyling proprio una ristrutturazione non Ë.  » un'operazione, direi, che ha a che fare pi˘ con la superficie che con la struttura profonda, un qualcosa che si prefigge, pi˘ che un incremento di funzionalit‡, una soddisfazione di natura estetica.  E deve essere questo, a occhio e croce, ad avermi provocato quel senso di fastidio di cui vi dicevo.
        Vedete, sarebbe ingiusto sostenere che la metropolitana di Milano fa schifo.  Nei suoi limiti, funziona abbastanza.  Ma, appunto, nei suoi limiti, che sono molti e perspicui.  Tanto per cominciare, sappiamo tutti che la rete Ë ben lungi dall'essere pervasiva: che, anzi, articolata com'Ë su tre linee un po' miserelle, rappresenta pi˘ un'ombra, una promessa di rete, che un sistema di trasporti efficiente.  E anche a prescindere da questo a priori, non si puÚ dire che il servizio sia un gran che.  L'intervallo tra i passaggi dei treni tende a crescere, gli orari potrebbero essere pi˘ generosi, la sicurezza Ë affidata pi˘ alla protezione celeste che ad altro, la portata nelle ore di punta Ë deficitaria, stazioni e vagoni non brillano per pulizia e, insomma, di interventi ce ne sarebbero da fare parecchi.  Se poi si volesse prendere in considerazione lo stato della rete di superficie, specie dopo lo sconquasso seguito all'introduzione delle sedicenti metrotramvie, ci sarebbe da vergognarsi di essere milanesi.
        AhimË, direbbe l'Albertini, come fa sempre in questi casi: mancano i soldi.  Sar‡ per l'insensibilit‡ del governo, o perchÈ i fondi vengono intercettati tutti a sud della linea gotica, o per chiss‡ che altro motivo, ma di sghei la citt‡ ne ha pochini.  E senza i danÈ non c'Ë niente da fare: se i lavori del passante ferroviario stanno per compiere il quarto di secolo, senza che alcunchÈ di ferroviario sia riuscito finora a passare dalla Bovisa a Rogoredo, non si vorr‡ mica che si ristrutturi, irrobustisca e incrementi la metropolitana?  Un po' di logica, gente, e pedalare, che oltretutto fa bene.
        E il restyling, allora?  Be', il restyling Ë un'altra cosa.  Sar‡ un caso, ma avrete notato anche voi che per i restyling, per le operazioni di immagine, per le mani di vernice da ripassare sulle facciate fanÈ, i soldi ci sono sempre.  La necessit‡ di tagliare i servizi sociali non fa contrasto con la volont‡ di dare alla citt‡ un nuovo, pi˘ piacevole volto.  La metropolitana Ë quello che Ë, e si fa il restyling delle stazioni (anzi, di una stazione, la pi˘ centrale).  Il sistema stradale fa pena, i tombini traboccano a ogni pioggerellina di marzo, ma gli operai che si vedono in giro sembrano intenti soltanto a posare lastre di marmo al posto dei marciapiedi, a sistemare ad acciottolato le vecchie piazzole, a installare fioriere e a sostituire i volgari "panettoni" di cemento con snelle colonnette di ghisa dall'aspetto parigino.  I risultati sono sovente grotteschi, come puÚ constatare chiunque faccia due passi in piazzale Cadorna, ma questo non impedisce a chi di dovere di insistere.  Sembra che l'idea base sia quella di farci passare dalla Milano da bere di infausta memoria a una Milano da guardare, a una sorta di citt‡ di facciata, leziosamente agghindata e puttanescamente dipinta, senza badare a che cosa dietro la facciata si cela.   Difficile, per le persone ragionevoli, non pensare che se si impiegassero i mezzi che si dedicano a queste frivolezze per risolvere un qualche problema serio, qualche risultato, forse, lo si otterrebbe.  Ma Ë un tipo di ragionevolezza, questo, cui i nostri Soloni sono sordi.
        E non ditemi, per favore, che esagero.  La cultura del restyling, in fondo, Ë la stessa di quella del lifting, basata com'Ë sulla persuasione intima, incrollabile, fisiologica, che il popolo bue non sia capace di distinguere l'apparenza dalla sostanza, che siano sufficienti pochi specchietti e qualche perlina per distrarlo quanto basta a metterglielo dove non si puÚ dire.  Specchietti e perline, d'altronde, ben si addicono a questa classe dirigente di guitti, a questo ceto politico arrogante e autoreferenziale, che pensando solo a se stesso e ai propri interessi non cerca nella citt‡ (e nel paese) altro che un fondale dipinto davanti a cui pavoneggiarsi.  Che volete, sono fatti cosÏ: loro le loro magagne le nascondono, come la spazzatura, sotto il tappeto e nel trovare una copertura capace di soffocarne il tanfo si riducono, in ultima analisi, le loro istanze di efficienza.  E di pulizia.
04.04.'04