Scendo dalla metropolitana alla fermata di piazza Duomo
e sono colpito, mentre mi avvio alle scale mobili, da un vistoso manifesto
a colori. Rende noto che "il 15 marzo 2004 iniziano i lavori
per il restyling della stazione metropolitana Duomo. La conclusione
del progetto, che prevede diverse fasi, Ë prevista per la fine del dicembre
2004. Saranno chiusi, in base alla zona interessata, alcuni ingressi
e spazi interni". Il messaggio, che, dopo aver precisato quali
ingressi e spazi interni sono effettivamente chiusi al momento, si conclude
con un cortese "Ci scusiamo per il disturbo", Ë sormontato da
un'immagine di taglio avveniristico, che, presumibilmente, intende illustrare
l'aspetto che avr‡ la stazione di cui dopo l'intervento, ma a me ricorda
di prepotenza le illustrazioni dei romanzi di fantascienza che leggevo
tanti anni fa: che so, uno scorcio della mitica citt‡ di Diaspar come
la descrive Arthur C. Clarke in City and the Stars, o un dettaglio di Trantor,
la capitale di quell'Impero Galattico di cui si tratta nella saga della
Fondazione di Asimov.
Leggo, assimilo, raggiungo
la scala mobile, la trovo fuori servizio e comincio, pazientemente, a salire
a piedi la rampa che conduce in superficie. » un'impresa che, a causa
di certe difficolt‡ che mi affliggono, richiede un certo tempo, ma meglio
cosÏ: avrÚ tutto l'agio, se non altro, di riflettere su quell'avviso e
di cercare di capire come mai mi abbia fatto girare cosÏ vertiginosamente
le scatole.
Non ho bisogno
di spiegarvi che il problema non sta nell'uso del termine restyling. Mi
avete sentito parlare troppo volte di mysteries e di detection per non
ignorare che non ho niente contro l'uso occasionale di qualche parola straniera.
NÈ vedo, d'altronde, quale termine italiano si potrebbe usare invece
di restyling. "Abbellimento", no: per il senso ci siamo
quasi, ma le due espressioni fanno appello a categorie troppo diverse.
"Cosmesi" non si usa per gli spazi ferroviari, "imbellettamento"
Ë troppo negativo, "reimpostazione stilistica" lo capirebbero
in pochi. Si potrebbe provare con "ristrutturazione", ma,
anche se Ë ovvio che la stazione Duomo della metropolitana avrebbe un gran
bisogno di essere ristrutturata - provvedendola, per esempio, di un sistema
di scale mobili pi˘ efficiente - resta vero che un restyling proprio una
ristrutturazione non Ë. » un'operazione, direi, che ha a che fare
pi˘ con la superficie che con la struttura profonda, un qualcosa che si
prefigge, pi˘ che un incremento di funzionalit‡, una soddisfazione di
natura estetica. E deve essere questo, a occhio e croce, ad avermi
provocato quel senso di fastidio di cui vi dicevo.
Vedete, sarebbe ingiusto
sostenere che la metropolitana di Milano fa schifo. Nei suoi limiti,
funziona abbastanza. Ma, appunto, nei suoi limiti, che sono molti
e perspicui. Tanto per cominciare, sappiamo tutti che la rete Ë ben
lungi dall'essere pervasiva: che, anzi, articolata com'Ë su tre linee un
po' miserelle, rappresenta pi˘ un'ombra, una promessa di rete, che un
sistema di trasporti efficiente. E anche a prescindere da questo
a priori, non si puÚ dire che il servizio sia un gran che. L'intervallo
tra i passaggi dei treni tende a crescere, gli orari potrebbero essere
pi˘ generosi, la sicurezza Ë affidata pi˘ alla protezione celeste che
ad altro, la portata nelle ore di punta Ë deficitaria, stazioni e vagoni
non brillano per pulizia e, insomma, di interventi ce ne sarebbero da fare
parecchi. Se poi si volesse prendere in considerazione lo stato della
rete di superficie, specie dopo lo sconquasso seguito all'introduzione
delle sedicenti metrotramvie, ci sarebbe da vergognarsi di essere milanesi.
AhimË, direbbe l'Albertini,
come fa sempre in questi casi: mancano i soldi. Sar‡ per l'insensibilit‡
del governo, o perchÈ i fondi vengono intercettati tutti a sud della linea
gotica, o per chiss‡ che altro motivo, ma di sghei la citt‡ ne ha pochini.
E senza i danÈ non c'Ë niente da fare: se i lavori del passante ferroviario
stanno per compiere il quarto di secolo, senza che alcunchÈ di ferroviario
sia riuscito finora a passare dalla Bovisa a Rogoredo, non si vorr‡ mica
che si ristrutturi, irrobustisca e incrementi la metropolitana? Un
po' di logica, gente, e pedalare, che oltretutto fa bene.
E il restyling, allora?
Be', il restyling Ë un'altra cosa. Sar‡ un caso, ma avrete
notato anche voi che per i restyling, per le operazioni di immagine, per
le mani di vernice da ripassare sulle facciate fanÈ, i soldi ci sono sempre.
La necessit‡ di tagliare i servizi sociali non fa contrasto con
la volont‡ di dare alla citt‡ un nuovo, pi˘ piacevole volto. La
metropolitana Ë quello che Ë, e si fa il restyling delle stazioni (anzi,
di una stazione, la pi˘ centrale). Il sistema stradale fa pena,
i tombini traboccano a ogni pioggerellina di marzo, ma gli operai che si
vedono in giro sembrano intenti soltanto a posare lastre di marmo al posto
dei marciapiedi, a sistemare ad acciottolato le vecchie piazzole, a installare
fioriere e a sostituire i volgari "panettoni" di cemento con
snelle colonnette di ghisa dall'aspetto parigino. I risultati sono
sovente grotteschi, come puÚ constatare chiunque faccia due passi in piazzale
Cadorna, ma questo non impedisce a chi di dovere di insistere. Sembra
che l'idea base sia quella di farci passare dalla Milano da bere di infausta
memoria a una Milano da guardare, a una sorta di citt‡ di facciata, leziosamente
agghindata e puttanescamente dipinta, senza badare a che cosa dietro la
facciata si cela. Difficile, per le persone ragionevoli, non pensare
che se si impiegassero i mezzi che si dedicano a queste frivolezze per
risolvere un qualche problema serio, qualche risultato, forse, lo si otterrebbe.
Ma Ë un tipo di ragionevolezza, questo, cui i nostri Soloni sono
sordi.
E non ditemi, per
favore, che esagero. La cultura del restyling, in fondo, Ë la stessa
di quella del lifting, basata com'Ë sulla persuasione intima, incrollabile,
fisiologica, che il popolo bue non sia capace di distinguere l'apparenza
dalla sostanza, che siano sufficienti pochi specchietti e qualche perlina
per distrarlo quanto basta a metterglielo dove non si puÚ dire. Specchietti
e perline, d'altronde, ben si addicono a questa classe dirigente di guitti,
a questo ceto politico arrogante e autoreferenziale, che pensando solo
a se stesso e ai propri interessi non cerca nella citt‡ (e nel paese)
altro che un fondale dipinto davanti a cui pavoneggiarsi. Che volete,
sono fatti cosÏ: loro le loro magagne le nascondono, come la spazzatura,
sotto il tappeto e nel trovare una copertura capace di soffocarne il tanfo
si riducono, in ultima analisi, le loro istanze di efficienza. E
di pulizia.
04.04.'04