Un paese unito

La caccia | Trasmessa il: 11/28/2004



Non hanno notato in molti che mercoledì 24, il giorno in cui la magistratura ha scioperato compatta contro la “riforma” del ministro Castelli, è stato paradossalmente quello in cui tra ministro e uomini di toga si è manifestata una straordinaria comunità di sentire.  In quella data, infatti, il guardasigilli ha bloccato, a torto o a ragione, l’iter della grazia per Ovidio Bompressi (e, in prospettiva, per Adriano Sofri) ed è un fatto che giudici e PM in blocco, a parte qualche rarissima avis, sono decisamente contrari a che quel beneficio venga concesso.  Ogni volta che a un magistrato è stato chiesto un parere in merito, si sa, è stato negativo (con l’eccezione, credo, di quello del giudice di sorveglianza di Pisa) ed è universalmente noto che si deve all’ostinata volontà di certi ambienti giudiziari se – processo dopo processo, a costo di una sentenza suicida e di almeno un caso noto di pressioni sulla giuria –  si è giunti a quella condanna definitiva che la grazia, oggi, metterebbe in discussione, nei fatti se non in diritto.
        Niente di scandaloso, naturalmente, e niente di illegale.  Altro non hanno fatto, ministro e magistrati, che esercitare i poteri che le leggi e la prassi riconoscono loro.  Ma è interessante notare come, proprio nel momento in cui le due parti si azzuffano in difesa ciascuna dei propri poteri, tra esse si ristabilisca, all’atto di applicare quei poteri sulla pelle della gente, una così commuovente concordia.   Né gli uni né l’altro, evidentemente, hanno interesse a chiudere il capitolo doloroso della violenza politica con un gesto di pacificazione civile (che non dovrebbe, ovviamente, riguardare solo Sofri e Bompressi).  Dipenderà, forse, dal fatto che li accomuna, al di là ogni divergenza occasionale, la convinzione profonda che il livello di giustizia di un paese si misuri esclusivamente sul numero degli anni di galera che si riesce a comminare ai riottosi e sulla capacità di farli scontare tutti, fino all’ultimo giorno.
        D’altronde, questa concezione bassamente carceraria del diritto non è, a pensarci, esclusiva né di quel ministro né di quei magistrati.  C’è il rischio, anzi, che sia condivisa della maggioranza dei cittadini e non solo perché sono frastornati da una lunga, dissennata campagna sulla sicurezza e sull’ordine pubblico.  Non per niente il rifiuto della grazia a Bompressi non ha suscitato particolari proteste né tra le forze di governo, nonostante il loro conclamato garantismo, né tra quelle di opposizione.  E quando la sinistra era al potere, se ben ricordo, non ha certo fatto dei grandi sforzi per risolvere la questione: anzi, sul problema della grazia (e dell’amnistia), tanto Fassino quanto Diliberto, che, a suo tempo, si sono alternati al Ministero della Giustizia, hanno fatto come se non esistesse.   Persino tra gli ascoltatori che telefonano a Radio Popolare questa settimana se ne sono sentiti parecchi che, per un motivo o per altro, all’idea della grazia a quei due, sentivano il bisogno di dichiararsi virtuosamente contrari.
        Ci riscopriamo così, dopo tante polemiche, come un paese finalmente unito.  Unito, se non altro, dalla fiducia nella galera, che è la stessa cosa della paura della libertà.  Ministri come Castelli, francamente, ce li meritiamo.

28.11.’04