Capita spesso di leggere sui giornali articoli che lasciano sconcertati,
opinioni da cui si sente il bisogno di dissentire, prese di posizione che
lasciano, per un motivo o per l’altro, perplessi. Di rado, però,
succede di leggere qualcosa capace di lasciarti profondamente offeso. A
me è capitato, giovedì, con il corsivo che il “Corriere” ha dedicato
in prima pagina alla (orribile) strage di Falluja per la penna di André
Glucksmann. Non si trattava, in realtà, di un articolo vero e proprio,
né di una opinione o una presa di posizione come tante. Si intitolava
Il coraggio di guardare in faccia l’odio ed era, per chiamarlo con il
suo nome, un’invettiva. Un’invettiva contro di noi, contro la “brava
gente” che tappezza i suoi balconi di bandiere arcobaleno e brandisce
quei “deliziosi striscioni intitolati ‘pace’”. Contro gli individui
che l’autore immagina pronti a spiegare “con sufficienza” che “la colpa
è tutta di Berlusconi, Blair e Bush”, contro la gente che non ha mai sentito
parlare delle guerre di religione (che “non portano” notoriamente “la
responsabilità di Blair”), che non sa che Berlusconi “non c’entra nulla”
con Guernica, che dietro le Fosse Ardeatine non c’è “la mano nascosta
della CIA e dei neocon”, e che non riesce a dimenticare nemmeno per un
momento le sue “sacrosante baruffe da campanile”, senza capire che esse
“non hanno voce in capitolo” perché “Prodi o Berlusconi sono zuppa o
pan bagnato per i linciatori del Medio Oriente”. Un’invettiva,
dunque, contro chi (noi) non capisce che laggiù, in Iraq, senza l’intervento
dell’Occidente la barbarie infurierebbe ancora al ritmo di trecento o
quattrocento morti per giorno, quella barbarie imposta a suo tempo dall’alto
e che “oggi risorge tra gli ambienti sunniti inquadrati e diretti dalla
passata nomenklatura” e porta il segno, fin dall’inizio, “di un Saddam
o di un Bin Laden, l’uno privo di scrupoli quanto l’altro”.
Non mi ha offeso, quell’invettiva, per il
tono insultante o per gli argomenti grossolani impiegati da un autore che
pure ambiva, tempo fa, a una certa dignità di pensiero e adesso si riduce
al livello di una Oriana Fallaci qualunque. Mi ha offeso per la disinvoltura
con la quale fa passare così, come niente, il concetto per cui odio, fanatismo,
volontà di distruggere il nemico sono categorie innate, originarie, senza
nessun perché che valga la pena di ipotizzare e indagare. Per il
presupposto che quei mali oggi allignino soprattutto là, in quelle terre
maledette in cui a un Saddam si sostituisce come se nulla fosse un
Bin Laden e nulla importa della differenza tra i due e del contesto in
cui si sono fermati e hanno forgiato il loro potere, perché tanto laggiù
sono tutti linciatori e senza la solida presenza degli eserciti occidentali
non potrebbero che ripetersi, all’infinito, gli orrori delle guerre di
religione, di Guernica e delle Fosse Ardeatine. Come se la storia,
in qualche suo modo miracoloso, avesse purificato l’Occidente delle sue
colpe, affidandogli il compito di tenere a bada con la forza delle armi
la protervia degli “altri”. Guardate cosa fanno a Falluja!
Odio, odio pure. E noi non dovremmo combattere questa gente? Non
dovremmo occuparli, forse? Perché l’odio – naturalmente – è sempre
quello degli altri, l’intolleranza è sempre quella che si rivolge contro
di noi e chi non lo ammette è solo un imbecille. Che è, in definitiva,
una pura e semplice dichiarazione di razzismo, che spiace di leggere in
prima pagina sul più prestigioso quotidiano del nostro paese.
Vedete, io non so perché il “Corriere della
Sera” si sia lanciato nella sua attuale campagna di criminalizzazione
del pacifismo, né perché chi lo dirige abbia deciso di dare via libera
a certi zeloti filoamericani, alcuni dei quali sembrano interessati soprattutto
a “scoprire” (o additare) in Italia fantomatiche complicità e improbabili
connessioni, un compito, ne converrete, più da poliziotto che da giornalista,
nel senso che sui giornali, almeno in teoria, bisognerebbe pubblicare delle
notizie accertate, tenendosi alla larga dalle ipotesi tendenziose.
Immagino che il fatto che tanta parte dell’opinione pubblica sia così
esplicitamente contraria alla guerra e all’occupazione preoccupi non poco
i referenti politici di quel giornale (o alcuni di loro). È una
scelta che credo nessuno di voi condivida, ideologicamente lecita, anche
se un po’ ripugnante e giornalisticamente assai discutibile. Ma
una sequela di insulti a base razzista finora non l’avevo ancora trovata
e spero solo, fosse solo per il rispetto di chi per il “Corriere” seriamente
lavora, di non avere più occasioni di ritrovarla.
04.04.’04