Un mito di certificazione

La caccia | Trasmessa il: 01/06/2008


    La festa dell'Epifania, com'è noto, celebra l'episodio più improbabile e meno documentato della vita di Nostro Signore. Perché che Gesù sia nato, come noi tutti, è cosa (ovviamente) sicura e del fatto che sia stato arrestato, condannato e crocifisso per ordine del procuratore Ponzio Pilato – nonostante gli strenui tentativi dei Vangeli di sminuire le responsabilità di costui, attribuendone quante più possibile al Sinedrio ebraico – possiamo, viste le fonti, essere ragionevolmente certi. Poco altro sappiamo sulla Sua vita terrena, a parte i resoconti, non sempre univoci, sui tre anni di predicazione in Galilea, tra Cafarnao e Tiberiade, e sull'incauta decisione di presentarsi a Gerusalemme in forma solenne, a rischio di far saltare la mosca al naso alle autorità, tutti eventi sulla cui fondatezza storica non abbiamo ragione di dubitare. Ma che all'età di dodici giorni il futuro Redentore abbia ricevuto una delegazione di Magi dell'Oriente, guidati colaggiù da una stella e carichi di oro, incenso e mirra, be', a questo hanno difficoltà a credere anche parecchie anime pie. Oltretutto, il sottoepisodio del passaggio dei Magi da Erode, premessa involontaria della fuga in Egitto e della strage degli innocenti, anche se è stato chiaramente inserito per dare al racconto una qualche inquadratura storica, è quello che desta i peggiori sospetti. Su quanto succedeva alla corte di Erode siamo, nel complesso, ben informati, grazie soprattutto all'opera di quel pettegolo di Giuseppe Flavio, e se quel sovrano avesse ricevuto la visita di un numero imprecisato di potentati orientali ce ne resterebbe certamente notizia. E poi non si capisce come l'autore delle Antichità giudaiche, che per Erode e i suoi nutriva una fortissima antipatia e infatti registra accuratamente ogni particolare che possa tornare a loro disdoro, si sia potuto lasciare sfuggire una bazzecola come l'ordine di massacrare tutti i fanciulli di Betlemme e provincia di età inferiore ai due anni. Insomma, questa storia di stranieri che vengono da lontano e ingannano un re cattivo ha una forte connotazione di genere folcloristico e il fatto che il nome della festa relativa sia stato personalizzato, come succede appunto nel folclore, in quello di una entità più o meno benefica, la Befana che porta i doni ai bambini buoni (ma che, secondo un'altra tradizione, spaventa le fanciulle che vanno al pozzo ad attingere l'acqua), dimostra che ci muoviamo in quell'ambito.
    Il nome della Befana, tuttavia, deriva da Epifania, che in greco vuol dire “manifestazione” ed è un termine che si applica particolarmente alla comparsa inattesa di figure divine (che so, come quando lo Straniero si rivela per Dioniso alla fine delle Baccanti di Euripide). Infatti la chiesa celebra con la festività odierna appunto la manifestazione di Gesù in quanto Redentore e figlio di Dio, nel senso che il divino fanciullo, esponendosi all'adorazione dei Magi e accettando i loro doni – l'oro, che è simbolo di regalità, l'incenso, che si offre alle divinità, e la mirra, che è una resina aromatica impiegata nella imbalsamazione, e in quanto tale non sembrerebbe il dono più adatto a un neonato, ma allude, naturalmente, alla corruttibilità del corpo mortale e alla necessità di porvi rimedio – abbia rivelato la Sua duplica natura umana e divina. Sarebbe questa, secondo la dottrina corrente, la sua prima e definitiva Epifania.
    Il che, se ci pensate, è strano. I Vangeli, nel loro complesso, descrivono almeno due altre possibili epifanie. Luca, che dei Magi non fa cenno, assegna, come è noto, la loro funzione ai pastori di Betlemme, che, avvertiti dagli angeli, accorrono ad adorare il neonato nella capanna per poi riferirne a chi non c'era. Gli altri due evangelisti, che della nascita del Signore non si occupano affatto, ne collocano entrambi la manifestazione all'inizio del loro racconto, con l'episodio del battesimo nel Giordano, quando, secondo Marco, si aprirono i cieli, ne scese lo Spirito Santo sotto forma di colomba e una voce dal cielo disse “Tu sei il mio diletto Figliolo”, che più manifestazione di così non si può, e secondo Giovanni fu lo stesso Battista a sanzionare la divinità di Gesù, agnello di Dio che toglie i peccati del mondo e figliolo dei Signore, come testimoniato dalla comparsa (in questo caso solo a lui) dello Spirito in forma di colomba. Tutti momenti, come converrete, assai più impegnativi e, in un certo senso, più credibili e convincenti della fugace comparsa di quelle evanescenti figure di Oriente, che la tradizione, in seguito, avrebbe insignito del titolo regale e dotato di nomi solenni proprio per ovviare al fatto che nel Vangelo di loro non si dice praticamente nulla.
    E allora perché mai si celebra oggi, in ricordo della loro visita, l'Epifania per antonomasia del Signore? Chissà, forse perché non tutti condividono l'entusiasmo bucolico di Luca, evangelista colto e urbano, per i rozzi pastori, che, frastornati da tutti quegli angeli che cantavano possono anche aver preso fischi per fiaschi, o perché sono in parecchi, nel giro, a considerare vagamente ambigua la figura del Battista, che è facile liquidare come un semplice Precursore, ma visto che poi, anche dopo aver conosciuto Gesù, proseguì nell'attività in proprio (almeno fino al fatale incontro con Salomé), può configurarsi quasi come un possibile Concorrente. E poi perché i Magi, per sbiaditi che ci possano apparire, presentano, dal punto di vista della certificazione della divinità, un vantaggio non irrilevante, una sorta di competenza sapienziale che ai pastori e ai profeti è fatalmente negata. Sono, per dirla in poche parole, degli esperti nel ramo.
    Perché i Magi in senso stretto erano, ai tempi dell'impero persiano, i membri di una tribù iranica cui competeva in esclusiva il ruolo sacerdotale e l'esercizio dei riti relativi. Naturalmente ai tempi di Erode e di Gesù l'impero persiano era sparito da un pezzo e non c'erano tribù sacerdotali nel regno degli Arsacidi che lo aveva sostituito, ma il ricordo di quel nome e di quella funzione, evidentemente, persisteva nella cultura del Medio Oriente ellenizzato e vi sarebbe persistito a lungo (anche se in età imperiale, spiace a dirlo, la connotazione di mágos sarebbe stata piuttosto negativa, avvicinandosi a quella dei nostri “negromante”, “stregone” e simili). Evidentemente l'autore del primo Vangelo avrà pensato che le figure ideali per testimoniare di una manifestazione divina dovevano essere gente che di religione un po' ne masticava. E non potendo ricorrere, per ovvi motivi, ai sacerdoti locali, ne ha fatto venire un certo numero dal passato e da un paese lontano.
    Voi dite di preferire i pastori? Sì, anch'io, in un certo senso, se non altro perché sono affezionato al Presepe. E certo non si può negare che la scena del battesimo nel Giordano abbia una sua superiore solennità. Ma Matteo, o chi per lui, badava al sodo: voleva offrire ai suoi lettori una epifania sicura e garantita, una epifania doc, con tanto di bollo di origine. Per questo gli servivano i Magi e per questo li ricordiamo oggi. E menomale che l'Epifania tutte le feste le porta via, perché, francamente, non se ne poteva più.


C. O.



    Nota

    Il racconto della visita dei Magi si legge in Matteo, II, 1-12. L'adorazione dei pastori è in Luca, II, 8-20. Le due versioni del battesimo nel Giordano si trovano in Marco, I, 9-11 e Giovanni, I, 29-34.

    Per un esempio di Befana “cattiva” si veda il sonetto Madonna se ne vien dalla fontana di Filippo Brunelleschi.