Un misero seguace del Machiavelli

La caccia | Trasmessa il: 02/21/1999



Siccome al peggio non c’è mai limite, è stato lo stesso on. Mattarella a presentarsi, giovedì scorso, alla Camera per spiegare che l’Italia, Dio ne scampi, non ha responsabilità alcuna nella vergognosa conclusione del caso Ocalan, visto che il leader del PKK ha lasciato il nostro paese di sua assoluta volontà.   Evidentemente il suo capo (il capo di Mattarella, dico: l’on. D’Alema), occupato com’era, quel giorno, a prepararsi per l’impegnativo incontro serale con Gianni Morandi, non avrà ritenuto confacente alla sua dignità di statista presentarsi ai colleghi parlamentari con una dichiarazione così sfacciatamente mendace.   E così è toccato al nostro Attila in sedicesimo andare a raccontare a una Camera semideserta che “tutto si è svolto nella trasparenza e nella correttezza” e che il governo ha affrontato questa trista faccenda con “misura e dignità”.  E chi volesse obiettare che c’è ben poco di misurato o di dignitoso nel rifiutare asilo a chi ne aveva diritto, in quanto straniero evidentemente impedito da quell’”effettivo esercizio delle libertà democratiche” di cui parla la nostra Costituzione, sappia che nessuno, finora, ha negato niente a nessun altro: il Tribunale di Roma prenderà sollecitamente in esame la domanda di asilo il prossimo 24 febbraio.  Quanto la notizia possa rallegrare l’interessato è facile immaginare.
        Boh.  Una volta, tanto tempo fa, i politici italiani godevano fama di essere “machiavellici”.  Voleva dire, in soldoni, che non era il caso di fidarsene troppo, perché, pur di raggiungere i fini che di volta in volta si proponevano, erano disposti a mettere tra parentesi le norme della morale, a mentire, a ingannare e a fare di peggio, secondo il modello di quel Cesare Borgia, che, in effetti, non avrebbe dovuto far ammazzare a tradimento Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo e gli altri, ma, se proprio voleva costituire il suo “stato nuovo” (se voleva – cioè – perseguire i suoi obiettivi politici) non poteva farne a meno.
        Oggi, evidentemente, nessuno potrebbe accusare i nostri governanti di machiavellismo.  Non perché, come si è visto, siano alieni dal mentire, o perché rifuggano dagli argomenti capziosi e ingannevoli, o perché non vadano, come Ocalan ha scoperto a sue spese, considerati ancora più infidi del duca Valentino.   L’on. Mattarella è troppo buon cristiano per sostenere che il fine giustifica i mezzi e il Presidente D’Alema ha già fatto sufficiente ammenda delle sue origini laiche perché gli si possa attribuire un’opinione così contraria agli insegnamenti della Chiesa.   Il fatto è che difficilmente si potrebbe sostenere che D’Alema, Mattarella o qualsiasi altro membro del loro governo o della loro maggioranza, si siano mossi con un fine qualsiasi, salvo forse quello di togliersi dai piedi un impiccio che avrebbe potuto metterli in difficoltà con i protettori americani del regime turco o creare qualche problema a chi, in Italia, con quel regime intrattiene proficui traffici.  E capirete che proporsi come unico obiettivo quello di compiacere sempre i propri padroni non è un tratto da grande politico.
        Oggi che Ocalan è stato consegnato inerne nelle mani dei suoi nemici, i nostri Machiavelli da quattro soldi sono liberi di stracciarsi le vesti sulle sorti del popolo curdo o affermare pomposamente che bisogna fare di tutto perché al prigioniero sia riservato un equo giudizio e gli sia risparmiata la pena capitale.  Sono belle e degne parole.  Peccato che tutti sappiamo che l’unica cosa che il governo italiano sa fare per i curdi è quella di impedirgli  l’accesso nel nostro paese e che, quanto a equi giudizi per i prigionieri politici, non rappresentiamo certo un esempio per nessuno.  Anche a questo proposito, sarebbe molto meglio tacere.
21.02.’98