Un gioco a carte truccate

La caccia | Trasmessa il: 02/14/2010


    Che alla vigilia di un importante turno elettorale si sospendano – o si rendano impraticabili – i programmi televisivi di approfondimento politico è cosa, diciamocelo pure, che può capitare soltanto in Italia. In un paese, cioè, dove il governo controlla il novanta per cento abbondante dell'informazione televisiva e proprio per questo sa bene che, pur facendo pagare agli utenti un canone piuttosto salato, non ha mai offerto loro un servizio pubblico degno di questo nome, avendo preferito allestire soltanto un volgare strumento di propaganda e sollecitazione del consenso. Ciò impone la necessità, in tempo di elezioni, di chiudere quelle poche enclave restate, per qualche bizzarria anomalia storica, parzialmente fuori controllo, nel sereno convincimento che perché il cittadino possa esprimere al meglio la propria scelta basterà mantenerlo più disinformato possibile. Né l'opposizione, che a vincere le elezioni ha già rinunciato da un pezzo ed è troppo concentrata nelle proprie faide interne per preoccuparsi d'altro, sembra in grado di opporsi a questa ennesima, prevedibilissima soperchieria.
    Pazienza. Faremo di necessità virtù e rinunceremo senza rimpianti ai personaggi dei nostri teatrini televisivi serali. Ci arrangeremo a tirare avanti per tutto un mese senza le prediche del viceministro Castelli, le lezioni di Tremonti, l'aggressività di La Russa e i sofismi di Gasparri. Sopporteremo da forti l'assenza dai teleschermi del buon Bersani, del ragionevole Fassino, del volonteroso Franceschini e di tutti gli altri democratici di ordinanza. Ci sottrarremo non senza sollievo all'obbligo, sempre un po' imbarazzante, di giudicare le argomentazioni di Di Pietro e il suo modo di presentarle. Una volta confinati costoro nella riserva indiana delle “tribune politiche”, potremo lasciarceli con piena soddisfazione, lì, a parlare davanti al nulla. Ci consoleremo dicendoci l'un l'altro che tanto Floris era letargico, Santoro antipatico, l'Annunziata irritante e Vespa (se pure lui sarà stato oscurato del che permettetemi di dubitare) al di là di ogni possibile sopportazione. Nulla e nessuno ci sottrarrà al piacere di addormentarci di fronte all'ultimo telefilm.
    In ogni caso, possiamo stare sicuri che i veri protagonisti del gioco elettorale non resteranno lontani dai teleschermi. Il pio Formigoni riuscirà a migliorare il suo record di presenze e inaugurazioni – deve aggirarsi, al momento, sulle quattro cinque pro die – e di ogni sua uscita troverà il modo di tenerci dettagliatamente informati. L'ottimo Brunetta riuscirà sempre a sparare qualche cazzata troppo grossa perché non se ne debba riferire con tutta la larghezza possibile. I ministri, candidati o meno, sfrutteranno fino in fondo le loro prerogative ministeriali e anche se al momento non so proprio come, vedrete che chi di dovere troverà il modo di proporci ogni due per tre anche la Polverini.
    Quanto a colui che s'innalza sovra tutti costoro, colui che, come lo Zeus omerico, panta eforà kai krateì, l'uomo che sulla copertina dell'ultimo libro dell'amico Vespa si è degnato di farsi accostare nientemeno che a Giulio Cesare, colui che a queste elezioni candidato non è, ma ha il suo nome nel simbolo elettorale del partito di maggioranza in undici regioni su tredici, non abbiate paura, ce lo ritroveremo sempre davanti. Lui, i suoi cari, le sue ville, le sue canzoni, le sue ammiratrici più o meno prezzolate, le sue amicizie internazionali, il suo monocentrismo egoriferito, i suoi interventi “improvvisati” davanti a questa o quella platea, le sue barzellette, i suoi continui piagnucolii sugli attacchi cui – poveretto – è incessantemente sottoposto. Se nella scorsa settimana i quotidiani principali hanno dedicato da due a tre pagine di servizi (con foto, box e diagrammi) a un suo pranzo in famiglia con i figli, un evento di natura affatto privata, durante il quale si è parlato – sembra – soltanto di questioni personali, non oso immaginare quante altre occasioni riusciranno a trovare i suoi addetti stampa per mostrarcelo da vicino man mano che si avvicinerà il momento del voto.
    Una volta si parlava di conflitto d'interessi, ma il termine ormai è inadeguato, nel senso che ogni ipotesi di conflittualità è stata sepolta da un pezzo. Oggi l'ometto occupa la scena con una perentorietà che nessuno, all'inizio della sua pur straordinaria carriera, si sarebbe azzardato a prevedere. Ormai si gioca a carte palesemente truccate ed è un peccato che nessuno sembri rendersi conto che, in queste circostanze, la cosa migliore da fare potrebbe essere quella di rovesciare il tavolo.

    Un'osservazione, en passant, sul citato libro di Bruno Vespa. Si intitola Donne di cuori e spazia, secondo lo strillo in copertina, “Da Cleopatra a Carla Bruni, da Giulio Cesare a Berlusconi”. Al di là dell'incongruità degli accostamenti, non sembra anche a voi che l'enunciazione presenti una strana asimmetria? Tra Giulio Cesare e Cleopatra, ci assicurano gli storici, anche i meno pettegoli, intercorsero tutta una serie di rapporti, politici, dinastici e personali, che non credo si possano supporre tra il Berlusca e la Bruni. In fondo, con l'ultima regina d'Egitto il fondatore dell'impero romano riuscì, tra una cosa e l'altra, a fare un figlio: un'ipotesi che credo si possa tranquillamente escludere nel caso dell'Uomo di Arcore e della signora Sarkozy. Mi è venuto in mente che la stranezza si potrebbe sanare ipotizzando un caso di censura (o di cautela) editoriale: mettiamo che l'autore, o chi per lui, si fosse ripromesso in prima istanza di organizzare la sua storia “da Cleopatra a Giulio Cesare, da Berlusconi a Veronica Lario”: una volta tramontata, per i noti motivi, la stella di Veronica, non è presumibile che gli si sia consigliato di ripiegare su un qualsiasi altro personaggio femminile di rango adeguato, anche a costo di sballare il parallelismo? È solo un'ipotesi, s'intende, rafforzata, magari, dal fatto che l'editore, per uno strano caso, è Berlusconi stesso. Ma per esserne sicuri bisognerebbe, come minimo, leggere il libro, che è un'impresa cui io, per quanto desideroso sia di documentare le mie affermazioni, proprio non me la sento di accingermi. Converrà, dunque, lasciare la faccenda impregiudicata.
14.02.'10