Un degno seguace di Attila

La caccia | Trasmessa il: 02/21/1999



La settimana scorsa, probabilmente, eravate troppo impegnati con la campagna abbonamenti di Radio Popolare per poter seguire le cronache parlamentari con l’interesse che meritano.  A qualcuno, così, sarà potuto sfuggire l’intervento alla Camera dell’on. Sergio Mattarella relativo al “primo colpo” atomico.  Ed è un peccato, perché se è vero che i giornali non hanno dedicato a questa presa di posizione l’importanza che meritava  – io , personalmente, l’ho trovata soltanto in un trafiletto di undici righe sul manifesto di mercoledì 11 –  è anche vero che l’importanza dell’argomento e l’autorevolezza del soggetto (che, ci crediate o no, è vicepresidente del Consiglio dei Ministri) avrebbero dovuto indurci tutti a ben altra attenzione.
        L’on. Mattarella, ricorderete, è passato alla nostra storia parlamentare in quanto ingegnoso autore della legge elettorale vigente: sì, proprio quella che, per concorde giudizio di critica e pubblico, fa talmente schifo che se ne impone l’indifferibile sostituzione, vuoi sottoponendo agli elettori un ingegnoso quesito referendario, vuoi grazie al voto in Parlamento di un’adeguata riforma.   In un paese normale, naturalmente, chi fosse occorso in un infortunio legislativo del genere, sarebbe stato prontamente rimosso dal corpo parlamentare e adibito a funzioni in cui minor danno potesse recare alla comunità.  In Italia , ahimè, lo hanno promosso e fatto Ministro, anzi, come vi dicevo, vicepresidente del Consiglio dei Ministri.  E non obiettate che qui da noi il vicepresidente del Consiglio dei Ministri, per antica tradizione, vale meno del due di briscola.  Quando li fanno vicepresidenti gli ex democristiani (e l’on. Mattarella, del Partito Popolare, è un ex democristiano doc) non si accontentano certo di occuparsi di cinema o sport.  Lui, se non sbaglio, si è fatto dare la delega al controllo dei Servizi Segreti, o qualcosa di simile, il che ne fa ipso facto uno di quello che contano.
        Dunque, questo importante esponente del governo D’Alema, la settimana scorsa, si è presentato alla Camera per comunicare, nel corso del “question time”, che dio solo sa che cos’è, che “l’Italia è contraria alla proposta tedesca perché la Nato rinunci al ‘primo colpo’ atomico”.  Il “primo colpo atomico”, suppongo, sarà l’opzione strategica di chi si riserva il diritto, se del caso, di sferrare per primo un attacco nucleare, senza aspettare che a cominciare sia l’altro.  Che i tedeschi, sempre inguaribili pacifisti, avessero proposto di rinunciarvi mi era sfuggito, ma, se lo avessi saputo, avrei dato assolutamente per ovvio che l’Italia, paese retto da un governo di sinistra che non perde occasione per riaffermare la funzione puramente difensiva dei propri armamenti e il ruolo umanitario dei propri eserciti, sarebbe stata tra i primi ad accodarvisi.
        Invece no.  L’on. Mattarella ha spiegato che “la possibilità di ricorrere per primi, se del caso, all’arma nucleare contiene un forte elemento aggiuntivo di dissuasione e insieme di flessibilità politico-strategica cui sarebbe controproducente rinunciare”.  Tanto più che “questo punto chiave della dissuasione strategica durante la guerra fredda” resta valido per  scoraggiare “non solo un conflitto nucleare, ma qualsivoglia tipo di conflitto.”
        Belle parole, eh.  Perché, a prescindere dalle difficoltà logiche in cui incappa inesorabilmente chi si propone di “scoraggiare” un conflitto nucleare mediante un attacco nucleare (un paradosso che ben potrebbe figurare accanto a quello del barbiere e a quello del bugiardo), spero non vi sia sfuggita l’eleganza di termini come “forte elemento aggiuntivo di dissuasione” o “punto chiave di dissuasione strategica”.  Sono la riproposizione, in moderno gergo da Stato Maggiore, dell’antico principio per cui “la miglior difesa è l’attacco”.  Un principio caro ai nostri padri romani, che infatti, come ebbe a osservare, credo, Voltaire chiosando Tito Livio, lo applicarono con tanta coerenza che finirono per conquistare tutto il mondo conosciuto, e sempre per legittima difesa, e caro a tutti quanti motivano l’aggressività con la necessità di difendersi dai tapini che stanno meditando di aggredire.  Sono sicuro che, a chiederglielo, se ne sarebbe dichiarato entusiasta lo stesso Attila.
        Certo, le armi e gli eserciti servono per aggredire, e qualsiasi dichiarazione in senso contrario, compreso l’ingenuo e solenne ripudio della guerra contenuto nell’articolo 11 della nostra Costituzione, lascia un po’ il tempo che trova.  Siccome a decidere che tu stai per aggredire me sono comunque io, qualsiasi aggressione di qualsiasi tipo può essere presentata come di natura puramente difensiva o, se preferite, dissuasiva.  Andate a cercarvi in biblioteca o in una delle tante edizioni facsimile che ne sono state realizzate, i giornali del 30 settembre 1939 e leggerete le più orripilate descrizioni di come la Germania nazista fosse costretta a difendersi dall’aggressione della Polonia occupandone il territorio.
        Naturalmente la politica della NATO non la decide il governo italiano, la cui subordinazione in merito è ben nota, e coloro che la decidono a rinunciare al “primo colpo atomico” non ci pensano nemmeno.  Tanto più che, da quando il blocco sovietico si è disgregato, di paesi ostili in grado di cominciare loro non ce ne sono più e l’opzione del primo colpo significa soltanto il diritto a bombardare, con tutte le armi disponibili, chiunque i nostri padroni americani decidano, per motivi loro, di bombardare.  Ma fa lo stesso un po’ impressione leggere, sia pure in microscopici trafiletti, che un membro autorevole del primo governo a guida di sinistra (be’, sì, insomma, così dicono) utilizza, come se ci credesse, gli stessi argomenti di Attila.  In casi del genere, un sobrio silenzio sarebbe forse più dignitoso.

21.02.’99