Ultime tentazioni

La caccia | Trasmessa il: 11/30/2008


    Non sono riuscito a trovare la citazione esatta, ma credo sia stato Garibaldi a lasciar scritto che, ove fosse stata diffusa, dopo la sua morte, la notizia di una sua conversione in extremis alla religione cattolica, di tale notizia non si dovesse tenere conto alcuno. L'Eroe dei due mondi non si preoccupava soltanto della possibilità di una falsificazione, che pure non escludeva: essendo assai più sensato di quanto comunemente si creda, conosceva troppo bene la fragilità umana – e la propria in particolare – per non sapere che a nessun mortale, quanto più si avvicina al passo estremo, si può chiedere la coerenza e il sangue freddo necessari per non cedere a quella particolarissima tentazione e che grande affidamento non si può fare, in quei confusi frangenti, sui familiari e sugli altri superstiti. E pur nella sua relativa ingenuità in materia, masticava abbastanza politica per sapere di essere personalmente una preda alquanto ghiotta per i salvatori professionali di anime: non era ateo, nel senso che praticava quel vago deismo di ispirazione roussoviana tanto diffuso negli ambienti democratici dell'era sua, ma per tutta la vita aveva considerato la religione organizzata, i preti, il clero e il Vaticano come la bestia nera propria e del paese e li aveva attaccati e combattuti in ogni possibile modo, per cui l'effetto propagandistico di una eventuale conversione, vera o asserita, sarebbe stato fortissimo. E visto che voleva andarsene con dignità, com'era vissuto, aveva cercato di prendere tutti le possibili precauzioni. Che non avesse del tutto torto a diffidare dai suoi posteri immediati, tra parentesi, lo dimostra il fatto che le disposizioni che aveva lasciato per il funerale furono del tutto disattese e la sua salma, invece di essere cremata, come egli avrebbe desiderato, fu tumulata nel rustico mausoleo di Caprera dove tutt'ora riposa. A quel tempo la chiesa disapprovava la cremazione e qualcuno deve aver pensato che una solenne cerimonia di quel genere avrebbe fatto troppo scandalo.
    Garibaldi, tuttavia, era Garibaldi. Il caso di Antonio Gramsci, su cui pure si favoleggia in questi giorni, e non per la prima volta, di conversione in articulo mortis, è tutto diverso. Gramsci non si occupò mai ex professo di religione e problemi ecclesiastici e quando lo fece non assunse mai l'atteggiamento dei “liberi pensatori” dell'Ottocento. Senza giungere all'opportunismo ideologico di un Togliatti, credeva tuttavia anche lui nell'importanza del magistero ecclesiastico nell'autocoscienza delle classi subalterne e per questo non vedeva niente di male in certe forme di devozione popolare, compreso il culto delle immaginette e quel famoso bacio alla statuetta del Bambin Gesù di cui alcuni hanno detto. E poi, come ha ricordato con grande chiarezza e precisione Alessandro Robecchi sul Manifesto di mercoledì scorso, questa storia della conversione è una bufala che riemerge periodicamente da più di trent'anni, si basa su testimonianze molto dubbie e comunque di seconda mano ed è stata smentita categoricamente da Piero Sraffa e da altri già nel 1977. Il semplice fatto che, a differenza di Garibaldi, l'autore dei Quaderni dal carcere poté essere cremato e che le sue ceneri furono deposte nel Cimitero degli Inglesi contraddice qualsiasi ipotesi in senso contrario.
    Si tratta quindi di una invenzione e di un'invenzione, in sé, abbastanza innocua, visto che una sua eventuale conferma cambierebbe ben poco del nostro giudizio su Gramsci. Ma appunto per questo può essere interessante chiedersi perché mai qualcuno abbia sentito il bisogno di elaborarla. Che è domanda più scabrosa di quanto appaia, soprattutto per un laico, per il quale quello dei rapporti di chicchessia con il proprio destino oltremondano è un problema squisitamente personale, che a nessuno può e deve interessare se non a lui, per cui il fatto che il tal noto anticlericale fosse “personalmente credente” o che il talaltro celebre leccaculo dei preti sia, nel suo intimo, affatto incredulo non merita, in linea di principio, di essere preso in considerazione. La coerenza è una bella cosa, ma, come appunto sapeva Garibaldi, non è sempre facile esibirla e chi in materia è senza peccato vada pure a fare provvista di pietre.
    Chi laico non è, tuttavia, la vede in modo abbastanza diverso. Per lui, dallo stato della relazioni di un individuo con il suo creatore – e soprattutto con la chiesa relativa – dipendono un mucchio di cose: la condizione civile, la pienezza dei diritti, la possibilità stessa di esprimere opinioni e giudizi degni di interesse per gli altri. Per gente come Ratzinger, lo sappiamo, la verità si identifica con quello che insegnano loro e il resto è errore e non vale la pena di perder tempo con chi nell'errore persiste. La conversione dell'incredulo, in questo loro contesto, non è un fatto spirituale, ma un atto tutto terreno di sottomissione, di cui sarà sempre possibile servirsi, in un'ottica di conquista, per sottomettere qualcun altro.
    Questo implica, naturalmente, la necessità, che su tale evento, vero o presunto, si faccia più baccano possibile, che lo si tratti – cioè – non come un fatto di coscienza, ma come un evento mediatico. E visto che gli standard attuali della professione giornalistica sono quello che sono, un evento mediatico si può costruire su qualsiasi pretesto, per quanto esile sia, come, nel caso, il ricordo di una suora ignota, confidato anni fa a un monsignore poi defunto, ma non prima di averlo riferito a sua volta a un superiore, il quale, in occasione della presentazione di un catalogo di santini (!), ha ripreso l'informazione e l'ha diffusa in forma di notizia. Della quale, quindi, non sarebbe neanche il caso di occuparsi se non come testimonianza della totale mancanza di scrupoli con cui taluni – preti, giornalisti e che altro – fanno il loro mestiere.

    30.11.'08