Trasparenze

La caccia | Trasmessa il: 12/06/2009


    Non ho capito bene, confesso, la logica in base alla quale il noto ministro Brunetta ha proposto di render noto, nei titoli di testa (o di coda) delle rispettive trasmissioni l'ammontare dei compensi percepiti dai più noti conduttori televisivi. Una lodevole istanza di trasparenza, certo, ma nel nostro paese esistono tali e tante zone di opacità di questo tipo, che cominciare proprio da lì sembra perlomeno curioso. Lo stesso può dirsi per quell'esigenza di uguaglianza cui l'ottimo Renato si è riferito (“non è giusto” ha detto “che a Viale Mazzini ci siano figli e figliastri, contratti milionari e contrattini”), perché non è certo la Rai l'unico ambito in cui si pongano problemi di squilibrio salariale e contrattuale. E poi, conoscendo il carattere, come dire, un po' dispettoso dell'uomo è difficile pensare che la sua proposta non avesse il fine ultimo di infastidire, almeno un poco, qualcuno, presumibilmente gli interessati. Da questo punto di vista, la pubblicazione degli emolumenti percepiti da professionisti che non sempre si segnalano per lo zelo con cui appoggiano la linea del governo e cantano le lodi del suo capo, potrebbe essere intesa come una specie di paradossale denuncia, come un “Guardate quanto li paghiamo, questi lazzaroni, che si permettono pure di trattarci male.” E se, facendo i debiti confronti, i telecittadini scoprissero che a guadagnare più di tutti è sempre Bruno Vespa, che si becca ben 1.200.000 euro all'anno, contro i 684.000 di Santoro e i 710.000 della Dandini, ne ricaverebbero l'informazione aggiuntiva per cui a parlar bene del governo non ci si rimette mai. Anche questi messaggi contano ai fini della costruzione del consenso.
    Comunque stiano le cose, trasparenza e uguaglianza sono valori da promuovere sempre, quali che siano le intenzioni di chi se ne fa zelatore. Non per niente nessuno dei conduttori tirati in ballo ha risposto con un secco “Col cavolo,” precisando che quel che guadagna sono affaracci suoi, ma si sono esibiti tutti in qualche variazione sul tema, retoricamente sempre efficace, del “Sì, certo, ma anche”. Così, c'è stato chi ha ribattuto che allora bisognerebbe render noti anche i proventi dei manager e dei politici, e chi ha osservato che, per poter rettamente valutare, gli spettatori dovrebbero essere resi edotti di quanto le varie trasmissioni fruttano in termini di audience e raccolta pubblicitaria. Tutte obiezioni sensate, che però hanno, lo avrete notato, il difetto di rendere la comunicazione sempre più complicata e di rimandarla, in sostanza, a tempo indeterminato. Servono calcoli abbastanza difficili (e sempre opinabili) per stabilire come vadano ripartite le ore di ascolto e i relativi incassi pubblicitari, né, d'altronde, politici e manager sono gli unici soggetti che, insieme ai conduttori, mandano avanti la baracca televisiva. Anche la curiosità di chi volesse sapere quanto incassano gli operatori, i tecnici, i giornalisti e le veline sarebbe giustificata. Ma come si fa?
    Be', certi problemi ammettono soltanto una soluzione radicale. Inutile e dannoso è stare a sceverare sul chi sì e chi no. Saltiamo il fosso, scegliamo la strada della democrazia e rendiamo noti i guadagni di tutti. È vero che in questo modo i titoli di coda (o di testa) diventerebbero un po' pletorici e difficili da seguire, ma non è quello dei titoli l'unico metodo per ottenere l'effetto desiderato. Ottimi risultati, per esempio, si otterrebbero con la sovraimpressione: ogni volta che sullo schermo apparisse un conduttore o un ministro, un'attrice, un sindaco o un magistrato, un vescovo, un cantante, un professore universitario o una escort, si potrebbe farvi lampeggiare la cifra del reddito relativo, quale risulta dall'ultimo modello unico presentato, integrato dai risultati di eventuali accertamenti della Finanza. Altrettanto, per ovvi motivi di giustizia, andrebbe fatto per i comuni mortali che si trovassero a condividere l'inquadratura con i protagonisti della vita pubblica, come il pubblico presente in sala ai varietà o ai talk show, le guardie del corpo dei politici, i vicini delle famiglie in cui sono avvenuti delitti o disgrazie, i passanti richiesti per strada del loro parere al telegiornale e simili. Di costoro, ovviamente, non sempre si potrebbero avere i dati in anticipo, per poter predisporre le sovraimpressioni in tempo utile, ma basterebbe rendere noto una volta per tutte che nessuno potrà mai entrare in uno studio televisivo o comparire in video nemmeno di striscio a meno che non porti ben visibile al collo un cartello con la cifra in questione. L'obbligo, in seguito, potrebbe essere progressivamente allargato anche fuori dall'ambito della TV, fino a coprire buona parte della popolazione attiva.
    L'idea può sembrare bizzarra, ma, a pensarci, comporterebbe notevoli vantaggi per tutti. Pensate solo alla sua utilità ai fini della lotta all'evasione fiscale. E poi sarebbe davvero il trionfo della trasparenza, e non solo in senso tributario. Tutti noi, con la nostra bella cifra balenante sullo schermo o il nostro bravo cartello al collo saremmo veramente trasparenti, tanto trasparenti da diventare invisibili, nel senso che nessuno ci guarderebbe più, nessuno avrebbe interesse a soffermarsi con lo sguardo sulle nostre fattezze o con il pensiero sui nostri possibili meriti o demeriti, una volta informato della questione essenziale di quanto ci mettiamo in tasca in un anno. E siccome tutti saprebbero qual è il Valore di tutti gli altri, non ci sarebbe più spazio per sterili controversie, né motivo per negare il diritto a guidare il paese di Colui che, per generale consenso, più di tutti gli altri possiede e guadagna.
    Come dite? Dite che del vostro prossimo quel che guadagna non è la cosa che vi interessa di più? Be', complimenti: vuol dire che siete diversi dal ministro Brunetta. Per lui, ma non solo per lui, per la sua parte tutta, per quelli che ragionano a modo suo e ne condividono l'ideologia, per i suoi capi e i suoi servi, per il sistema politico sociale di cui egli è incarnazione e modello, il valore sommo, tanto sommo da essere praticamente l'unico, è quello, appunto, del quattrino. E se questo è il metro con cui, stringi stringi, veniamo misurati tutti , tanto vale ammetterlo senza nasconderci dietro inutile ipocrisie. Il ministro, probabilmente, nel fare la sua proposta voleva essere paradossale o addirittura scherzoso, ma i tipi come lui è appunto quando scherzano che vanno tenuti d'occhio. Si lasciano sfuggire più verità di quante altrimenti vorrebbero.

    06.12.'09