Nel Faust di Goethe il protagonista,
se ben ricordo, si impegna a cedere l’anima al demonio quando potrà dirsi
davvero soddisfatto del proprio operato. Soltanto allora, e non prima,
pronuncerà la fatidica frase che, irrigidendo nell’hic et nunc l’attimo
fuggente, segnerà al tempo stesso il compimento e la fine. Naturalmente
il saggio Faust si guarderà bene, per tutta la durata dell’interminabile
tragedia in due parti, di chiedere al tempo di fermarsi e quando la formula
gli uscirà finalmente di bocca, dopo la bellezza di 11.580 versi, sarà
solo in previsione di ulteriori auspicate realizzazioni future, per cui
le autorità competenti decideranno che le clausole di quell’impegno non
possono dirsi realizzate e Mefistofele, povero diavolo, si troverà, come
gli si addice, cornuto e mazziato. Una ingiustizia, certo, ma così
impara a scommettere con il Padre Eterno.
Ora,
io non so quanti membri dell’attuale governo siano versati negli studi
di germanistica, ma mi sembra ovvio che sulla lezione di Goethe abbiano
tutti meditato con un certo profitto. Sì, la tecnica della procrastinazione,
del rinvio delle proprie realizzazioni a un non meglio precisato futuro,
non l’hanno inventata loro, è da sempre uno strumento principe dell’azione
politica, ma la tenacia e la risolutezza con cui se ne servono i leader
dell’Unione merita una sottolineatura particolare. Persino da una
riunione “operativa” solennemente annunciata e largamente propagandata,
come quella che si è svolta nei giorni scorsi negli splendori un po’ fané
della Reggia del Vanvitelli, hanno fatto in modo di uscire sventolando
soltanto un mazzo di rinvii. La riforma delle pensioni? Non
era all’ordine del giorno. Le liberalizzazioni? Se ne parlerà
quando avremo la “cabina di regia”, o, a scelta, quando avremo deciso
che la cabina di regia non serve a nessuno. Per la legge elettorale,
laudato Deo, non c’è fretta. Dei PACS si potrà parlare quando il
papa avrà cambiato il triregno con il berretto frigio e il resto, come
diceva quel tale, è silenzio. Per un po’ è sembrato che dalla montagna
di quel solenne conclave uscisse il topolino dell’abolizione dei costi
di ricarica dei telefonini, ma poi ci hanno ripensato e hanno rinviato
anche quello.
L’unica
cosa che non hanno rimandato al futuro, in netta contrapposizione con l’eroe
goethiano, è la soddisfazione. Degli esiti di Caserta, a quanto parte,
sono soddisfattissimi tutti già adesso. Gli uni per quello che, a
loro dire, faranno domani, gli altri per quanto, più concretamente, non
si farà oggi. L’attimo fuggente loro l’hanno già fermato e poco
importa che questo significhi condannare il governo di cui tutti fan parte
all’inazione e al discredito. Tanto, sembra, grossi rischi non ce
ne sono: le elezioni sono lontane, lo scalone scatta soltanto l’anno prossimo,
il referendum quello dopo ancora, delle liberalizzazioni si è sempre riusciti
benissimo a fare a meno e non si vede perché non si dovrebbe continuare
così... E poi, soprattutto, la destra, quanto a divisioni interne
e mancanza di idee, è messa ancora peggio e quando l’avversario non fa
paura non si vede perché correre i rischi del fare politica, quando è tanto
più facile lasciare che ciascuno si gestisca in pace il proprio orticello.
Che sarà vero, figuriamoci, ma è anche vero che con amici del genere
di nemici non c’è proprio bisogno.
14.01.’07