Sogni metropolitani

La caccia | Trasmessa il: 12/14/2003



L’altro ieri il sindaco di Milano non era sui giornali soltanto con la proposta di far costruire in città non uno, non due, ma ben tre grattacieli, uno alla Fiera, uno alle Varesine (che lui chiama,  chissà perché, “Città della Moda”) e un altro, con pianta a stella, al posto di San Vittore, un’eccellente idea per attirare altro traffico in quei quartieri ingolfati e moltiplicare il numero degli ascensori in cui i cittadini possano farsi intrappolare al prossimo blackout.   C’era anche con una lettera nel dorso cittadino del “Corriere”, in cui, in risposta a un intervento critico, ricordava i “fatti concreti” realizzati dalla giunta.  Lui è fatto così: se lo si accusa, come aveva fatto su quelle pagine Antonio Panzieri, di non essere in grado di “proporre dei sogni” – di non saper indicare, cioè, una prospettiva coraggiosa di sviluppo a una città che sembra avere smarrito la propria ragion d’essere storica – sente il bisogno di precisare il numero dei chilometri di rotaie che la sua amministrazione ha fatto posare.  Per lui contano i “fatti concreti”: per i sogni, aggiunge con  compiacimento, non è attrezzato.  E anche se non resiste alla tentazione di vantarsi di progetti su cui il consenso è tutt’altro che unanime, tipo la “ristrutturazione” della Scala, o di inserire tra i fatti concreti degli eventi assolutamente di là da venire, come il completamento del passante ferroviario, le nuove linee della metropolitana e la “grandiosa metamorfosi urbanistica” delle aree Garibaldi-Repubblica e della vecchia Fiera, non si può fare a meno di provare per il Narciso di Palazzo Marino una qualche tiepida ammirazione.   Basta guardarsi in giro per rendersi conto di quanto sia ostile ai suoi abitanti una città incapace di superare senza andare in blocco un giorno di pioggia o uno sciopero dei tranvieri, una città da cui si scappa perché non ci si può permettere più di affittare una casa, in cui il luccichio delle vetrine è sempre più falso e standardizzato, la cultura è diventata un optional di cui si può benissimo fare a meno  e il numero di chi tira avanti ostensibilmente coi denti è sempre più alto e lui è tutto contento per aver realizzato quaranta chilometri di rotaie.  Pensate: Aniasi, il predecessore “che ne ha realizzato di più” si è fermato a ventiquattro.  Che il vero sogno, magari a occhi aperti, sia quello di una città, che, aggiungi una stazione di metropolitana qua, un depuratore là e un parcheggio ogni tanto, trova da sé la sua via, uscendo spontaneamente dalla crisi in cui l’ha cacciata l’esaurirsi della sua dimensione industriale, a un pensatore di quel calibro non passa neanche per l’anticamera dei cervello.

Ah sì.  L’altro ieri, naturalmente, era il 12 dicembre.  Una data triste, per noi milanesi, non soltanto per il ricordo di tutti quei morti, ma perché, almeno per chi ha vissuto quegli eventi, rievoca ormai, anno dopo anno, l’affievolirsi della capacità di protesta civile e di lotta democratica della città.   È inevitabile, forse: trentaquattro anni sono tanti per tutti e non sono più i tempi della volontà di resistere al progetto eversivo che le bombe di piazza Fontana avevano cercato di innescare.  Forse in troppi di noi si annida il sospetto che, anche se allora siamo riusciti a smontare le accuse agli anarchici e a far passare la verità storica di una strage inequivocabilmente di stato, il paese in cui viviamo non sia troppo dissimile da quello che avevano progettato, allora, gli eversori.  Per minare la democrazia non servono sempre le bombe: basta, talvolta, il controllo dell’informazione.  Ovvio, così, che le manifestazioni di venerdì siano state stanche e ripetitive; vano è sperare che serva a qualcosa il tardivo processo che si va celebrando proprio in questi giorni contro un gruppo di fascisti, o presunti tali.  Di processi per piazza Fontana ce ne sono stati tanti e non tutti, sappiamo, hanno giovato a stabilire la verità.
        Tutto questo, comunque, non sembra giustificare l’atteggiamento di un primo cittadino che si è limitato, in quella data, a una rapida comparsata in piazza Fontana per i rituali squilli di tromba, la mattina è intervenuto sui giornali soltanto per esaltare se stesso e la sera, incredibile ma vero, è comparso in televisione per scambiare futilità con un conduttore di “Scherzi a parte”  (se non era un sosia, perché giuro che l’ho soltanto intravisto e ho cambiato subito canale).  È un atteggiamento, nonostante tutto, che continua a sembrarmi disdicevole.  Il sogno di un sindaco che si preoccupi, se non del futuro, almeno un poco del nostro passato, forse potremmo ancora permettercelo.

14.12.’03