Il comunismo è morto, ma il suo fantasma continua ad aggirarsi
per l’Europa, come a voler confermare, centocinquantasette anni dopo,
la straordinaria intuizione dei suoi primi teorici. E a evocarne
la presenza incombente non sono, di solito, i dannati della terra, i poveri,
gli oppressi e i perseguitati, che in quegli ideali potrebbero ancora trovare,
come tante generazioni di sfruttati prima di loro, una speranza di riscatto
personale o sociale. Ne parlano molto di più i loro antagonisti,
gli sfruttatori (che, come ammoniva Brecht, il comunismo non possono intendere)
o comunque quanti nello stato di cose presente si trovano affatto a proprio
agio. Dalla frequenza e dall’ansiosa preoccupazione con cui costoro
si ostinano a evocare il nemico vinto, non si direbbe, in realtà, che siano
così certi della propria vittoria.
Silvio Berlusconi,
che, quanto a minacciose evocazioni del comunismo, non è secondo a nessuno,
ha scelto, per abbandonarsi una volta di più a questa personale ossessione,
la meno opportuna delle circostanze. andato ad Auschwitz per la
giornata della memoria e invece di approfittare dell’occasione per riflettere
sulle corresponsabilità del suo paese nella tragedia che quel nome rinchiude,
come hanno fatto, ciascuno per la sua parte, il cancelliere Schroeder e
il presidente Chirac, si è soffermato, sembra incredibile, sulle colpe
di Pol Pot. Il quale Pol Pot è senza dubbio un tristo figuro, ma
è ovvio che con Auschwitz non c’entra in nulla ed è stato tirato in ballo
solo perché Silvio aveva appena affermato che alle nuove generazioni tocca
“il dovere della memoria, perché non si possano mai più ripetere situazioni
come quelle che si sono verificate sia con il nazismo sia con il comunismo”
e gli serviva un esempio di comunista abbastanza efferato da citare in
quel contesto, per cui, senza pensarci troppo, ha scelto lui. Che
è una scelta, ne consentirete, ben singolare, perché il dittatore cambogiano
ha perpetrato i suoi crimini in pieno accordo con i paesi occidentali,
Stati Uniti in testa e Italia al seguito, che ne riconoscevano e appoggiavano
il regime in odio a quello filovietnamita vicino alla Unione Sovietica,
a dimostrazione del fatto che di fronte agli interessi della Realpolitik
non c’è atrocità che conta e che delle prediche che vengono da certi pulpiti
è sempre bene diffidare.
L’equiparazione tra
nazismo e comunismo, naturalmente, è il tipico luogo comune di un certo
pensiero pseudoliberale e si giustifica, di solito, con il fatto che anche
il regime sovietico fu responsabile di spaventosi eccidi di massa. Non
tutti concordano, gli storici – in particolare – sono abbastanza divisi,
ma visto che, per paragonare tra loro due sistemi tanto complessi, ciascuno
prende in considerazione solo gli aspetti che fanno comodo a lui, è difficile
che accordo possa esserci. Un giudizio simile a quello di Berlusconi,
così, si ritrovava anche nel messaggio che ad Auschwitz ha fatto pervenire
il papa ed è largamente condiviso da molti polacchi. Lo avrà fatto
proprio, forse, qualcun altro dei cinquanta capi di stato e di governo
convenuti per l’occasione. Ma la grande maggioranza se ne è decisamente
astenuta e si capisce: la logica di fondo della commemorazione, il motivo
spesso per cui si è voluta e si è proclamata una “giornata della memoria”
sta nella considerazione dell’unicità storica della Shoah, del carattere
assolutamente eccezionale di quell’evento, del suo non potersi ridurre
ad alcuna altra esperienza che l’uomo, nel corso di una storia in cui
non sono certo mancate le tragedie, ha vissuto. Se ne può dissentire,
naturalmente, ma l’ipotesi è questa e qualsiasi comparazione, più o meno
fondata o giustificata, non può che suonare, da questo punto di vista,
altro che riduttiva. L’accenno alle responsabilità parallele del
comunismo, comunque lo si voglia giudicare, era, in quella occasione, altrettanto
inopportuno di quanto sarebbe stata un’allusione alla tragedia palestinese.
Che Berlusconi non
abbia un gran senso dell’opportunità, non è un mistero. Ma anche
a uno come lui avrebbe potuto venire in mente un altro motivo, forse più
banale, per tener a freno le sue pulsioni. Nessuno è autorizzato
a dimenticare che il campo di Auschwitz Birkenau fu liberato, il 25 gennaio
1945, dalle truppe sovietiche. E qualsiasi opinione si possa nutrire
su quelle truppe e sul regime che le esprimeva, è poco ma sicuro che senza
il sacrificio dei soldati e dei popoli dell’Unione Sovietica il nazismo,
in Europa, sarebbe durato ancora un bel po’. Il che può aprire una
serie di riflessioni abbastanza difficili, su cui è troppo sperare che
si cimenti uno che si accontenta, sempre e comunque, di effetti plateali
e paralleli grossolani. Ma anche di Berlusconi sarebbe lecito sperare
che, nella giornata della memoria, non dimostri una così clamorosa smemoratezza.
30.01.’05