Slogan in Lombardia

La caccia | Trasmessa il: 04/29/2007


    Forse ricorderete che mi sono lamentato, un paio di settimane fa, della pubblicità della AEM. Non avevo ancora visto quella della Regione Lombardia. E se appartenete anche voi al novero di quanti ritengono che una regione, non essendo un’impresa commerciale, non dovrebbe avere motivo di farsi pubblicità alcuna, salvo forse al di fuori del suo territorio, a fini turistici, vuol dire che non avete avuto occasione, negli ultimi tempi, di passare, qui a Milano, per i viali che fiancheggiano i resti delle mura spagnole. Lì, una metà circa di quei grandi, orribili pannelli installati, dicono, per sponsorizzare il restauro di quel monumento sono occupati da enormi manifesti che esaltano la politica scolastica di Formigoni e dei suoi. “Una scuola che educa con le famiglie” spiegano a caratteri di scatola “o è solo uno slogan o sei in Lombardia”, un simpatico anacoluto che intende spiegare, suppongo, che qui da noi una tale felice combinazione didattica è, o sta per essere, realtà . Altrettanto può dirsi di “una scuola che prepara al lavoro”, di “una scuola che guarda all’Europa” e di “una scuola che valorizza gli insegnanti.” Perché lassù al Pirellone, prosegue il messaggio combinato dei vari manifesti esposti, stanno costruendo “il nuovo sistema di Istruzione e Formazione professionale”, con il fine di “garantire a famiglie e studenti la piena libertà di scelta dei percorsi formativi”, di “collegare scuola e lavoro” all’interno dei medesimi, di “essere in linea con l’Europa e con il mercato del lavoro” e di “dare più valore alla professionalità” di chi nella scuola è impegnato. Nella nostra regione, insomma, come si legge in calce, “la nuova scuola prende forma”.
    Tutto questo, diciamocelo pure, può suonare alquanto generico. Frasi di questo tipo sono davvero degli slogan, anche se siamo in Lombardia, e per di più sono terribilmente banali. Basta, per rendersene conto, volgerli al contrario. Sarebbe difficile proporre una scuola che delle famiglie non si cura per niente, al lavoro non prepara, l’Europa non sa neanche che cosa sia e della professionalità degli insegnanti si disinteressa. Utilizzando espressioni di tal fatta, in definitiva, non si configura una opposizione di valori sulla quale sia utile o lecito misurarsi: si enunciano delle ovvietà su cui sarebbe difficile trovare qualcuno che non sia d’accordo. Sì che ci si potrebbe chiedere se fosse proprio il caso di sborsare dei quattrini sonanti per affermare che la regione, nel settore scolastico che le viene affidato, si propone degli obiettivi tanto scipiti.
    Tuttavia, sappiamo che per comprendere appieno i messaggi che escono dalla fucina formigoniana bisogna avere una certa dimestichezza con le convenzioni linguistiche e lessicali di quel particolare settore del moderatismo cattolico, tenendo particolarmente conto della sottile ipocrisia comunicativa che lo caratterizza. In quel contesto, per esempio, il riferimento alle famiglie e alla “libertà di scelta” dei percorsi formativi altro non significa, sin dai tempi della Gioventù Studentesca di don Giussani, che finanziamenti alla scuola privata e quello, di origini più recenti, all’Europa e al mercato del lavoro allude abbastanza esplicitamente a una stretta subordinazione alle esigenze espresse caso per caso dal sistema produttivo. E siccome è abbastanza noto che per valorizzare la professionalità degli insegnanti costoro pensano soprattutto di incrementarne la mobilità, affidando assunzioni e licenziamenti ai singoli istituti, secondo una logica di mercato estranea all’attuale sistema dei concorsi, non ci vuol molto a capire che quella che prende forma, in sostanza, dovrebbe essere una scuola finanziata, sì, con danaro pubblico, ma aperta – anzi, offerta – alla gestione privata (un po’ come succede con il sistema sanitario) e gestita secondo criteri eminentemente imprenditoriali. Se a questo si aggiunge il fatto che l’attuale maggioranza in Regione, in base a una propria interpretazione della riforma costituzionale voluta nel 2001 dal centrosinistra e confermata nel successivo referendum, rivendica sul settore una competenza praticamente assoluta, senza interferenze o controlli da parte di chiunque, e tanto meno dello stato, si vedrà come quella campagna pubblicitaria sia il preannuncio, in effetti, di uno degli attacchi più pericolosi alla scuola pubblica e alla libertà di insegnamento che mai siano stati condotti nel nostro paese.
    Perché quei manifesti, lo avrete notato, non sono esattamente una forma di propaganda, non esaltano una serie di obiettivi raggiunti. Un sistema scolastico di quel genere, laudato Deo, per ora non c’è neanche nella nostra bella regione, e non è detto che i suoi fautori, nonostante il loro attuale strapotere, riescano a imporcelo. Ma, per usare le loro parole, ci stanno lavorando e, a tal fine, con la spregiudicatezza che li caratterizza, lanciano una campagna preventiva di banalizzazione degli obiettivi, che è sempre uno strumento principe della costruzione del consenso. Che questo significhi utilizzare delle risorse pubbliche per perseguire dei fini di parte è talmente ovvio che non vale neanche la pena di sottolinearlo. Ma succede, quando ci si lascia governare da una manica di cialtroni incapaci, per formazione e natura, di apprezzare (o semplicemente capire) le distinzioni del genere.
    Ed è vero che anche questo può essere considerato uno slogan. A meno, naturalmente, di non essere in Lombardia.

    29.04.’07