Non vi parlerò, non temete, dell’impasse
elettorale tra Gore e Bush. Ne hanno già parlato in troppi, e, comunque,
non c’è bisogno della Caccia per apprezzare il fatto che la massima potenza
mondiale riuscirà, presto o tardi, a darsi un presidente (perché a un certo
punto il conteggio non potrà non premiare l’uno o l’altro), ma non riuscirà
certo a validificarne la nomina, visto che con queste cifre e con quel
sistema elettorale il valore dell’elezione non sarà comunque diverso da
quel che sarebbe se la presidenza i due se la fossero giocata a testa o
croce. Gli americani, di solito, sono orgogliosi del loro sistema
istituzionale, ma non c’è sistema istituzionale che regga in assenza di
soggetti politici capaci di farlo funzionare. Si potrebbe sospettare
che questo derivi dal fatto che laggiù di politica se ne fa sempre meno,
visto che per governare basta e avanza il dollaro, deducendone – per logica
conseguenza – che noi in Italia, apprestandoci come ci apprestiamo a consegnare
le leve del governo, senza inutili mediazioni, all’uomo più ricco del
paese, ci dimostriamo decisamente all’avanguardia. Ma di tutto ciò
avremo tempo per parlare con comodo la prossima primavera.
No,
oggi vi chiedo soltanto di tornare con la memoria a mercoledì scorso, quando,
dopo aver appreso via radio dell’asserita vittoria di Bush, siete usciti
da casa e avete acquistato il giornale all’edicola. Quale che sia
il quotidiano cui riservate le vostre preferenze, avrete notato senz’altro
che il titolo di prima pagina era a nove colonne, come ben si addice a
una notizia importante, ed era dedicato, ovviamente, all’elezione presidenziale,
ma non informava affatto su chi avesse vinto. E sfido: di previsioni
sicure – questa volta – non ne giravano; al momento della chiusura dei
quotidiani, verso mezzanotte, i conteggi non si erano ancora conclusi,
per ovvie ragioni di fuso orario, e tutti avevano dovuto accontentarsi
di titoli generici del tipo “L’America sceglie”, “Bush e Gore testa
a testa”, “La grande sfida” e simili banalità. Qualche testata
più zelante delle altre affiancava a quei titoloni il “fondo” di questo
o quel politologo di vaglia, in cui si spiegava con gravità di stile e
dovizia di argomentazioni che, se non avesse vinto l’uno, avrebbe vinto
senza dubbio l’altro. Andate a rileggervi, tanto per fare un esempio,
il pezzo di Sergio Romano sul “Corriere della Sera”.
Voi,
naturalmente, chi avesse vinto lo sapevate già (o almeno credevate di saperlo),
per cui a tutto ciò avrete prestato ben poca attenzione. A seconda
dei vostri interessi, sarete passati subito, come ho fatto io, alla cronaca
cittadina, alla pagina culturale o a quella sportiva. Solo in seconda battuta,
forse, vi sarà venuto in mente che era abbastanza curioso dedicare un titolo
di tutta pagina a una non notizia, informando su nove colonne e a caratteri
di scatola che quel dato giornale chi avesse vinto le elezioni negli Stati
Uniti d’America non era proprio in grado di comunicarlo a nessuno.
Già: in fondo era proprio curioso. Che
bisogno ce n’era, oltretutto? Che in Italia i quotidiani su carta
di mercoledì 8 novembre non potesse dar conto dell’elezione del Presidente
degli Stati Uniti era la cosa più naturale del mondo. Non era proprio
colpa di nessuno. Sarebbe bastato informare i lettori, con un semplice
trafiletto, di come le elezioni si fossero svolte regolarmente e dar loro
appuntamento all’indomani per i commenti e gli approfondimenti del caso,
dedicando lo spazio risparmiato ad altri, altrettanto interessanti, argomenti.
La tecnologia dell’informazione, oggi, non è quella di un secolo
fa: le ultime notizie arrivano a tutti in tempo reale dall’etere o per
via elettronica e non vengono più strillonate per strada con l’ultima
edizione dei quotidiani. I quotidiani servono, fatalmente, a tutt’altro.
Tutto giusto. Ma a quanto pare
chi fa i quotidiani non lo sa ancora. Fedeli alla tradizione per
cui i grandi eventi vanno “coperti” sempre e comunque, gli strateghi
della carta stampata, se non sono in grado di ottemperare all’imperativo,
decidono di far finta. Nell’impossibile sforzo di tenere il ritmo
della concorrenza radiotelevisiva e di quella elettronica, ricorrono alla
simulazione. A una simulazione abbastanza innocua, s’intende, in
quanto nota ai lettori, nel complesso se non nei particolari, e abbastanza
accettata da tutti, ma sempre una simulazione. Fanno titoli e commenti
su argomenti e materie su cui non sanno un tubo, fingendo di essere perfettamente
aggiornati su tutto quanto vale la pena sapere. Tanto, chi comprerà
il giornale saprà benissimo quello che chi lo ha preparato ignorava e in
base a questa sua competenza orienterà la lettura. È una procedura,
nel complesso, assai futile, cui pure tutti disciplinatamente ci sottomettiamo
e non soltanto quando si elegge il Presidente degli Stati Uniti.
Questa volta, naturalmente, l’operazione
è stata più evidente del solito, perché anche l’informazione istantanea
ha clamorosamente cannato il proprio obiettivo. Pur di anticipare
quanto più possibile la notizia, radio e TV hanno finito per mettere in
piedi anche loro la loro brava simulazione, diffondendo dei dati non ancora
adeguatamente confermati, con il rischio, puntualmente verificatosi, di
vederseli smentire a breve scadenza. E così, per colmo di paradosso,
quella mattina i quotidiani, che scrivevano, in sostanza, “non si sa ancora
chi ha vinto”, si sono rivelati molto più affidabili di tutti i notiziari
radiotelevisivi che davano per scontata la vittoria di Bush.
Tutto normale, naturalmente. Tutto
ovvio e tutto spiegabile passaggio per passaggio.
Ma se è così facile e naturale simulare
le notizie di prima pagina, chi ci si assicura che non lo siano tutte le
altre?
12.11.’00