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La caccia | Trasmessa il: 05/02/2004



Compro in edicola la mia copia di “Repubblica”, giovedì scorso, e apprendo, sparato in prima pagina a cinque colonne su sei, che non siamo servi degli Usa.  Lo ha detto, sembra, Berlusconi in persona.  Gran parte degli altri giornali lì esposti dà lo stesso annuncio con pari evidenza.  Strano, penso: che non siamo servi degli americani non dovrebbe essere, tutto sommato, una notizia tanto eclatante.  Trattandosi, almeno in teoria, di un’informazione del tutto ovvia, secondo la nota regola giornalistica del cane e dell’uomo non avrebbe diritto a spazio maggiore di quello di un trafiletto all’interno.  Anche la circostanza che l’abbia detto Berlusconi non sembra poi così emozionante.  Si può pensare, come pensano – probabilmente – a “Repubblica”, che l’essere prono ai voleri di Bush perinde ac cadaver sia, non che un dato di fatto, la massima aspirazione dell’Uomo di Arcore, ma è chiaro che il poveraccio non potrebbe ammetterlo pubblicamente.  Certe consapevolezze, non foss’altro che per motivi di protocollo, si conservano gelosamente nel proprio cuore.  Per cui, l’unica maniera di interpretare un titolo così plateale è quella di leggervi qualcosa del tipo di “Guardate che faccia di bronzo ha il nostro Silvio” e il fatto che esso appaia senza commenti, oltre che sui quotidiani, diciamo così, di opposizione, anche su quelli più ferocemente ligi al governo (l’unico che se ne esonera, di fatto, è il “Corriere”, che tra governo e opposizione non è ancora riuscito a decidersi) la dice lunga sul modo di lavorare della stampa italiana.
        La quale, d’altronde, lavora come può.  Sugli stessi giornali di giovedì, a cercarla, si trova anche la notizia di come un giornalista inviato a Nassiriya, per aver chiesto pubblicamente alle nostre autorità militari di laggiù la documentazione sui noti fatti di sangue che ivi hanno coinvolto i nostri e gli altrui ragazzi, sia stato indagato per “procacciamento di notizie riservate” (poco meno che spionaggio) e invitato a nominarsi un avvocato.  L’esercito ha negato che si tratti di un episodio di censura, ma giudicate un po’ voi.  Come potete giudicare anche l’annuncio, diffuso lo stesso giovedì 29, che la manifestazione del 1° maggio sarebbe stata trasmessa in differita per impedire che da quel palco si levassero voce sgradite.  Sono notizie riportate così, come dati di fatto, senza una parola di commento, tranne quelle – virgolettate – degli interessati e delle istituzioni preposte.  Del giornalista di Nassiriya, di fatto, si occupa un po’ diffusamente soltanto la sua testata: gli altri si limitano a una notiziola di livello omeopatico.  Se pensiamo a tutto il casino che avrebbe piantato in merito una stampa veramente libera, quella, che so, degli Stati Uniti di America, che non si è mai fatta pregare per dire quello che va detto del suo governo (pensate alle recenti denunce delle torture in Iraq) e non ha mai accettato alcun tentativo di imbavagliarla, be’, forse potremmo concludere che essere un po’ più servi, in certi campi, non potrebbe farci che bene.

02.05.’05