Semafori sulla via di Damasco

La caccia | Trasmessa il: 01/16/2005



Anche se il futuro, come si diceva una volta, sta sulle ginocchia degli dei, non è necessario essere dei grandissimi profeti, o dei politologi particolarmente esperti, per prevedere che la ribellione del presidente Formigoni, quale era stata annunciata all’inizio della settimana testé trascorsa, non è destinata a durare.  L’individuo ha molte doti – anche se non forse tutte quelle che i media, Radio Popolare compresa, gli riconoscono in questi giorni – ma non è certo uno di quelli che si spezzano ma non si piegano, almeno quando si tratta di adattarsi  alle tattiche della politica e alle sue, pur meschine, necessità.  Duttile come tutti i democristiani di un certo livello, capace di coniugare la più alta visione di sé con una certa spregiudicata disinvoltura nel mettersi al servizio degli altri (due doti – del resto – meno contraddittorie tra loro di quanto possa apparire in chi per gli “altri”, nel senso delle idee, nutre soprattutto disprezzo) è passato senza traumi da Andreotti a Berlusconi, trattenendosi solo per lo spazio di un mattino nel Partito Popolare, e se non dovrebbe avere grossissimi problemi a cambiare ulteriormente collocazione, lo farebbe solo a patto di non doversi allontanare di un filo dalle stanze dove si gestisce il potere, che del tipo umano che incarna rappresentano l’unico e autentico terreno di cultura e di crescita.  Per cui, con il vento che tira in Lombardia, per quanto fastidio possa dargli Bossi, per quanta genuina soddisfazione trarrebbe dall’idea di fare le scarpe al Berlusca, per quanto possa averlo irritato il blocco della lista con il suo nome sopra, non si vede come potrebbe schiodarsi dalla Casa della Libertà.   Di fatto, dopo il niet del vertice del centro destra, prima ha detto che avrebbe chiesto una deroga (che non è, ammetterete, la più bellicosa delle dichiarazioni), poi ha spiegato che deve rendersi conto esattamente di come stiano le cose e adesso, suppongo, starà già trattando il numero di consiglieri sicuri da inserire nel “listino”, qualsiasi cosa sia, e le altre contropartite previste o supposte.  Lui è fatto così e lo sapevamo anche prima di eleggerlo.
        Bisogna ammettere, tuttavia, che questa prassi politica non si può spiegare soltanto in termini ideologici o caratteriali.  Di fatto, nel nostro allegro paese è più diffusa di quanto possa fare piacere ammettere.  La politica italiana, oggi, è una via di Damasco estremamente trafficata.  Di dietrofront più o meno precipitosi, di solenni dichiarazioni di autonomia destinate a concludersi con festosi rientri sono piene le cronache.  E se Formigoni, tutto sommato, si è mosso con un certo garbo, perché lui la lista personale aveva detto di volerla fare nell’interesse di tutta la sua coalizione, gli altri, di solito, sono di modi assai meno felpati.  Il grido di “se non mi date subito questo o quest’altro me ne vado e tanto peggio per voi” nei dibattiti politici tende a riecheggiare con una certa frequenza.  A Milano il sindaco Albertini, nelle trattative con i partiti della sua riluttante maggioranza, non si serve, in pratica, di altri argomenti.  Bossi, lo ha dimostrato anche recentemente, ne ha fatto lo strumento principe delle proprie fortune.  I vari De Michelis e Bobo Craxi hanno spesso cercato di giocare in quel senso le poche carte di cui dispongono.  E per quanto riguarda la sinistra, se è fin troppo facile fare dell’umorismo su uno specialista del calibro di  Mastella, (lo ho fatto anch’io domenica scorsa), non bisogna dimenticare che Bertinotti ha brandito quel tipo di minaccia per tutti gli anni della desistenza, che verdi, comunisti italiani e altri cespugli non sono affatto alieni a ricorrervi e che di una sua variante appena un po’ meno esplicita si è fatto forte lo stesso Prodi nei suoi battibecchi con Rutelli e soci.
        Poi, tutti finiscono per ritornare buoni buoni all’ovile, e sfido io.  La legge elettorale vigente premia le aggregazioni e chi minaccia di correre da solo può, sì, condannare a sicura sconfitta i propri ex compagni, ma con ottime prospettive di perire egli stesso nel disastro.  Per cui l’argomento, in realtà, funziona soprattutto per quelli che possono prospettare l’eventualità di passare, nel caso, con l’altra parte, il che un Mastella e persino un Formigoni possono fare, ma un Prodi o un Bertinotti evidentemente no.    Il che non toglie che lo si continui a impiegare con zelo e frequenza, contribuendo non poco a dare della politica nazionale quell’immagine di mercato permanente che tanto contribuisce ad allontanarne gli animi sensibili, con sicuro vantaggio indovinate di chi.
        Pazienza.  Sono gli effetti, in gran parte inevitabili, del sistema maggioritario di coalizione, che, costringendo le parti in cause ad aggregazioni più o meno forzose, non favorisce certo la coerenza ideale delle coalizioni.  Chi è spinto a scegliersi i propri compagni di letto sulla base, soprattutto, di considerazioni di utilità propria, non avrà molte remore a cambiarli se l’operazione gli sembrerà appena un poco più vantaggiosa.   È questo, probabilmente, l’argomento principale che si possa invocare a favore di quel metodo proporzionale cui la sinistra, convinta, chissà perché, di poter trarre vantaggio dall’andazzo corrente, è fermamente contraria.  Stando così le cose, le minacce di secessione e i relativi rientri contrattati sono destinati soltanto ad aumentare.  Forse sulla via di Damasco sarà il caso di mettere qualche semaforo.

16.01.’05